Scienza e Pace
Giorgio Parisi
Premio Nobel per la Fisica 2021, Accademico Onorario
Abstract
The relevance and the impact of international scientific collaborations are discussed in relation to achieving and maintaining peace worldwide.
Fare attività scientifica è come avere di fronte un enorme puzzle, dove ogni pezzetto che viene messo al posto giusto apre la possibilità di collocarne altri. In questo gigantesco mosaico, ogni scienziato aggiunge delle tessere, con la consapevolezza di aver dato il suo contributo e che, quando il suo nome sarà dimenticato, anche coloro che verranno dopo saliranno sulle sue spalle per vedere oltre. Più esploriamo l’universo, più scopriamo nuove regioni da esplorare, e ogni scoperta ci permette di formulare tante nuove domande che prima non eravamo in grado di pensare. È come una grande scalinata a forme di albero, con tanti punti di diramazione, che sale verso l’alto con gradini che non finiscono mai [1].
Gli scienziati si divertono a cercare di fare progressi in questo enorme puzzle. Il mio Maestro Nicola Cabibbo diceva spesso, quando si discuteva sul da farsi: “Perché dovremmo studiare questo problema se non ci divertiamo?”. Spesso gli scienziati si stupiscono quasi di essere pagati per fare la cosa che più desiderano fare.
In passato gli scienziati erano spesso finanziati da mecenati, ma con il passare dei secoli, lo sviluppo economico incomincia a basarsi sul progresso scientifico: la scienza diventa sempre più utile alla società e anche più costosa: richiede strutture e organizzazione via via più complesse. Con la Seconda guerra mondiale nasce la “grande scienza” che richiede investimenti massicci e la scienza diviene sempre più importante anche dal punto vista economico, con innumerevoli applicazioni pratiche che coinvolgono la vita di tutti.
Questa profonda integrazione tra scienza e tecnologia potrebbe suggerire che la scienza abbia un futuro brillante in una società sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata. Ma oggi sembra essere vero il contrario: si sono diffuse forti tendenze antiscientifiche, il prestigio della Scienza e la fiducia riposta in essa stanno rapidamente diminuendo; accanto al persistere di antiche pratiche, come l’astrologia, nuove pratiche antiscientifiche (come l’omeopatia o il rifiuto dei vaccini) si sono diffuse insieme al vorace consumismo tecnologico, e a volte coesistono nelle stesse persone. Abbiamo visto durante il COVID le tragedie che sono accadute a quanti negavano il COVID. Si sono rifiutati di vaccinarsi nonostante milioni di morti. Questo è avvenuto proprio per il rifiuto della scienza cosiddetta ufficiale, in nome di una presunta ricerca indipendente che porterebbe studiosi controcorrente a conclusioni opposte.
Non è facile comprendere appieno l’origine di questo fenomeno: questa sfiducia di massa nella comunità scientifica può anche essere dovuta a una certa arroganza di alcuni scienziati che presentano la scienza come verità assoluta, rispetto ad altre conoscenze discutibili, anche quando non è così. Il rifiuto di accettare i propri limiti può indebolire il prestigio degli scienziati, che a volte ostentano una sicurezza eccessiva e infondata. Altre volte, va detto, ci sono stati casi di cattivi scienziati, cattivi non per le loro capacità tecniche, ma per i rapporti opachi con gli interessi economici e politici in gioco. Troppe volte gli scienziati hanno taciuto o non hanno messo in guardia con sufficiente unanimità, energia e convinzione contro il possibile cattivo uso delle scoperte scientifiche quando esso si profilava all’orizzonte, come se questi problemi non li riguardassero in quanto tali.
A volte poi i cattivi divulgatori presentano i risultati scientifici quasi come una stregoneria superiore, comprensibile solo a pochi eletti. Così facendo, i non scienziati possono essere indotti ad assumere un punto di vista irrazionale nei confronti della scienza, che viene percepita come una specie di magia inaccessibile: se la scienza diventa una pseudo magia, perché non scegliere la vera magia piuttosto che il suo surrogato?
Ma forse le difficoltà attuali hanno origini più profonde che devono essere comprese a fondo per poterle contrastare. Stiamo affrontando un periodo di pessimismo sul futuro, originato da crisi di diversa natura: crisi economica, riscaldamento globale, esaurimento delle risorse e inquinamento. In molti Paesi sono in aumento anche le disuguaglianze, l’insicurezza, la disoccupazione e la guerra. Mentre un tempo si pensava che il futuro sarebbe stato inevitabilmente migliore del presente, oggi si è erosa la fede nel progresso, nelle magnifiche sorti e progressive dell’umana gente: molti temono che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali. E così come la scienza ha ricevuto fino a non molto tempo fa il merito del progresso, ora riceve la colpa del declino, indipendentemente dal fatto il declino che sia reale o solo percepito e indipendentemente dalla responsabilità effettiva degli scienziati nel declino stesso.
In generale c’è una crisi di fiducia nelle autorità e nella loro capacità di portarci nella giusta direzione, e gli scienziati vengono visti come autorità di cui diffidare, proprio perché il loro sapere, pur essendo potenzialmente accessibile a tutti e aperto per definizione alla critica, non è immediatamente sindacabile da chiunque non abbia una formazione specialistica.
Pure la crisi della democrazia gioca a sfavore degli scienziati: non si ha più fiducia nella capacità dei rappresentanti e degli eletti di tirarci fuori dai guai combinati da altri eletti e rappresentanti del popolo. E a volte la scienza viene considerata antidemocratica perché non accetta che i propri risultati vengano messi in discussione da chi non è scienziato. E ciò sembra contrastare con quanto è ormai diventato senso comune, ossia che la scienza moderna è nata dal rifiuto del principio di autorità.
La scienza quindi a volte viene chiamata dai suoi contestatori “scienza ufficiale” contrapposta a una fantomatica ricerca indipendente, e considerata una cattiva maestra che ci porta nella direzione sbagliata perché succube di interessi economici inconfessati. Cambiare questa percezione non è facile, ma è necessario. E ci si può riuscire diffondendo informazione su come effettivamente i ricercatori lavorano e pubblicano i loro risultati, sui criteri a cui chiunque deve rispondere per esercitare una critica valida, sui contrappesi e le contromisure adottate dalla comunità scientifica stessa per impedire che la ricerca venga condizionata dagli ingenti finanziamenti che pure richiede, e dal potere politico, che pure storicamente ha sempre provato a strumentalizzarla.
Solo una capillare diffusione della conoscenza di come effettivamente la scienza funziona e progredisce può servire da antidoto verso gli atteggiamenti antiscientifici, diffusi per ora fortunatamente solo in settori minoritari della popolazione, il che però non deve indurci a sottovalutarli come forse per troppo tempo si è fatto. Perché se troppi cittadini voltano le spalle alla scienza, la politica inseguendo il consenso rischia di farlo a sua volta.
Attualmente le conseguenze pratiche della scienza, come tutti sanno, sono estremamente importanti e ci circondano da ogni lato. Non meno grandi le sue potenzialità: molti problemi del mondo potrebbero essere risolti utilizzando gli strumenti che la scienza mette a nostra disposizione.
Per affrontare in maniera adeguata il cambiamento climatico servono interventi decisivi per fermare l’emissione di gas serra, interventi che non verranno mai fatti se si rifiutano le analisi scientifiche sulle cause del cambiamento climatico e sulle possibili soluzioni. Ma questi provvedimenti da soli non bastano: abbiamo anche bisogno di investimenti scientifici: dobbiamo essere in grado di sviluppare nuove tecnologie per conservare l’energia trasformandola in combustibile. Queste nuove tecnologie devono essere non inquinanti e basate su risorse rinnovabili: non solo dobbiamo salvarci dall’effetto serra, ma dobbiamo evitare di cadere nella terribile trappola dell’esaurimento delle risorse naturali.
Bloccare con successo il cambiamento climatico richiede uno sforzo mostruoso da parte di tutti: si tratta di un’operazione con un costo colossale, non solo finanziario ma anche sociale, con cambiamenti che influiscono sulla nostra vita. La politica deve fare in modo che questi costi siano accettabili da tutti e quindi ripartiti in modo proporzionale: coloro che hanno utilizzato più risorse devono contribuire di più, per incidere il meno possibile sulla maggior parte della popolazione; i costi devono essere distribuiti in modo giusto ed equo tra tutti i Paesi.
Sono enormi le sfide poste dal cambiamento climatico, a partire dalla necessità di costruire una economia che si basi su fonti rinnovabili. Sono sfide globali che si possono affrontare solo con il contributo e la solidarietà di tutte le nazioni. Ma non è facile mettere d’accordo ricchi e poveri che nella vita di tutti i giorni hanno interessi talmente diversi. Le diseguaglianze sono forse l’ostacolo più serio per risolvere questi problemi che devono essere affrontati in una prospettiva equa e solidale.
A maggior ragione è difficile mettersi d’accordo in un mondo minacciato dall’incubo delle guerre. Dobbiamo costruire legami e ponti tra persone di Paesi diversi e sottolineare ciò che unisce tutti gli esseri umani al di là dei nazionalismi. La scienza è oggi un’attività mondiale estremamente interconnessa e quindi si presta molto bene allo scopo. Certo, ci vuole tempo, ma si tratta di processi di lunga durata e dobbiamo pensare in una prospettiva a lungo termine, a quale sarà la situazione tra 10-20 anni.
La creazione di grandi sistemi intercomunicanti è già accaduta in passato. A partire dai clerici vagantes dalla fondazione delle Università, l’Europa è stata caratterizzata da una classe di persone molto colte che erano in costante contatto tra loro, parlavano un linguaggio condiviso e si spostavano da un luogo all’altro. Scienziati filosofi umanisti che hanno creato lo spazio culturale europeo.
Molto tempo dopo, nel 1954, il CERN fu fondato da dodici Paesi europei, ben tre anni prima del Trattato di Roma, che è alla base della Comunità Economica Europea, con solo 6 paesi contro i 12 Paesi del CERN. La scienza era più avanti della politica, specialmente se consideriamo che molti Paesi, anche dall’altra parte del Muro, partecipavano agli esperimenti condotti al CERN.
Veniamo al giorno d’oggi. Nel 2017 è stato inaugurato un laboratorio per la luce di sincrotrone nel Medio Oriente (SESAME): è un laboratorio straordinario, situato in Giordania, fondato nel 2002 da Bahrain, Cipro, Egitto, Iran, Israele, Pakistan, Autorità Palestinese e Turchia, paesi che, come è noto, hanno rapporti politici molto problematici tra di loro.
Purtroppo, e lo sappiamo bene, non sempre la scienza viene usata per la pace: può essere usata per la guerra, come abbiamo visto tantissime volte in passato a partire dalle macchine belliche di Archimede. Ma veniamo a tempi più recenti. Prendiamo un esempio d’importanza epocale: la sintesi dell’ammoniaca. Il processo per la produzione dell’ammoniaca da azoto e idrogeno fu brevettato nel 1908 da Fritz Haber. Durante la Prima guerra mondiale fu usata su scala industriale per la prima volta e permise ai tedeschi di continuare la guerra per quattro anni nonostante il blocco navale dei composti azotati, fondamentali per produrre le munizioni. Poi la sintesi dell’ammoniaca fu alla base della crescita della popolazione mondiale nel primo dopo guerra tramite i fertilizzanti, ma questa è una storia diversa.
Effettivamente la Prima guerra mondiale cambiò tutto nel panorama internazionale, compreso il rapporto degli scienziati tra di loro. L’internazionalismo anteguerra svanì rapidamente. Lo spartiacque fu l’uso dei gas asfissianti a Ypres nell’aprile del 1915 che causò più di diecimila morti negli eserciti alleati e qualche decina di migliaia di feriti. Per l’epoca fu un’impresa di altissima tecnologia, come la bomba atomica una trentina d’anni dopo, e richiese un imponente contributo degli scienziati tedeschi, tra cui cinque futuri premi Nobel.
La bomba atomica, la bomba all’idrogeno sono fatti recenti che conosciamo tutti. L’enormità del potere distruttivo della energia atomica fece sì che gli scienziati incominciassero a sentire e a prendersi le loro responsabilità. Fermi ed altri fisici scrissero nel 1945 una lettera al governo USA chiedendo che la bomba non venisse lanciata sul Giappone e nel 1953 un’altra lettera chiedendo che non si procedesse verso la costruzione della bomba all’idrogeno e che si incominciasse una collaborazione con i sovietici.
Ma la vera svolta avviene con il Manifesto Einstein-Russell, quando 13 premi Nobel per la fisica, più un futuro premio Nobel per la pace (Roblatt) firmano un documento di importanza storica contro la guerra nucleare, un appello che incomincia così [2]:
Parliamo in questa occasione non come membri di questa o quella nazione, continente o credo, ma come esseri umani, membri della specie Uomo, la cui esistenza è in dubbio. Il mondo è pieno di conflitti e, in secondo piano rispetto a tutti i conflitti minori, c’è la lotta titanica tra comunismo e anticomunismo. Quasi tutti coloro che hanno una coscienza politica provano sentimenti forti su uno o più di questi temi; ma noi vogliamo che, se potete, mettiate da parte questi sentimenti e vi consideriate solo come membri di una specie biologica che ha avuto una storia straordinaria e di cui nessuno di noi può desiderare la scomparsa.
Ma arriviamo ai giorni d’oggi. Quest’anno abbiamo affrontato un’enorme tragedia, che ha causato la morte non solo di militari ucraini e russi, ma anche di un gran numero di civili. Siamo stati testimoni di un numero incredibilmente alto di rifugiati, 10 milioni di soli ucraini, su un totale di 100 milioni in tutto il mondo. Questa tragedia deve finire subito, ma dobbiamo anche pensare a lungo termine. E ora che i tempi della guerra fredda stanno tornando, dovremmo porci una domanda fondamentale. Perché siamo vivi? Perché non siamo morti nella Terza guerra che si sarebbe potuta scatenare?
Gran parte del merito deriva dalla consapevolezza che bisognava evitare un’escalation incontrollata e che era essenziale che gli eserciti del Patto di Varsavia e della NATO non si scontrassero militarmente. Ci si trovava in una situazione di distruzione reciproca assicurata (MAD) nel caso di una guerra atomica. Anche se il numero di testate nucleari totali è enormemente diminuito, dalle sessantamila degli anni Ottanta alle attuali diecimila (tra cui le circa 2000 testate strategiche della NATO e le 1600 testate russe), siamo ancora nella stessa situazione, queste armi sono in grado di devastare completamente l’emisfero settentrionale. Era e rimane fondamentale disinnescare i conflitti prima che si arrivi a uno scontro armato diretto tra i rispettivi eserciti. Ora, è incoraggiante ricordare che a questo proposito la scienza offre un terreno e degli strumenti.
La scienza, o per meglio dire la cosiddetta diplomazia degli scienziati, ha già avuto in passato un ruolo diretto ed efficace nella costruzione della pace. Il primo esempio di questo tipo di diplomazia sono state le Conferenze Pugwash fondate da Roblatt subito dopo la stesura del Manifesto Einstein-Russel. Questa organizzazione ha svolto un ruolo utile nell’aprire canali di comunicazione in un periodo di difficili relazioni ufficiali e tramite incontri non ufficiali ha contributo a fornire le analisi tecniche che sono state alla base di tanti accordi, tra cui il primo Trattato sul divieto di test atomici nell’atmosfera (1963) e il Trattato di non proliferazione (1968). A Pugwash è stato attribuito il merito di essere un’organizzazione “transnazionale” innovativa e all’avanguardia, nonché un esempio di efficacia della cosiddetta diplomazia non convenzionale.
Le conferenze Amaldi organizzate dall’Accademia dei Lincei hanno anch’esse finalità simili a quelle delle Conferenze Pugwash, riunendo diplomatici, militari e politici di tutto il mondo per discutere a porte chiuse i principali punti di attrito. La commissione lincea che organizza queste conferenze ha scritto un documento sulla crisi in Ucraina, in cui si dice tra l’altro [3]:
Ci rivolgiamo agli scienziati dei paesi coinvolti direttamente o indirettamente, in particolare alla comunità intellettuale che ha partecipato alle Conferenze Amaldi, inclusi gli scienziati russi, affinché intervengano per denunciare all’opinione pubblica i rischi reali connessi con l’uso di armi nucleari tattiche e chiedano ai loro Governi di impegnarsi esplicitamente per il no first use delle armi nucleari. Contestualmente, chiediamo che si riprendano immediatamente negoziati globali relativi al disarmo nucleare, che coinvolgano tutte le potenze nucleari.
Infatti, bisogna assolutamente evitare che qualche Stato utilizzi per primo la bomba atomica. Mentre la Cina e l’India hanno dichiarato formalmente che la loro politica è di non usare per primi l’arma nucleare (No first use), il Pakistan, la Francia, l’Inghilterra, la Russia e gli Stati Uniti hanno ripetutamente dichiarato che si riservano il diritto di usare per primi la bomba atomica anche se non attaccati con armi nucleari.
È di questi giorni la notizia di un appello, firmato tra l’altro da una dozzina abbondante di premi Nobel, me compreso, in cui si chiede di riconsiderare questa posizione [4]. Il documento inizia con la richiesta “di un immediato cessate il fuoco in Ucraina e di aiuti umanitari per tutti coloro che stanno soffrendo a causa della guerra” e termina con “un appello ai governi che possiedono armi nucleari e ai loro alleati di dichiarare pubblicamente e con urgenza di aderire alla politica di non primo uso delle armi nucleari o di altre armi di distruzione di massa, e di astenersi da qualsiasi uso di queste armi e di aderire al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari lanciato dalle Nazioni Unite”.
Queste richieste possono sembrare in controtendenza con l’attuale fase politica. Tuttavia è proprio adesso il momento di preparare la pace. Non credo che sia un caso che la stagione dei trattati incominci proprio nel 1963, subito dopo la crisi dei missili Cuba. Era stata una crisi pericolosissima: il comandante di un sottomarino sovietico decise addirittura di far partire i missili atomici, ma per far questo aveva bisogno del consenso dei vicecomandanti, che fortunatamente non ci fu. La crisi era pericolosa proprio perché, se le discussioni si fossero limitate solo al futuro di Cuba, non era possibile trovare una soluzione senza che qualcuno perdesse la faccia. Ma fortunatamente ci fu una trattativa globale che portò al ritiro di molti missili istallati in Turchia e in Italia.
Dopo essersi fermati appena in tempo sul bordo dell’abisso, il pericolo scampato fu la molla che fece scattare un cambiamento nei rapporti politici e la ricerca di intese sulle armi nucleari.
Anche adesso, sembra difficile riuscire a trovare un accordo di pace accettabile da entrambe le parti se ci si limita solo alla situazione ucraina; tuttavia, potrebbe essere possibile trovarlo allargando il discorso e aprendo un negoziato globale tra Russia e Occidente sui tanti punti di contrasto, includendo la riduzione delle armi nucleari e la costruzione di zone denuclearizzate. Io spero sinceramente che Putin e Biden abbiano alla fine un poco di quella saggezza mostrata dai loro predecessori di sessanta anni fa, Kennedy e Krusciov.
Fatemi concludere con le parole conclusive del Manifesto Einstein-Russel, parole che forse a qualcuno suonano retoriche, ma testimoniano di una sapienza concreta e più necessaria che mai, o se preferite di un basilare istinto di conservazione che può ancora accomunarci [2]:
Davanti a noi, se lo scegliamo, c’è un continuo progresso nella felicità, nella conoscenza e nella saggezza. Dovremmo invece scegliere la morte, perché non riusciamo a dimenticare i nostri litigi? Ci appelliamo, come esseri umani, agli esseri umani: Ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto.
Bibliografia
1. Parisi, G.; con Paterlini, P.G. Gradini che non finiscono mai. La nave di Teseo: Milano, 2022.
https://www.lanavediteseo.eu/item/parisi-gradini-che-non-finiscono-mai/.
2. Atomic Heritage Foundation. Russel-Einstein Manifesto.
https://ahf.nuclearmuseum.org/ahf/key-documents/russell-einstein-manifesto/.
3. Accademia Nazionale dei Lincei. Dichiarazione del Gruppo di lavoro per la Sicurezza Internazionale e il Controllo degli Armamenti (SICA). https://www.lincei.it/it/article/dichiarazione-del-gruppo-sica.
4. International Peace Bureau. Declaration 2022 – Call for peace from the international scientific community by Nobel laureates. https://www.ipb.org/declaration-2022-call-for-peace-from-the-international-scientific-community-by-nobel-laureates/.