La cera tra arte e scienza. Considerazioni sulla nascita e lo sviluppo della ceroplastica anatomica

Roberta Ballestriero

Accademia di Belle Arti di Venezia

Contributo presentato da Lucio Ildebrando Maria Cocco

Abstract

The art of wax modelling spread in XIV-century Italy mainly for religious purposes. In decline artistically in the XVIII century, thanks to the Age of Enlightenment it flourished in the scientific study of normal and pathological anatomy, in obstetrics, in zoology and in botanics. The first anatomical models in coloured wax emerged as a result of the collaboration between Gaetano Giulio Zumbo, a Sicilian wax modeller, and a French surgeon towards the end of the 18th century. About 50 years later, the earliest anatomical wax workshops were established first in Bologna and then in Florence, gradually spreading this art throughout Europe. The remarkable mimetic likeness obtained through wax models led to its use in more specific branches such as obstetrics or pathological anatomy. Collections from four different countries will be briefly analysed to give an overview on how this art developed in the old continent.

Keywords

Wax models, Anatomical collections, Ceroplastics, Moulages.

© Roberta Ballestriero, 2024 / Doi: 10.30682/annalesps2402h

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1. Introduzione

Sostanza organica creata dalle api, la cera è flessibile, malleabile, profuma e reagisce ai cambi di temperatura sudando e aggrinzendosi come la pelle umana. La cera dicono contenga qualcosa di soprannaturale e mistico che affascina e attrae, si piega docilmente alla volontà del suo creatore che la manipola e la trasforma: “la sua plasticità deriva dalla ‘vita’ che le conferisce il semplice calore delle mani” (Didi Huberman 2007, 43).

Le sue particolari caratteristiche e le sue possibilità metamorfiche, permettono una resa mimetica sorprendente e insuperabile da qualsiasi altro materiale. Il fatto che la cera richiami così tanto la pelle e la carne umana spiega perché venne usata nei secoli per la creazione di effigi e maschere funerarie. Considerata come arte maggiore dal XIV al XVI secolo con l’avvento delle poetiche classiciste, improntate alla sobrietà e severità di espressione, l’arte della ceroplastica artistica si avvia verso il declino, sopravvivendo in ambiti minori come le applicazioni devozionali e i musei delle cere del XIX secolo. D’altro lato, soprattutto dal Settecento in poi, si incrementa il suo uso a scopo didattico, in ambito scientifico, per lo studio dell’anatomia normale e patologica, dell’ostetricia, della zoologia e della botanica.

Nel periodo del Rinascimento, momento di grandi scoperte e in cui tutto viene sottoposto a scrutinio più scientifico, ci si dedica con rinnovato interesse allo studio dell’anatomia e si cercano mezzi per divulgare le nuove scoperte al pubblico. Diversi artisti lavoreranno assieme a medici e anatomisti con il fine di creare opere bi e tridimensionali a scopo didattico, questo contemporaneamente alla sperimentazione di metodi per conservare i cadaveri per periodi sufficientemente lunghi da permetterne l’osservazione e lo studio. Diverse tecniche di conservazione furono infatti testate per illustrare la morfologia del corpo umano ma con risultati spesso poco soddisfacenti. Col passare del tempo, i preparati ottenuti dai cadaveri reali si degradavano cambiando forma, colore e diventando difficili da interpretare.

La necessità della creazione di modelli scientifico/didascalici, affidabili e duraturi, a servizio della medicina porterà, dunque, alla ricerca di materiali alternativi per le rappresentazioni anatomiche come: argilla, gesso, cartapesta, cera, vetro. Tra tutti la cera fu considerata uno dei materiali migliori per la realizzazione di modelli di anatomia artificiale, resistenti ed estremamente realistici.

Le opere in ceroplastica anatomica diventarono presto una valida alternativa ai preparati umani disseccati e rimasero in uso come modelli scientifici e supporti didattici fino a quando, poco a poco, vennero considerate obsolete con l’introduzione di mezzi più efficaci, veloci ed economici come la fotografia.

2. Gli albori dell’anatomia in cera

Nel Museo di Storia Naturale, ‘La Specola’, di Firenze, è ancora oggi conservata la celebre testa in cera colorata, modellata su un cranio umano, ritenuta il primo modello conosciuto di ceroplastica anatomica. Opera dell’abate Gaetano Giulio Zumbo (1656-1701), rappresenta la testa di un giovane uomo, dove la pelle del lato sinistro è stata sollevata per mostrare i muscoli, i tendini, i vasi sanguigni sottostanti e le ghiandole salivari; il cranio è scoperto e l’emisfero cerebrale destro è estratto e appoggiato lateralmente. È infatti grazie alla collaborazione tra l’abate Zumbo, ceroplasta siciliano, e il chirurgo francese Guillaume Desnoues, a Genova, che, verso la fine del XVII secolo, nascono i primi modelli anatomici in cera policroma molto realistici tanto da essere considerati come una valida alternativa al cadavere reale.

Nato a Siracusa nel 1656, Zumbo può essere considerato l’inventore dei modelli anatomici in cera colorata. Abile modellatore, lavora a Firenze per Cosimo III de’ Medici e anche per suo figlio, il Gran Principe Ferdinando de’ Medici, nella cui collezione viene conservata la famosa testa anatomica, ancora oggi custodita alla Specola assieme alle quattro macabre composizioni, rappresentati pandemie, chiamate i “Teatri della morte”.

Gli ottimi risultati ottenuti con questa tecnica portano ad abbandonare quasi completamente l’uso di preparati umani disseccati mentre sorgeranno vere e proprie scuole di ceroplastica presso le Università scientifiche.

A Bologna, grazie al suo arcivescovo, il Cardinale Prospero Lambertini (1675-1756), nacque quello che fu probabilmente il primo laboratorio di ceroplastica anatomica conosciuto. (Maraldi et al. 2000). Promotore delle arti e sostenitore del sapere scientifico, divenuto Papa Benedetto XIV nel 1740, l’alto prelato incaricò l’artista Ercole Lelli (1702-1766) di rappresentare otto statue (modellate in cera su scheletri naturali) l’osteologia, l’artrologia, la miologia e le forme esterne del corpo umano, per strati, dal nudo fino allo scheletro. Mise a disposizione del Lelli centinaia di cadaveri che dissezionava con l’aiuto di collaboratori come scultori e chirurghi. L’artista riproduceva i muscoli in cera e li applicava a scheletri reali montati artificialmente in varie posizioni. Nel 1747, venne ufficialmente instituita La Camera della Notomia.

Collaboratore del Lelli, anche se per poco tempo, fu Giovanni Manzolini (1700-1755). In seguito a dissapori, si separarono e il Manzolini continuò l’attività di ceroplasta aiutato dalla moglie Anna Morandi (1716-1774). Alla morte del marito lei continuò a modellare preparati anatomici in cera colorata, diventando un’esperta scultrice ed anatomista, famosa in tutta Europa.

La scuola di ceroplastica fiorentina, deriva direttamente da quella bolognese. Verso la fine del 1771 il naturalista trentino abate Felice Fontana (1730-1805) crea un’officina di ceroplastica nell’Imperial Regio Museo di Fisica e Storia Naturale (detto ‘La Specola’).

Riesce a coinvolgere il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena nella realizzazione di questo progetto. Sovrano intelligente e sensibile alle esigenze della scienza il granduca sembra che non approvasse però le dissezioni sui cadaveri umani. Infatti Fontana utilizzò la cera, per la creazione di quel che possiamo chiamare un “Atlante anatomico in tre dimensioni” ed evitare o limitare così l’uso dei cadaveri.

Fu il più antico museo scientifico d’Europa ad essere aperto al pubblico, il 21 febbraio 1775 e, allo stesso tempo, il primo museo a presentare la natura nella sua completezza.

A Firenze, nel periodo compreso tra il 1771 e il 1893, vennero create intere collezioni per il Museo della Specola e per università italiane e straniere. Nell’officina di ceroplastica abili artisti, con l’aiuto di vari anatomici realizzarono calchi in gesso dai cadaveri per creare successivamente modelli anatomici e patologici, ostetrici e botanici. Nel laboratorio entrò nel 1773, come secondo modellatore, un giovanissimo Clemente Susini (1754-1814) che divenne modellatore capo nel 1782, un incarico che mantenne fino alla sua morte; in quel lasso di tempo effettuò o sovraintese personalmente alla produzione di oltre 2000 modelli.

Per fare in modo che la collezione di cere anatomiche fosse didatticamente utilizzabile anche in mancanza di una guida competente, il Fontana applicò sopra ogni teca il disegno colorato della cera corrispondente e spiegazioni più accurate nel cassettino sottostante la suddetta teca.

Lo scopo del lavoro del Fontana era veramente il cercare di sostituire, con questa collezione, il trattato di anatomia e la dissezione del cadavere ma, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, si convinse che per lo studio e l’apprendimento dell’anatomia non si sarebbe mai potuto fare a meno del cadavere.

Significativo è stato l’esempio di Bologna e Firenze, poiché nel corso del XVIII secolo, i preparati anatomici in cera colorata suscitarono interesse e furono prodotti in tutta Europa. Grazie alle peculiari caratteristiche di questo materiale, alla sua resa iperrealistica si incrementa il suo uso a scopo didattico, in ambito scientifico, per la creazione di bellissime collezioni di modelli tridimensionali. Queste collezioni di ceroplastica anatomica furono un’idea utile per vari motivi, potevano essere infatti interpretate come degli atlanti tridimensionali, accessibili a tutti, ai medici e soprattutto ai chirurghi barbieri che non sapevano il latino e il greco e non potevano perciò leggere la maggior parte dei trattati di anatomia. Gli stessi atlanti anatomici, soprattutto se a colori, avevano prezzi proibitivi. Oltretutto, in assenza delle tecniche del freddo, era difficile conservare i cadaveri per un periodo sufficientemente lungo da permetterne lo studio (Riva 2018).

Questi modelli, con il loro iperrealismo, immediatezza potevano essere facilmente accessibili a tutti, ricchi e poveri, nobili e plebei, analfabeti e istruiti. L’utilità scientifica e didattica di questi preparati era indiscutibile; la creazione di intere collezioni anatomiche in cera, infatti, veniva anche pensata per la preparazione degli studenti di medicina.

La possibilità di studiare su preparati anatomici in cera a grandezza naturale e quasi totalmente rispondenti alla realtà era sicuramente un valido aiuto e supporto ai manuali di anatomia corredati di disegni illustrativi, relativamente leggibili per la bidimensionalità. Grazie alla malleabilità della cera si potevano creare modelli più specifici di particolari del corpo umano, delle varie sezioni, o ingranditi, per facilitarne la lettura. Alcuni tra i migliori esempi sono tutt’oggi conservati a Bologna, nella Collezione delle Cere Anatomiche “Luigi Cattaneo” e rappresentano “l’opera colossale dell’anatomia del cervello” (Fig. 1)1 in otto grandi tavole, in cui i modelli, decisamente sovradimensionati rispetto alle dimensioni naturali (fino a 90×70 cm), rispondono bene alle esigenze dimostrative del tempo (Ruggeri et al. 2018, 27). Realizzati sotto la guida di Luigi Calori, sono opera di Cesare Bettini (1801-1885) l’ultimo grande esponente della scuola ceroplastica bolognese che succede, nel 1849, come modellatore dell’università a Giuseppe Astorri (1785-1852).

Fig. 1. Cesare Bettini (1801-1885), Sezione sagittale mediana di cranio in cera con evidenza delle diverse parti dell’encefalo, 1850 ca., cera, 50×60 cm, Collezione delle Cere Anatomiche “Luigi Cattaneo” – Sistema Museale di Ateneo – Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

 

Ogni laboratorio di ceroplastica spesso differiva nella tecnica di esecuzione, nelle miscele cerose e anche nello stile artistico. Mentre le cere della scuola bolognese venivano modellate su scheletri naturali, ed erano pertanto opere uniche, a Firenze venivano utilizzati dei calchi di gesso per creare dei modelli cavi, con all’interno sostegni metallici e di legno per rinforzare la struttura. L’uso di stampi permetteva di creare più modelli dalla stessa matrice permettendo una grande diffusione dei preparati che venivano venduti anche ad altre università italiane e straniere.

Realizzate interamente in cera, i modelli usciti dall’officina ceroplastica fiorentina, incredibilmente accurati ma esteticamente piacevoli, davano l’impressione di appartenere a persone vive o al massimo ad un corpo ancora tiepido. Sono comunque stupende opere d’arte che con espressioni dolci e spesso sensuali hanno il merito di avvicinare il pubblico all’anatomia, togliendo il macabro disgusto derivante dalla vista del cadavere. Cosa cara anche al direttore del museo, Felice Fontana il quale, riferendosi ad una statua di legno scomponibile (mai finita) affermava: “[…] sarà di un’utilità infinita per la più perfetta intelligenza di tutti gli organi del corpo umano, colla quale in pochi mesi si potrà imparare da chicchessia senza schifo, e difficoltà alcuna l’anatomia nel suo più grande dettaglio” (Fontana 1786).

Questo concetto ben si può applicare all’anatomia in cera che divenne, soprattutto verso la fine del suo mandato, una vera ossessione.

Le cere fontaniane, come scrisse Salvatore De Renzi nel 1848, “[…] popolarizzarono, per così dire, l’Anatomia, perché ne tolsero tutto ciò che produceva ribrezzo o disgusto” (De Renzi 1848).

Se da un lato la collezione fiorentina è frutto del secolo dei lumi, nasce anche in seno al periodo neoclassico in cui l’ideale predominante di bellezza era quello levigato, raffinato e sensuale delle opere di artisti come Antonio Canova. L’influenza del ricco ambiente artistico che circondava medici, anatomisti e ceroplasti si può riscontrare pertanto nello stile delle cere fontaniane.

I modelli spesso ricalcavano le illustrazioni dei trattati di anatomia fino ad allora pubblicati come si può notare, ad esempio, nelle sezioni della testa in cera che richiamano il De dissectione partium corporis humani libri tres del 1545 di Charles Estienne (1504-1564).

D’altro canto, alcune delle cere anatomiche più raffinate si ispirano a precedenti capolavori rinascimentali nelle loro pose e atteggiamenti. Uno dei più bei modelli di Clemente Susini, custodito alla Specola, viene a volte soprannominato Sistema linfatico superficiale in posa Michelangiolesca. Mostra i vasi linfatici superficiali in un soggetto maschile ma la posa elegante di questa statua, e di altre simili, richiama alcuni dei capolavori di Michelangelo come la Creazione di Adamo nella Cappella Sistina di Roma o la statua del Crepuscolo della tomba di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino nella Sagrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze.

L’ispirazione per la posa di queste figure, sdraiate su un fianco con il busto sollevato e sostenuto da un gomito, venne tratta dal passato classico, elemento centrale del Rinascimento italiano. La posa di Adamo, negli affreschi romani delle Scene della Genesi, richiama infatti il prototipo dell’antico dio fluviale.

Sembra che lo stesso Antonio Canova, contemporaneo del Susini, lodasse tra tutte questa statua maschile rappresentante il sistema linfatico superficiale mentre il Susini stesso, come artista, non poteva non risentire dell’influenza della corrente neoclassica del periodo e di artisti come il Canova. Questo è facilmente riconoscibile nell’ideale, perfetto e stereotipato, dei volti di cera, nelle pose delicate o nei gesti aggraziati delle mani delle Veneri che sorreggono le trecce di capelli. Le cere fiorentine sono raffigurazioni realiste ma comunque elegantemente neoclassiche che rispondono alla corrente artistica predominante del periodo.

3. La ceroplastica anatomica al servizio dell’ostetricia

La ceroplastica venne in aiuto alla medicina con lo sviluppo di modelli di insegnamento ostetrico. Infatti, solo nella seconda metà del XVIII secolo, nel corso dell’Illuminismo, divenne evidente la situazione di estremo abbandono in cui la donna era stata tenuta per lungo tempo nel periodo della gravidanza e del parto.

In Europa mancavano quasi totalmente le istituzioni religiose o le case di cura per le donne in periodo di travaglio. L’assistenza alle partorienti veniva fornita da levatrici, comari, mammane, prive di qualsiasi formazione culturale, che si affidavano esclusivamente a conoscenze pratiche trasmettendo così errori e pregiudizi di generazione in generazione. Se intervenivano alcune complicazioni, era probabile che mettessero a rischio la vita della madre e del nascituro.

Nel XVIII secolo si affermò l’intervento medico e un approccio più “scientifico” all’ostetricia, alla figura della levatrice e al parto. Dispositivi ostetrici e modelli didattici vennero impiegati per formare medici e levatrici in un’epoca in cui il rischio di mortalità durante il parto era estremamente elevato.

A Bologna, dal 1750 Giovanni Antonio Galli (1708-1782), tenne, per otto anni presso la propria abitazione, una scuola di ostetricia, nella quale la “scienza de’ parti” veniva insegnata sia a medici, che alle levatrici. Nel 1757, ottenuta la cattedra d’Ostetricia nell’Istituto di Bologna, il Galli, presidente dell’Accademia delle Scienze, inizia il primo insegnamento pubblico di ostetricia servendosi dell’ausilio di una collezione privata di modelli tridimensionali in argilla e cera per le sue lezioni. L’anno seguente Papa Benedetto XIV decise di acquisire questi materiali ostetrici, per implementare le collezioni didattiche dell’Istituto delle Scienze di Bologna (Corradi 1874, 11).

Riguardo ai materiali utilizzati, oltre al costo minore, la suppellettile in argilla risultava, rispetto a quella in cera, più manipolabile e quindi didatticamente più efficace. La possibilità di vedere ma soprattutto toccare i modelli fu un approccio particolarmente importante in campo ostetrico: per la buona riuscita del parto era cruciale la conoscenza della disposizione del feto nell’utero.

La collezione di modelli ostetrici, ammirata nel 1770 da Giuseppe Galletti (?-1819), un chirurgo dell’ospedale di Santa Maria Novella a Firenze, portò infine alla nascita dell’Officina fiorentina de ‘La Specola’. Ispirandosi ai modelli bolognesi, Galletti iniziò a lavorare con lo scultore Giuseppe Ferrini per creare una nuova collezione.

Felice Fontana, fisico di corte granducale e direttore del Museo di Storia Naturale, si appropriò disonestamente dell’idea, motivo per cui ancora oggi si pensa che sia l’autore originale del progetto. A Firenze, infatti, il secondo grande laboratorio di ceroplastica fu creato da Fontana presso il Regio e Imperiale Museo di Fisica e Storia Naturale probabilmente intorno al 1771. Fontana ingaggiò Ferrini come suo primo modellatore e poi, nel 1773, il diciannovenne Clemente Susini come secondo modellatore.

Nel 1796, grazie al professor Luigi Calza (1737-1784), della scuola bolognese e allievo di Giovanni Antonio Galli, fu istituito il primo gabinetto e la prima scuola di ostetricia dell’Università di Padova. Egli seguì le orme del suo ex insegnante commissionando “[…] una raccolta di modelli in cera e in creta per dimostrare lo stato della donna quando è gravida, quando partorisce naturalmente od abbisogna de’ soccorsi dell’arte” (Corradi 1874, 14). Ciò che rimane oggi della grande collezione originale voluta da Calza, composta da modelli in cera e in argilla dipinta, è rappresentata da quaranta cere policrome che mostrano la fisiologia e la patologia del tratto genitale femminile e gli aspetti della gravidanza e del parto.

Utilizzate per l’insegnamento pratico rappresentano l’utero in diverse fasi del periodo di gestazione e illustrano varie posizioni fetali. La collezione fu creata da Giovan Battista Manfredini (1742-1829) e Pietro Sandri (1789-?), entrambi formatisi alla Scuola di Bologna.

Un’altra collezione ostetrica, che contiene alcuni dei modelli in cera anatomica più raffinati e dettagliati, è ancora conservata in Spagna. Il Museo di Anatomia “Javier Puerta” appartiene alla Facoltà di Medicina dell’Università Complutense di Madrid. Ha origine nel Collegio Reale di Chirurgia di San Carlos, istituito con Regio Decreto di Carlo III nel 1787. Come in altre istituzioni scientifiche europee, i modelli anatomici vennero inizialmente portati dall’estero, dove erano già stati istituiti dei laboratori di modellazione in cera.

Per contribuire a migliorare lo studio della chirurgia, il monarca commissionò la creazione di una collezione di esemplari anatomici realizzati con vari materiali.

Il primo direttore del museo fu l’eminente chirurgo e anatomista spagnolo Antonio de Gimbernat y Arbós (1734-1816), anche se la maggior parte della collezione di cere anatomiche fu creata sotto la direzione del secondo direttore, Ignacio Lacaba y Vila (1745-1815).

Fin dalla sua nomina, uno degli obiettivi principali di Gimbernat fu lo sviluppo del Gabinetto anatomico e patologico. Nel dicembre 1794, il direttore presentò una relazione sullo stato di avanzamento del Collegio:

La formazione del gabinetto anatomico e patologico […], è molto avanzata, tanto in pezzi naturali preparati semplici, come in quelli artificiali di cera. Da questi ultimi si contano oggi 57 pezzi […]. Tra questi, merita particolare attenzione la raccolta di quelle che rappresentano i diversi stadi della gravidanza dal concepimento al parto, le varie posizioni del feto all’interno del grembo materno e la sua relazione con la madre: tutte condizioni fondamentali per il successo della pratica dei Parti […] A completamento di questo tema, sono in corso di realizzazione diversi esemplari in cera che mostrano lo svolgimento del parto naturale, e tutte le tipologie laboriose e preternaturali, in modo che questa collezione possa essere oggi annoverata tra quelle celebrate in Europa (Gimbernat 1794).

Nel 1796 Lacaba pubblicò, con Jaime Bonells, un trattato: Corso completo di anatomia del corpo umano in cui dedica l’ultimo capitolo all’arte di realizzare modelli anatomici in cera. Nel 1797 fu nominato Chirurgo da Camera, concludendo una collaborazione decennale con i due artisti che crearono i modelli, Juan Cháez (1750-1809), scultore e professore di scultura spagnolo, e un artista italiano, Luigi Franceschi (attivo dal 1790) di origini toscane.

La collezione di sculture policrome in cera comprende una straordinaria serie di modelli che rappresentano le varie fasi della gravidanza dal concepimento al parto. Mentre altre collezioni, ad esempio quella di Firenze, Cagliari o Londra, sono nate anche da dissezioni di cadaveri, i modelli di Madrid invece sono stati creati utilizzando esclusivamente illustrazioni di famosi libri di anatomia. È probabile infatti che molti dei preparati artificiali non siano stati realizzati a partire dalla dissezione perché, secondo un documento pubblicato nella Gazzetta del 12 novembre 1790, sembrerebbe che non ci fossero abbastanza cadaveri per mostrare ogni stadio dello sviluppo del feto: “[…] per buone ragioni, non è possibile mostrare – nei cadaveri – le varie situazioni del feto nelle diverse fasi della gravidanza […]”(Gazette 1790, 750-752).

Nel suo trattato, Lacaba cita spesso le splendide tavole del libro di ostetricia di “Guillermo Hunter”, si riferisce al Anatomy of the Human Gravid Uterus di William Hunter (1718-1783), pubblicato nel 1774. I modelli ostetrici di Madrid si ispirano, infatti, a due opere britanniche – il libro di Hunter e il trattato di William Smellie sull’ostetricia (A Sett of Anatomical Tables, With Explanations and an Abridgement of the Practice of Midwifery, pubblicato in numerose edizioni tra il 1754 e il 1791).

A questo proposito, possiamo notare una grande somiglianza nelle cere, nelle posizioni fetali e nei dettagli che appaiono in varie tavole incise di Charles Grignon (1717-1810) e Jan van Rimsdyck (1750-1788), contenute nella famosa opera di William Smellie.

Lo scopo della collezione spagnola era quello di essere realistica e utile dal punto di vista didattico. Nel 1790 il Real Colegio de Cirugia instituì il primo insegnamento per le ostetriche, quindi una tale collezione sarebbe stata molto utile in un epoca in cui partorire era ancora estremamente pericoloso. Gimbernat, venne incaricato di preparare anche l’ordinanza del Reale Collegio di Barcellona, in cui cercò di dare istruzioni chiare alle ostetriche. In questa città, infatti, le donne che partorivano rifiutavano l’intervento dei medici e facevano affidamento solo sull’assistenza delle levatrici/comari. Gimbernat propose delle riforme per l’insegnamento dell’ostetricia, ma si era ancora ben lontani da quanto era stato realizzato nel Collegio di Madrid (Salcedo y Ginestal 1926, 161).

Un modello molto interessante, che può essere inserito, come tematica, tra l’ostetricia e la patologia è la Venerina, un’opera di Clemente Susini oggi custodita nel museo di Palazzo Poggi a Bologna. Conosciuta con questo nome per le sue dimensioni minute (145 cm), il Susini realizzò questo modello nel 1782, copiando scrupolosamente il cadavere di una giovane appena deceduta. L’abilità dell’artista, in quell’anno divenuto modellatore capo dell’officina di ceroplastica de ‘La Specola’, si manifesta nella meticolosa rappresentazione di un caso clinico sconosciuto ai medici del tardo Settecento. La Venerina risulta infatti estremamente interessante dal punto di vista anatomico per la causa della morte e la peculiarità della malattia. Il modello rappresenta fedelmente una giovane deceduta durante la gravidanza. È una cera scomponibile in cui è possibile rimuovere la parete toracica e addominale scoprendo che la donna era al quinto mese di gravidanza. Nel torace, il cuore è stato lasciato in situ ed è stato sezionato lungo un piano frontale in modo da poter osservare chiaramente le cavità degli atri e dei ventricoli. Tenendo presente che in un cuore normale, il ventricolo sinistro è tre volte più spesso del destro, nella Venerina il diametro massimo di ciascuna cavità ventricolare è simile, circa 32 mm, e le pareti ventricolari hanno lo stesso spessore, 5 mm (Mazzotti et al. 2010, 273).

La fedeltà dell’opera è confermata dall’abitudine di Susini di prendere il calco direttamente dall’originale, rendendo così le dimensioni minute della Venerina probabilmente corrispondenti alla realtà. Anche la struttura interna del cuore è stata riprodotta con estrema precisione, rivelando tutte le caratteristiche anatomiche. Grazie a questa meticolosa rappresentazione, si è potuto scoprire, solo duecento anni dopo la realizzazione della statua in cera, che la giovane soffriva di una malattia cardiaca congenita responsabile di un’alterazione della circolazione sanguigna e del tasso di crescita. La sua morte prematura potrebbe essere stata causata da un’infezione endocardica o da un’insufficienza cardiovascolare aggravata dall’avanzare della gravidanza (Mazzotti et al. 2010, 273).

4. La ceroplastica patologica

Grazie alla scoperta e allo studio dell’anatomia dal Cinquecento, si gettarono le basi per l’affermarsi di una concezione anatomica della malattia. La diffusione della pratica dissettoria portò, con frequenza crescente, alla scoperta casuale di insospettabili alterazioni organiche. Successivamente, nel XVII secolo, si cominciò ad investigare nel corpo umano alla ricerca delle cause delle malattie che, anteriormente, venivano imputate a influssi malefici degli astri o accettate come punizioni divine. Ed è proprio in un contesto di credenze, devozione e superstizioni che si sviluppò l’usanza di creare figure in cera, una pratica molto antica. L’arte della ceroplastica venne poi riscoperta in Italia tra il XIII e il XIV secolo grazie all’usanza religiosa di offrire manufatti votivi in questo materiale. Modelli in cera raffiguranti parti del corpo malate, offerti come ex-voto a divinità pagane dalle doti taumaturgiche, sono documentati fin dall’antichità. Con l’avvento del Cristianesimo la devozione si spostò verso Cristo, la Vergine e i Santi, pur rimanendo invariato lo scopo delle offerte: chiedere la liberazione dalle malattie e ottenere la guarigione degli organi e delle parti del corpo affette.

Grazie alla sua capacità di rendere l’incarnato umano in modo estremamente realistico, la cera venne successivamente utilizzata per le rappresentazioni scientifiche, di anatomia normale e patologica principalmente a scopo didattico. Uno dei campi in cui l’utilizzo della cera ha avuto un ruolo cruciale, ottenendo risultati probabilmente senza eguali, è indubbiamente l’anatomia patologica. Quando le malattie iniziarono ad essere studiate con rigore scientifico vennero riprodotte mediante l’uso di disegni, dipinti, stampe. La cera, anche in questo caso, si dimostrò uno dei materiali più adatti per superare le limitazioni della bidimensionalità, ed anche oggi sembra che non esista nessun materiale in grado di raffigurare le malattie del passato e del presente con un realismo così straordinario.

Grazie all’arte della ceroplastica casi di patologie interne, deformità, lesioni esterne, dermatologiche, veneree, e malformazioni congenite potevano essere rappresentati fedelmente in cera in modelli estremamente efficaci. Per il loro particolare interesse e unicità, diversi preparati patologici, con rispettivo modello in cera, sono stati conservati fino ai nostri giorni e si possono trovare nei più grandi e prestigiosi musei europei.

Chi credette fermamente nell’utilità dei modelli in cera per l’anatomia patologica, fu il primo direttore de ‘La Specola’ di Firenze, Felice Fontana. La ceroplastica doveva essere uno strumento al servizio della scienza (Contardi 2002, 259) e, utilizzando al meglio le sue possibilità mimetiche, riteneva che la rappresentazione delle anomalie e delle mostruosità potesse aiutare a comprenderne le cause.

Purtroppo però, il suo sogno di realizzare un’enorme collezione, completa di modelli anatomici normali e patologici in cera, venne fermata dalla corte Toscana e dal nuovo reggente, il Granduca Ferdinando III, secondogenito di Pietro Leopoldo.

Nel maggio del 1792, la Corte informò il direttore che il dovere del Museo era “comprendere la storia della natura e non quella delle infermità del corpo umano, [non] l’occuparsi [di] in formare delle preparazioni in cera che ne dimostrino lo stato morboso e preternaturale” (IMSS, Filza Negozi 1792). Queste opere sarebbero state più appropriate in luoghi come gli ospedali, mentre il Museo avrebbe dovuto essere una straordinaria esposizione, tenendo sempre presente i gusti dei visitatori.

Difatti, i primi musei di anatomia patologica in cui vennero utilizzati modelli in cera raffiguranti quadri patologici e mostruosità, nacquero in seno a o in prossimità di ambienti ospedalieri, a scopo di ricerca, catalogazione e successivamente per la formazione di medici e studenti di medicina.

Fu necessario aspettare fino al 1824 per assistere alla nascita del Museo Patologico in Toscana, fuori dalle mura del Regio Museo de ‘La Specola’, che venne istituito contemporaneamente alla Cattedra di Anatomia Patologica. Il Museo conserva ancora un centinaio di opere di Giuseppe Ricci e di due modellatori di cera della bottega de ‘La Specola’, Luigi Calamai ed Egisto Tortori. Queste rappresentano casi insoliti e molto interessanti dal punto di vista scientifico che venivano inventariati scrupolosamente, assieme alla storia clinica del paziente e la diagnosi della malattia, nel Registro delle Autopsie.

Il Calamai fu incaricato di creare un modello in cera a grandezza naturale della testa, del collo e della parte superiore del torace di un bambino di 18 mesi deceduto nel 1831, un caso storico di grave idrocefalo. Quest’opera ci permette di apprezzare le alterazioni craniche e facciali determinate da circa 13,6 litri di liquido cerebrospinale accumulato all’interno del sistema ventricolare cerebrale (Santi et al. 2018, 1317).

Nel Museo “Luigi Cattaneo” di Bologna, invece, sono esposti il cranio, il busto in cera (Fig. 2) e il preparato a secco dello stomaco appartenuti a Luigi Marchetti, detto il Bottaro (dal nome della sua professione). Il caso è noto nella letteratura sull’acromegalia grazie a una pubblicazione del patologo Cesare Taruffi del 1877.

In realtà, gli studi di Taruffi sono il risultato dell’osservazione di esemplari anatomici effettuata sicuramente all’inizio del XIX secolo su richiesta dell’anatomista Alessandro Moreschi. Indagini fatte, oltre a chiarire l’anno di morte del Bottaro (1808), confermarono la diagnosi retrospettiva di acromegalia, rivelando che i casi di acromegalia cronologicamente precedenti a quello del Bottaro erano principalmente studi osteologici, e Moreschi fu in realtà il primo a osservare gli organi interni e a studiarli (Armocida et al. 2017).

Fig. 2. Pietro Sandri (1789-?), Luigi Marchetti, il ‘Bottaro’, 1811, cera e crine, Collezione delle Cere Anatomiche “Luigi Cattaneo” – Sistema Museale di Ateneo – Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

 

È comunque dai celebri laboratori di ceroplastica anatomica di Bologna e di Firenze, che uscirono tra i primi modelli in cera impiegati per illustrare l’anatomia patologica e la dermatologia, utilizzando la tecnica del moulage. Il vantaggio derivante dall’avere a disposizione modelli dettagliati e realistici, che permettessero un approfondito studio della malattia nei suoi vari stadi, favorì la rapida diffusione dell’uso didattico dei moulages in tutta Europa.

Nella realizzazione dei moulages veniva preso il calco in gesso direttamente sul corpo umano, creando un negativo in cui, successivamente, si poteva versare la cera liquida. Dopo il processo di stampaggio, a volte, l’artista (in francese mouler) e il medico lavoravano assieme per realizzare un manufatto che fosse inteso come l’esatta replica del corpo umano.

I primi esempi comparvero all’inizio del XIX secolo come rappresentazioni di aree corporee patologiche. Tuttavia, i pionieri di questa tecnica lavorarono in modo indipendente e senza essere a conoscenza l’uno dell’altro. Presi direttamente dal corpo dei pazienti malati, i moulages erano visti dal pubblico contemporaneo come oggetti reali che rappresentavano il mondo visibile con precisione e obiettività. Questi modelli, infatti, non mostrano uno stato patologico standardizzato, ma sempre un quadro clinico individuale. Poiché riflettono principalmente malattie che si verificano sulla superficie del corpo, i moulages sono emersi sempre più spesso nelle specialità mediche in cui i segni della malattia possono essere visti sulla pelle, come la dermatologia o l’oftalmologia.

Anche questi modelli cambiano stile in relazione al paese d’origine e a seconda dell’artista creatore, ma mostrano sostanzialmente caratteristiche comuni, come nel caso del supporto, delle tavole di legno verniciato e il fatto che, spesso, ogni oggetto è presentato incorniciato da un panno. La decorazione artistica superflua è ridotta al minimo, i drappi bianchi, senza alcuna civetteria, garantiscono da un lato un’atmosfera clinica e da ospedale, mentre dall’altro si presentano come aureole irregolari, che ci separano dall’orrore della malattia.

Molti storici reputano che l’inglese Joseph Towne (1808-1879) sia stato il vero pioniere nella realizzazione dei moulages dermatologici.

Lavorò al Guy Hospital di Londra dal 1826 fino alla sua morte. Nel corso dei suoi 53 anni di carriera, si pensa che abbia realizzato più di un migliaio di preparati in cera colorata, la maggior parte dei quali provenienti dalle dissezioni del chirurgo John Hilton (Fig. 3). Alcune cere vennero perfino inviate all’estero: in India, Australia, Russia e America.

Fig. 3. Joseph Towne (1806-1879), Dissezione di testa e collo, esposta alla Grande Esposizione del 1851 al “Crystal Palace” di Hyde Park a Londra, cera, Gordon Museum, Guy’s Campus, Kings College, Londra.

 

I moulages dermatologici e venereologici erano di una qualità artistica così elevata che, nel 1883, il chirurgo Thomas Bryant dichiarò: “questa serie comprende ogni varietà conosciuta e molte forme rare di malattie della pelle. I modelli sono così realistici che lo studente può immaginare, senza il minimo sforzo, di guardare l’originale” (Bryant 1883).

Le cere dermatologiche e la maggior parte delle rappresentazioni di malattie della pelle derivano da pazienti in cura al Guy’s Hospital che Thomas Addison, a quel tempo principale autorità in dermatologia, inviava a Towne per essere copiati. Ogni volta che Addison scopriva un caso medico interessante, lo segnalava rapidamente a Towne perché lo modellasse in cera. Prima si descriveva la natura della patologia e successivamente le si dava un nome (Fig. 4). Ancor’oggi il museo conserva le informazioni di ogni singolo paziente.

Fig. 4. Joseph Towne (1806-1879), Morbo di Addison, metà del XIX secolo, cera, Gordon Museum, Guy’s Campus, Kings Col­lege, Londra.

 

Il Guy’s Hospital di Londra, fu creato originariamente come ospedale per i pazienti “incurabili” trasferiti dal St. Thomas Hospital e da altri ospedali. Fondato da Thomas Guy nel 1721, fu l’unico a Londra e uno dei pochi nel Regno Unito ed in Europa, che accettava indistintamente tutti i pazienti soprattutto quelli respinti da altri ospedali perché considerati contagiosi e “incurabili”. Grazie a questa politica Addison e Towne poterono venire in contatto con una gran varietà di casi interessanti che permisero la creazione di modelli di inestimabile valore storico-scientifico, utilissimi anche dal punto di vista didattico.

Queste importanti collezioni sono tutt’oggi custodite al Gordon Museum of Pathology, il museo di un dipartimento indipendente affiliato alla Facoltà di Scienze e Medicina del King’s College di Londra. Uno dei più grandi musei di patologia del mondo e il più grande Museo di insegnamento medico della Gran Bretagna è stato aperto nel 1905 anche se le prime collezioni risalgono al 1826.

La funzione primaria del Gordon Museum è sempre stata quella di contribuire alla formazione del personale medico nella diagnosi delle malattie. I moulages dermatologici in particolare, intesi come sussidi didattici, sin da prima degli anni Settanta venivano utilizzati durante le lezioni, per gli studenti della Facoltà di Scienze e Medicina del King’s College di Londra. Dagli anni Settanta in poi, vennero impiegati in maniera più sistematica e sino a pochi anni fa alcuni dermatologi facevano ancora lezione al museo utilizzando i moulages.

È stato rilevato che gli studenti che utilizzano modelli dermatologici, a differenza di quelli che si limitano a libri e immagini bidimensionali, mostrano una maggiore empatia verso i pazienti. Questi modelli sono così realistici che gli studenti possono immaginare di trovarsi di fronte all’originale, con il vantaggio di poter osservare più a lungo le caratteristiche della patologia senza il rischio di contagio.

Attualmente, diverse ricerche nel campo delle Medical Humanities si concentrano su come l’arte possa migliorare particolari attitudini negli studenti delle discipline sanitarie, aumentando le loro abilità cognitive e relazionali, in particolare l’empatia. L’uso di manufatti artistici come “surrogati” dei pazienti appare quindi una metodologia eticamente accettabile per sviluppare queste capacità.

Questi modelli in cera restano strumenti didattici straordinariamente efficaci e sono ancora rilevanti nei paesi del terzo mondo, dove alcune delle malattie rappresentate dai moulages non sono state debellate. Una serie di modelli di teste infantili e dentizioni stravolte dagli effetti della sifilide ci ricordano il terrore, suscitato fino al XIX secolo da questo male misterioso e legato al sesso, per la sua gravità, per l’impotenza dei medici a curarlo e per la capacità di imporre una pesante ipoteca sulle future generazioni. Nei moulages vengono sottolineate le varie fasi della malattia, impressionante per l’evidenza dei suoi segni e per la rapidità del suo decorso, che aiutano a capire la temutissima “malattia romantica” così diffusa fino all’Ottocento ma che ancora oggi, nel caso della sifilide congenita, è una delle principali cause globali di perdita del feto, nati morti, morti neonatali e infezioni congenite (Moseley et al. 2023).

Le particolari caratteristiche della cera, così malleabile, duttile, flessibile ma allo stesso tempo resistente e duratura, hanno, senza dubbio contribuito alla creazione di modelli utili all’avanzare della scienza e dello studio dell’anatomia. Collezioni di ostetricia, botanica, anatomia normale e patologica sono state, nei secoli, ottimi supporti didattici per la formazione del personale scientifico ed artistico.

Criticate come antiestetiche, le cere anatomiche sono state spesso conservate per il loro valore storico-scientifico ed escluse dal mondo dalle arti maggiori, sia a causa dal materiale stesso, spesso considerato “effimero”, sia grazie alla facile riproducibilità che va contro ogni concetto di unicità dell’opera d’arte.

Ma questi modelli riflettono le scoperte del passato, con le loro innovazioni e limitazioni, e vanno letti, ed apprezzati, nella cornice del periodo. Alcuni di questi sono ancora oggi estremamente utili per la formazione medica ed è importante riconoscerne e sfruttarne il potenziale didattico. Sono comunque una testimonianza importante del pensiero scientifico e della maestria del passato, e vanno pertanto conservati e tutelati riconoscendone sia il pregio artistico che scientifico.

Ringraziamenti

I dati contenuti in questo saggio sono stati presentati nell’intervento del 6 maggio 2024 all’Accademia delle Scienze di Bologna con la moderazione degli Accademici Benedettini Lucio I. M. Cocco e Roberto Toni.

Le fotografie di questo articolo sono di Owen Burke e Roberta Ballestriero. Desidero ringraziare la Collezione delle Cere Anatomiche “Luigi Cattaneo” – Sistema Museale di Ateneo – Alma Mater Studiorum – Università di Bologna per aver gentilmente concesso la pubblicazione delle fotografie dei modelli in cera di Pietro Sandri e Cesare Bettini.

Sono grata al Gordon Museum, Guy’s Campus, Kings College London, per aver concesso il permesso di pubblicare le fotografie delle cere anatomiche di Joseph Towne.

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1 Tutte le immagini sono pubblicate a colori nell’edizione online degli Annales.