Il ruolo dello scienziato nel mondo di oggi

Alberto Credi

Dipartimento di Chimica Industriale “Toso Montanari”, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Contributo presentato da Pierluigi Contucci

Abstract

Scientific research underpins socioeconomic progress and will enable mankind to address the major challenges of our time through currently unknown solutions. In particular, curiosity-driven fundamental research is essential to achieve groundbreaking innovation. To reach this goal, scientists must focus on the quality of their work and uphold the core values of research: integrity, ethics, transparency, reproducibility, collaboration across geographic boundaries, and interdisciplinary dialogue. Passion, creativity, humility and perseverance are essential qualities of the scientist, along with the ability to communicate effectively with the public and policymakers, to generate trust for research and support informed decisions at all levels.

Keywords

Basic science, Curiosity-driven research, Innovation, Interdisciplinarity, Research integrity.

© Alberto Credi 2024 / Doi: 10.30682/annalesps2402l

This is an open access article distributed under the terms of the CC BY 4.0 license

Intraprendere la carriera dello scienziato e, più in generale, del ricercatore, è un percorso che va oltre il semplice esercizio professionale, specialmente nel contesto accademico. Non è una strada che promette ricchezza o fama, in netto contrasto con i modelli di successo contemporanei, spesso legati al guadagno immediato e alla visibilità mediatica. Quella del ricercatore è prima di tutto una vocazione. Alla base di questa scelta ci sono la curiosità e la creatività – doti innate nell’essere umano – ma anche l’ambizione di raggiungere risultati significativi, in un contesto caratterizzato da una forte competitività, ad esempio quando si tratta di ottenere finanziamenti per la ricerca o di pubblicare il proprio lavoro su riviste di elevato prestigio. Tale ambizione deve essere indirizzata in senso positivo e deve contemperarsi con un’altra virtù essenziale del ricercatore: l’umiltà che deriva dalla volontà di imparare e di migliorarsi. Non vi è dubbio, tuttavia, che la passione per la propria disciplina e, più specificamente, per i propri temi di interesse debba essere la principale spinta propulsiva per un ricercatore, sia agli inizi che nelle fasi più mature della carriera.

Poiché, come è noto, l’attività dello scienziato è fatta di alti e bassi, la solidità di tali motivazioni è importante per superare gli insuccessi che inevitabilmente si presentano durante il percorso ed imparare dai propri errori. Occorre ricordare che la ricerca scientifica è un processo continuo di scoperta e apprendimento, dove anche i dubbi e i fallimenti contribuiscono al progresso della conoscenza [1]. Questa visione è fondamentale per comprendere la natura del lavoro del ricercatore, fra successi ed errori, in un cammino che richiede perseveranza e dedizione.

Secondo i dati dell’OCSE, nel 1981 il numero totale di ricercatori nel mondo era di circa 2,4 milioni, dei quali 1,1 milioni impiegati nelle Higher Education Institutions (HEI, tipicamente, le università); nel 2022 questa cifra è aumentata notevolmente, raggiungendo circa 8,9 milioni di ricercatori a livello globale, dei quali poco meno della metà lavorano nelle HEI [2]. Secondo alcuni, un aumento così significativo negli addetti alla ricerca non ha prodotto un impatto altrettanto evidente in termini di innovazione e progresso economico [3]. Forse, per spiegare almeno in parte questo fenomeno, ci si può riferire alle parole dello scrittore George M. Trevelyan: “Education has produced a vast population able to read but unable to distinguish what is worth reading” [4]. Parafrasando questa citazione, si potrebbe dire che l’alta formazione ha generato molte persone in grado di fare ricerca, ma non sempre capaci di distinguere cosa vale la pena ricercare.

A mio modo di vedere, oggi più che in passato, la stella polare della ricerca scientifica deve essere la qualità; in termini pratici, ciò significa affrontare problemi estremamente rilevanti e sfidanti, con l’obiettivo di dare un contributo tangibile al progresso della conoscenza. Questo approccio si contrappone a quello basato sulla quantità della produzione scientifica, in cui si privilegiano lavori di tipo incrementale, certamente meno esposti al rischio di insuccesso, ma che raramente conducono a svolte significative nello stato dell’arte. In un’epoca dominata dal motto “publish or perish” (letteralmente: pubblica o muori), la qualità della ricerca rischia di essere sacrificata sull’altare della produttività [5]. Questa parola, che ha un significato preciso in campo economico, non ha molto senso se viene applicata al lavoro del ricercatore, come invece talvolta accade [3]; su questo aspetto torneremo più avanti. Il fenomeno dei paper mills [6] – organizzazioni che producono e vendono articoli scientifici su commissione – la manipolazione delle (auto)citazioni, il plagio e la pubblicazione selettiva dei risultati (selective reporting) [7], ovvero l’omissione o la sottovalutazione di dati ritenuti non positivi o significativi, in netto contrasto con lo spirito del ricercatore sopra richiamato, sono manifestazioni di una crisi etica e metodologica che minaccia l’integrità della scienza. È quindi essenziale riportare l’attenzione sui valori fondamentali della ricerca e del metodo scientifico: onestà intellettuale, integrità, trasparenza e riproducibilità [8]. In questo contesto, l’approccio della scienza aperta può portare grandi benefici, promuovendo la condivisione degli studi, dei dati e dei risultati in modo trasparente e accessibile, affinché altri ricercatori possano verificarli e riprodurli. Tutti questi aspetti sono al centro della Carta Europea dei Ricercatori e del recente accordo europeo per la riforma della valutazione della ricerca [9].

Un altro aspetto degno di nota per il tema oggetto di questo articolo riguarda l’insegnamento basato sulla ricerca (research-based teaching), pratica che caratterizza la formazione universitaria (intendo quella degli atenei tradizionali; il fenomeno delle università telematiche, a mio avviso molto preoccupante, meriterebbe un discorso a parte) rispetto a quella scolastica. L’Europa, e più in generale l’Occidente, ha scelto di basare il proprio modello di sviluppo socioeconomico sul cosiddetto triangolo della conoscenza, composto da alta formazione (imparare), ricerca (scoprire) e innovazione (creare valore). Questi tre elementi sono interconnessi e si influenzano fra loro, come mostrato nella Fig. 1,1 alimentandosi reciprocamente attraverso un processo continuo di apprendimento e applicazione.

Fig. 1. Il triangolo della conoscenza mette in evidenza il circolo virtuoso fra formazione, ricerca e innovazione alla base del progresso socioeconomico degli ultimi decenni.

 

Una sfida significativa, ma anche un’opportunità, per i ricercatori accademici è l’integrazione tra l’innovazione nella tecnologia e nella medicina, e le scienze umane, artistiche e sociali. L’esperienza recente dimostra che, per affermarsi pienamente ed efficacemente, una nuova tecnologia deve essere accompagnata da un adeguato sviluppo culturale, sociale, economico e normativo. Il contributo delle discipline storiche, ad esempio, è molto importante, perché conoscendo il passato si può vivere il presente con consapevolezza e porre le basi per un futuro migliore. Promuovere approcci multidisciplinari e interdisciplinari al progresso tecnologico è un compito fondamentale delle università, soprattutto per quelle finanziate con denaro pubblico e attive in tutti i campi del sapere, come la mia Alma Mater.

In generale, osserviamo che la ricerca scientifica sta diventando sempre più specializzata, grazie alle possibilità – consentite anche dagli strumenti tecnologici – di investigare un tema specifico in maniera estremamente approfondita. Vincenzo Balzani, accademico Linceo e professore emerito dell’Università di Bologna, notava [10]:

Questa estrema specializzazione causa un fatto che è esattamente questo: mentre un tempo gli scienziati sapevano quasi niente di quasi tutto, oggi è il contrario, gli scienziati sanno quasi tutto ma di quasi niente, e spesso per parlare di quel quasi niente nel quale sono estremamente specializzati usano parole che quasi nessuno capisce […]. Naturalmente si è venuta a creare una frattura fra le varie discipline – ma questo è inevitabile perché non si può saper tutto.

Inoltre, nel nostro Paese la conoscenza è spesso incasellata in una griglia rigida di settori e ambiti disciplinari, con il motivo (talvolta la scusa) di agevolare la programmazione e la gestione delle attività di ricerca e di alta formazione. Ciò rende difficile per il ricercatore – in alcuni casi, persino controproducente per la propria carriera – perforare le pareti di questi “silos”. È quindi fondamentale individuare e valorizzare adeguatamente, anche in termini di riconoscimento accademico, di finanziamenti e di prospettive di crescita professionale, i risultati della ricerca inter- e trans-disciplinare, senza tuttavia perdere di vista l’importanza dei saperi disciplinari, rispetto ai quali occorre creare un equilibrio virtuoso. Solo in questo modo si potranno affrontare i problemi del mondo di oggi, caratterizzati da una elevata complessità e multidimensionalità, in maniera efficace e genuinamente innovativa.

Un’altra questione assai dibattuta e di grande rilevanza per i ricercatori riguarda la natura della ricerca di base e della ricerca applicata, e il rapporto fra esse. La distinzione tra queste due tipologie è spesso percepita come una contrapposizione; questa visione, a mio parere, è sbagliata e controproducente. Il punto deve essere, di nuovo, la qualità come fattore discriminante tra la ricerca buona e cattiva. La buona ricerca, indipendentemente dalla sua natura fondamentale (ovvero con utilizzi che potranno verificarsi in un futuro non ben definito e al momento in gran parte non immaginabili) o applicata (con impatti già ben delineati nel breve-medio periodo), contribuisce ad aumentare il livello di conoscenza, che è il punto di partenza per ulteriori scoperte e innovazioni.

L’enorme progresso tecnologico degli ultimi decenni ha portato molte persone a credere, erroneamente, che l’innovazione possa essere ottenuta “su ordinazione”. La scienza e la ricerca non funzionano in questo modo. La trasformazione di un’idea di ricerca di base in un’applicazione concreta è un processo complesso, non lineare, poco conosciuto e spesso imprevedibile [11]. Dobbiamo anche ricordare che le tecnologie sfruttano fenomeni naturali che esistono in natura indipendentemente dalla volontà o dalle necessità dell’uomo. Per esempio, le onde radio non sono state scoperte perché qualcuno, un giorno, decise che servivano mezzi di comunicazione più veloci ed efficaci. La loro esistenza fu dimostrata sperimentalmente da Heinrich Hertz, il cui lavoro fu ispirato dalle previsioni delle equazioni teoriche di James Clerk Maxwell e stimolato dalla magnifica eleganza delle medesime. La storia insegna che molte delle invenzioni che hanno avuto grande successo commerciale sono il frutto di ricerche condotte senza uno scopo economico immediato, o di scoperte fatte in maniera casuale, oppure addirittura di errori ed incidenti sperimentali [1].

Alcuni ritengono che la ricerca dovrebbe concentrarsi prevalentemente, o addirittura esclusivamente, sui problemi impellenti della nostra società: salute, energia, cibo, acqua, cambiamenti climatici, migrazioni, comunicazioni, sicurezza, ecc. Secondo questa visione, le priorità della ricerca dovrebbero essere determinate dalla politica. Questo approccio può sembrare ineccepibile, soprattutto in tempi di poli-crisi come quelli che stiamo attraversando. Tuttavia, indebolire il supporto alla ricerca fondamentale curiosity driven a favore di quella challenge driven potrebbe avere, nel lungo termine, conseguenze gravemente negative. Infatti, nel momento in cui si esaurissero le idee nuove che derivano dalla libera creatività del ricercatore, non resterebbe altro che migliorare l’esistente, interrompendo perciò il ciclo virtuoso del quale si è parlato a proposito della Fig. 1. C’è quindi assoluto bisogno, oggi più che mai, di ricerca fondamentale, guidata dal desiderio di osservare, scoprire, comprendere e creare. Le università e gli enti di ricerca, in particolar modo quelli pubblici, liberi dai condizionamenti e dalle necessità dei mercati, sono i luoghi privilegiati per portare avanti questa missione.

Si sente dire sempre più spesso che la chiave del successo della nostra economia è la competitività, e che i ricercatori devono dare il loro contributo a questa causa [12]. Ma cosa si intende per competitività? Sembra di poter affermare che, per la maggior parte delle persone, essa è strettamente legata al concetto di crescita economica. Tuttavia, questa linea di pensiero presenta due vizi fondamentali. Innanzitutto, il nostro pianeta è un sistema chiuso (ma non isolato, per via dell’energia che riceve dal Sole), e quindi la crescita economica intesa come aumento della ricchezza (per un paese, il cosiddetto prodotto interno lordo) non può continuare all’infinito e per tutti. In secondo luogo, è noto che la correlazione positiva tra reddito economico e benessere si verifica soltanto fino ad una certa soglia di reddito [13]. Il tema centrale da affrontare, quindi, riguarda una distribuzione più equilibrata della ricchezza nella società, piuttosto che una crescita indiscriminata che, per le ragioni illustrate poc’anzi, non farebbe altro che aumentare le disuguaglianze. Porre come obiettivo istituzionale delle università e degli enti di ricerca quello di affrontare in maniera diretta questioni come la produttività e la crescita economica sarebbe un azzardo pericoloso. Il compito principale di queste istituzioni dovrebbe essere quello di sviluppare appieno il potere trasformativo della scienza, che è enorme, svolgendo una ricerca di qualità elevata e con una visione ambiziosa. Le opportunità che abbiamo di plasmare il futuro, anziché limitarci a inseguire il presente, derivano proprio dal potenziale visionario e dalla capacità di superare i limiti, propri della ricerca scientifica.

Le idee originali sono senza dubbio un elemento primario nella ricerca; tuttavia, come osservato da un grande scienziato del passato, “non c’è bisogno di un taccuino per annotarle, dal momento che sono estremamente rare”. D’altra parte, secondo Thomas Edison, uno degli inventori più prolifici della storia, “il genio è un per cento ispirazione e novantanove per cento traspirazione”. Queste espressioni evidenziano l’importanza del duro lavoro e della tenacia del ricercatore. Non è sufficiente, quindi, avere buone idee; è necessario anche lavorare in maniera instancabile per svilupparle e trasformarle in innovazioni che possano avere un impatto positivo sulla società.

Come ricercatore di base in una scienza “dura” – la chimica – mi stanno particolarmente a cuore le discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Queste materie sono fondamentali per il progresso tecnologico, come dimostrato dalla costante richiesta di laureati e dottori di ricerca da parte del mercato del lavoro, che le università faticano a soddisfare. Questo, però, non deve essere l’unico argomento per far avvicinare gli studenti a tali campi scientifici: è importante far loro capire che lo sviluppo di un algoritmo, la sintesi di una nuova molecola o la progettazione di un esperimento di fisica possiedono un’eleganza intrinseca che deriva dall’esercizio dell’ingegno umano. La ricerca scientifica, quindi, vale la pena di essere perseguita non solo perché è utile, ma anche per la sua bellezza [14]. Secondo una celebre frase attribuita a Richard Feynman, uno degli scienziati più brillanti del XX secolo, “la fisica è come il sesso: certo, può dare qualche risultato pratico, ma non è per questo che la facciamo”. Questa affermazione cattura in modo magistrale l’essenza della ricerca scientifica: un’avventura intellettuale guidata dalla curiosità e dal desiderio di comprendere il mondo – dall’infinitamente piccolo della fisica, della chimica e della biologia all’infinitamente grande dell’astrofisica e della cosmologia. Certo, lo scienziato di oggi non si può disinteressare delle possibili ricadute delle proprie attività sulla società, soprattutto sotto il profilo dell’etica, ma non dovrebbe farsi condizionare troppo dallo sviluppo di applicazioni pratiche nell’immediato [15].

In conclusione, la ricerca scientifica, se correttamente orientata e finanziata, avrà un ruolo cruciale nel risolvere i grandi problemi del nostro tempo, attraverso soluzioni che ancora non conosciamo. Non si tratta, tuttavia, di una questione di sole risorse umane e materiali: la ricerca ha bisogno del supporto dell’opinione pubblica, che deve fare pressione sui decisori politici affinché indirizzino le loro scelte sulla base delle evidenze fornite dalla conoscenza. Anche in questo, gli scienziati hanno un compito fondamentale: impegnarsi per (ri)costruire un rapporto di fiducia con i cittadini, sia attraverso metodi più efficaci di comunicazione e di coinvolgimento delle comunità, sia contrastando la disinformazione [16]. La recente esperienza dei vaccini contro il COVID-19 ha mostrato che tale rapporto si può ricucire, e che è estremamente importante farlo per il bene collettivo. I ricercatori dovrebbero partecipare attivamente al dibattito pubblico, contribuendo con la loro competenza e conoscenza a creare un’opinione pubblica informata e consapevole. In ultimo, ma non per importanza, occorre rimarcare che il futuro della ricerca dipende dalla capacità di attrarre e formare nuove generazioni di ricercatori. Ciò richiede un impegno continuo per migliorare la qualità della didattica (a partire dalla scuola primaria) e dell’alta formazione, promuovendo un ambiente di apprendimento stimolante e inclusivo, che valorizzi la diversità delle esperienze, delle sensibilità e delle prospettive dei giovani.

Bibliografia

1. Greco, P. Errore. Doppialuce: Napoli, 2019.

2. Statistiche dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). https://stats.oecd.org (ultima consultazione di tutti i link: 20 luglio 2024).

3. How universities contribute to slow economic growth. The Economist. February 10, 2024, 62.

4. Trevelyan, G.M. English Social History: A Survey of Six Centuries: Chaucer to Queen Victoria. Longmans, Green and Co.: New York, 1942.

5. Van Noorden, R. More than 10,000 research papers were retracted in 2023 – A new record. Nature 2023, 624, 479-481.

6. Else, H.; Van Noorden, R. The fight against fake-paper factories that churn out sham science. Nature 2021, 591, 516-519.

7. Si veda ad esempio: Kimmel, K.; Avolio, M.L.; Ferraro, P.J. Empirical evidence of widespread exaggeration bias and selective reporting in ecology. Nat. Ecol. Evol. 2023, 7, 1525-1536.

8. National Academy of Sciences; National Academy of Engineering (US); Institute of Medicine (US) Committee on Science, Engineering, and Public Policy. On being a scientist: a guide to responsible conduct in research, 3rd edition. National Academies Press: Washington DC, 2009. https://doi.org/10.17226/12192.

9. The Agreement on Reforming Research Assessment. https://coara.eu/agreement/the-agreement-full-text/.

10. Fondazione Premio Internazionale Galileo Galilei. https://www.premiogalilei.it/portfolio-articoli/prof-vincenzo-balzani/.

11. Bourguignon, J.-P. How to define research impact. Discorso pronunciato dal Presidente del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) alla riunione del Gruppo delle Università di Coimbra, 6 dicembre 2018. https://erc.europa.eu/news/how-define-research-impact.

12. European Competitiveness and the role of research, innovation and education. Discorso pronunciato dal Portavoce della Commissione Europea, 19 febbraio 2024. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/speech_24_927.

13. Jebb, A.T.; Tay, L.; Diener, E.; Oishi, S. Happiness, income satiation and turning points around the world. Nat. Hum. Behav. 2018, 2, 33-38.

14. Wilczek, F. Una bellissima domanda. Scoprire il disegno profondo della natura. Einaudi: Torino, 2016.

15. Feynman, R.P. Il senso delle cose. Adelphi: Milano, 1999.

16. Parisi, G. Scienza e pace. Annales. Proceedings of the Academy of Sciences of Bologna, Class of Physical Sciences 2023, 1, 7-14.

 


1 Tutte le immagini sono pubblicate a colori nell’edizione online degli Annales.