Tra scienza pura e rivoluzione: esperimenti di Augusto Righi e Guglielmo Marconi condotti a Bologna tra il 1893 e il 1897
Eugenio Bertozzi
Ricercatore Senior (RTDb), FIS/08, Storia della Fisica, Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Contributo presentato da Luisa Cifarelli
Abstract
The paper revisits the introduction of wireless telegraphy at the end of the nineteenth century by the Italian inventor Guglielmo Marconi within the framework of scientific revolution. It demonstrates how Marconi, building on the experiments conducted by Hertz, Righi, and other contemporary physicists who focused on verifying Maxwell’s electromagnetic theory, utilised electromagnetic waves to develop a communication system. The paper emphasises that the originality of Marconi’s revolution, particularly in its early stages, lay not so much in the invention of new instruments but in the refinement and skilful integration of existing ones.
Keywords
Wireless telegraphy, Electromagnetic waves, Scientific and technological revolution, Augusto Righi, Guglielmo Marconi.
© Eugenio Bertozzi, 2024 / Doi: 10.30682/annalesps2402f
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Sono sicuro che se attribuissimo l’idea originale della telegrafia senza fili a un uomo, perfino risalendo fino a Talete, qualche storico produrrebbe la prova che l’idea era precedente. Lasciamo allora che l’originalità di averla pensata riposi in pace con qualche antico sconosciuto: è lo sviluppo di quel pensiero a rappresentare l’aspetto più importante.
Guglielmo Marconi, Memorie, 1895-1899
Mi permetta di rilevare una volta di più che, in tesi generale, l’opera di chi trova un’utile applicazione pratica è ben distinta da quella di chi, occupandosi puramente della scienza, ha potuto coi suoi studi darvi occasione o facilitarne l’esecuzione. E in particolare nessuno oserebbe affermare, io credo, che, anche senza aver avuto cognizione delle mie esperienze sulle onde elettriche, il Marconi non avrebbe potuto concepire l’idea sua geniale.
Augusto Righi, intervista, Il Resto del Carlino, 11 marzo 1903
1. Introduzione
Sebbene con toni molto diretti, la frase di Guglielmo Marconi solleva una importante questione relativa alla nozione di scoperta. Proprio quegli storici che Marconi cita hanno infatti mostrato che l’originalità dell’idea del sistema eliocentrico non sia certo ascrivibile al celebre scienziato polacco Niccolò Copernico, risalendo questa almeno ai greci; analogamente, l’idea che i pianeti del sistema solare siano attratti dal Sole mediante una forza la cui intensità dipenda dall’inverso del quadrato della distanza non fu certamente solo di Newton, ma anche di Edmund Halley, Robert Hooke e Cristopher Wren. Ciò che invece si deve attribuire indiscutibilmente a Copernico e Newton è, usando il linguaggio marconiano, lo sviluppo di quel pensiero. La formulazione di un complesso modello matematico che riallineasse tutte le osservazioni astronomiche del mondo antico in termini eliocentrici nel caso di Copernico; la rilettura delle leggi cinematiche di Keplero in termini dinamici al fine di mostrare che la gravitazione dei corpi celesti sia ascrivibile all’azione di una forza centrale, nel caso di Newton. I due celebri scienziati consegnarono ai posteri tale sviluppo del pensiero nella forma di due trattati che segnarono l’inizio e la fine della ben nota rivoluzione scientifica della prima età moderna: il De Revolutionibus Orbium Coelestium (1483), opera maggiore di Copernico e i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), opera maggiore di Newton.
Anche nel caso di Guglielmo Marconi (1874-1937) c’è stata una rivoluzione. Essa ha investito il campo delle comunicazioni e ha cambiato il modo in cui l’umanità si mantiene in contatto nell’età moderna e contemporanea. E anche in questo caso, come si vuole mostrare in questo articolo, sebbene ci siano stati predecessori nel concepire l’idea, lo sviluppo del pensiero messo in atto da Marconi costituisce un’opera autonoma e ben riconoscibile.
Esiste tuttavia una importante differenza tra la rivoluzione astronomica della prima età moderna e la rivoluzione marconiana di fine Ottocento. Tale differenza consiste nel fatto che la rivoluzione inaugurata da Copernico e conclusa da Newton fu una rivoluzione di prospettiva e per questo fu essenzialmente di stampo teorico. I due scienziati infatti cambiarono per sempre il modo in cui gli esseri umani vedevano il proprio posto nell’Universo, sviluppando sofisticate dimostrazioni matematiche che rendevano il modello eliocentrico via via più convincente. Tuttavia, lo fecero basandosi su astronomiche condotte secondo una pratica sperimentale ben consolidata: gli strumenti con i quali gli astronomi, da secoli, avevano condotto le loro osservazioni – quali il quadrante azimutale, le armille equatoriali, gli archi bipartiti, gli orologi solari o ad acqua – non erano cambiati dai tempi di Claudio Tolomeo (100 d.C. ca.-post 170 d.C.) a quelli di Tycho Brahe (1546-1601) e Johannes Kepler (1571-1630), anche se le misure erano divenute più precise e i modelli teorici di interpretazione dei dati si erano capovolti. Tra Copernico e Newton, i celeberrimi studi condotti da Galileo Galilei (1564-1642) con il cannocchiale ed esposti nel Sidereus Nuncius del 1609, proponendo una nuova e dettagliata analisi morfologica del cielo (mostrando ad esempio la presenza di montagne sulla superficie lunare), rafforzavano con argomentazioni fisiche il passaggio dalla visione geocentrica e quella eliocentrica.
La rivoluzione marconiana fu ben diversa. Essa fu infatti una rivoluzione di stampo tecnologico che non riguardò la sostituzione di una teoria con un’altra. Piuttosto, data una teoria fisica ben consolidata come l’elettromagnetismo di James Clerk Maxwell (1831-1879) e il suo oggetto di studio principale, ovvero l’onda elettromagnetica, la rivoluzione marconiana ha riguardato quel processo di trasformazione degli strumenti che producono e ricevono tali onde al fine di promuoverle da oggetto di studio a vettore di comunicazione.
Una rivoluzione che riguardò pertanto strumenti e apparati scientifici e che, usando le parole del celebre professore bolognese Augusto Righi, pioniere nello studio delle onde elettromagnetiche e contemporaneo di Marconi, consistette in “tante modificazioni e aggiunte di dettaglio in gran parte essenziali per il successo pratico, che furono da lui introdotte e riunite in quell’insieme, che a ragione può chiamarsi il Sistema Marconi” [1].
Dato il fondamento empirico della rivoluzione marconiana, essa non si trova descritta in un singolo trattato ma va ricostruita guardando agli strumenti usati, consultando brevetti, appunti e schemi che si trovano spiegati in discorsi e documenti privati, che coprono la maggior parte della vita e dell’attività scientifica di Guglielmo Marconi. Di tale arco di tempo e conoscenze colossali, il presente articolo si concentrerà su un solo passaggio, quello iniziale che va dal 1893 circa al 1897. In questi anni, infatti, mentre il celebre docente bolognese si apprestava a concludere la dimostrazione sulla validità della teoria elettromagnetica, il giovane inventore mise in atto quella sperimentazione che, superando la scienza pura, inaugurava la rivoluzione della telegrafia senza filo con il primo brevetto di questa tecnologia [2].
Le due lunghe citazioni proposte all’inizio del presente articolo contengono molti elementi illustrativi di questo delicato passaggio. Per questo motivo, la scansione dei paragrafi che seguono sarà costruita estrapolando da esse alcune frasi significative.
2. Un antico sconosciuto – William Crookes e l’originalità di averla pensata
Il manoscritto da cui è tratta la citazione riportata all’inizio del presente articolo è stato rinvenuto di recente presso gli archivi della Bodleyan Library di Oxford [3]. Sebbene sia incompleto e il suo scopo non perfettamente chiaro, esso si presenta come un tentativo intrapreso dallo stesso Marconi di riallineare i tanti eventi accaduti tra il 1895 e il 1899. In questo lasso breve di tempo, Marconi eseguì i suoi primi esperimenti presso il laboratorio allestito nella casa paterna – Villa Griffone in località Pontecchio nei pressi di Bologna – e raggiunse una notevole visibilità internazionale mostrando tali primi risultati in Inghilterra. Di lì a poco, Marconi sarebbe divenuto una star mondiale grazie al primo esperimento transatlantico del 1901, il salvataggio di 1700 naufraghi sul transatlantico Republic nel 1909, il Premio Nobel per la fisica nello stesso anno e il successivo salvataggio dei naufraghi del Titanic nel 1912.
L’intento diaristico del manoscritto fa sì che esso non sia una cronaca degli eventi, quanto piuttosto una riflessione sugli eventi stessi. Marconi ad esempio, non rivendica il primato dell’idea della telegrafia senza filo e cita una serie di fonti – come la rivista The Electrician che costituiva una delle sue letture degli anni giovanili – dove certe idee circolavano già del 1891, quattro anni prima che egli cominciasse a dedicarsi a tale tema. Oltre ad articoli e riviste, Marconi cita illustri fisici dell’epoca verso i quali mostra di nutrire sentimenti molto diversi. Esprime ad esempio sincera stima per William Crookes, scopritore dei raggi catodici, il quale, già nel 1892, affermava:
Fino a tempi molto recenti non ci siamo mai chiesti seriamente se attorno a noi non possano essere in atto vibrazioni costanti dell’etere più lunghe di quelle che percepiamo come luce. Ma gli studi di Hertz ci presentano una gamma quasi infinita di vibrazioni eteree o raggi elettrici, con lunghezze d’onda dalle migliaia di miglia a pochi piedi. Si apre davanti a noi un nuovo mondo nuovo e stupefacente: un mondo che è difficile credere che non racchiuda la possibilità di trasmettere e ricevere informazioni. I raggi luminosi non trapassano le pareti e nemmeno, lo sappiamo fin troppo bene, la nebbia di Londra. Ma le vibrazioni elettriche della lunghezza d’onda di una iarda o oltre, delle quali ho parlato, attraverserebbero con grande facilità questi mezzi, che per esse sarebbero trasparenti. Qui dunque, si rivela la sconcertante possibilità della telegrafia senza fili, pali, cavi, o qualsiasi altro dei nostri costosi dispositivi attuali ([3], p. 59).
Non si pensi che la stima di Marconi verso Crookes fosse estendibile a tutti i fisici inglesi dell’epoca. Anzi, tra questi si annoveravano personaggi con i quali l’inventore bolognese ebbe rapporti piuttosto tesi e dai quali subì numerosi attacchi. Uno di questi fu certamente Oliver Lodge (1851-1940), noto membro della Royal Institution, il quale, dopo i primi successi ottenuti da Marconi in Inghilterra, scriveva con tono piccato ad Augusto Righi: “your Protégé Marconi has obtained the ear of the British Post Office officials, some of whom are like him not well versed in Physics” [4].
Nella lettera, Lodge dava per scontato, sbagliando, che il giovane spuntato dal nulla non potesse essere altri che uno studente di colui che nel 1896, oltre ad essere il fisico italiano maggiormente noto all’estero, era anche un pioniere a livello internazionale nello studio delle onde corte, insieme a Lodge stesso e al fisico indiano J. Chandra Bose [5]. E certamente, il fatto che entrambi operassero nella stessa città giustificava tale conclusione affrettata, che tuttavia Righi tenne sempre a smentire. La critica di Lodge, reiterata in varie occasioni, era quella che non vi fossero differenze sostanziali tra gli esperimenti che i fisici eseguivano in laboratorio e quelli che Marconi stava sviluppando in senso imprenditoriale. Per questo motivo, egli riteneva di avere la possibilità di contrastare i brevetti che l’inventore stava ottenendo e incitava Righi stesso a seguirlo nell’intraprendere una diatriba legale. In quegli stessi anni, altre voci, come ad esempio quella del fisico George Fitzgerald, facevano eco alle parole di Lodge, rivelando, oltre che una simpatica mancanza di lungimiranza, la fastidiosa altezza alla quale coloro che si ritenevano eredi di Maxwell collocavano sé stessi: “Many of us were very indignant at this overlooking of British work for an Italian manufacturer. Science ‘made in Germany’ we are accustomed to but ‘made in Italy’ by an unknown firm was too bad” [6].
In realtà, come si vuole mostrare nei due paragrafi successivi del presente articolo, già nei primi esperimenti di Marconi esposti nel primo brevetto di Marconi sono ravvisabili elementi nuovi e una chiara differenza di obiettivi rispetto agli esperimenti condotti dai fisici dell’epoca, sebbene questi ultimi costituiscano certamente il punto di partenza del lavoro di Marconi. Nel manoscritto di cui sopra, Marconi non tralascia di ricordare e commentare tali difficili rapporti, usando un British humour particolarmente affilato quando si trova a dover citare Oliver Lodge:
Durante l’intero periodo in cui mi sono occupato di telegrafia senza fili non ho mai scritto una lettera a un giornale. I miei oppositori al contrario hanno scritto centinaia di lettere, e questo ha fatto percepire all’opinione pubblica quanto considerassero il mio lavoro. Il fatto che un grand’uomo come il professor Lodge si fosse tanto informato di un giovanotto mai sentito prima che non diceva nulla e lavorava soltanto era ben significativo. Se costoro mi avessero ignorato, questo mi avrebbe fatto più danno di ogni altra cosa. Le loro critiche hanno avuto su di me il grande effetto di avvertire in anticipo la futura soddisfazione che avrei provato quando avessi avuto il privilegio di dimostrare loro che avevano torto ([3], p. 83).
3. Occuparsi puramente della scienza – Righi e l’ottica delle oscillazioni elettriche
A fine Ottocento, la missione principale dei fisici che si occupavano di onde elettromagnetiche e quindi di pura scienza aveva un preciso significato. Tale significato è ben illustrato da uno storico numero della rivista Il Nuovo Cimento dell’anno 1894 che contiene un ritratto scientifico e un omaggio [7]. Il ritratto, a firma del noto fisico Antonio Garbasso, è quello del fisico tedesco Heinrich Hertz (1857-1894), scomparso prematuramente il primo gennaio di quell’anno. Tra il 1886 e il 1888, infatti, Hertz aveva mostrato l’esistenza di quelle oscillazioni di campo elettrico e magnetico previste dalla teoria di Maxwell, dette anche onde hertziane in onore dello stesso scopritore. Allo stesso tempo, Hertz aveva avviato un programma di sperimentazione volto a mostrare che tali oscillazioni elettriche – oggi note come onde radio – si comportavano come la luce solare, le cui leggi erano oggetto di studio dall’antichità, e avevano trovato compimento negli studi di Thomas Young e Jean-Augustin Fresnel condotti ad inizio Ottocento. Per asserire che la luce fosse un’onda elettromagnetica non bastava infatti la coincidenza trovata da Maxwell tra il valore calcolato teoricamente della velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche e quello misurato per la luce solare da Hippolyte Fizeau nel suo celebre esperimento del 1851: l’identificazione doveva giovarsi di ulteriore lavoro sperimentale, che consisteva nella ripetizione dei principali esperimenti dell’ottica classica che mostravano la natura ondulatoria della luce visibile, con le nuove oscillazioni elettriche, ovviamente invisibili.
Per chi avesse voluto cimentarsi in tale lavoro la questione non si limitava alla mera ripetizione di esperimenti; essa piuttosto consisteva nell’invenzione della strumentazione adatta a compierli. Infatti, i primitivi emettitori (o oscillatori), così come i rivelatori (o risonatori) introdotti da Hertz, andavano rivisti al fine di precisare le misure e verificare effetti sofisticati quali l’interferenza, la polarizzazione e la birifrangenza. Proprio questo è il tema del secondo articolo apparso su Il Nuovo Cimento, a firma di Augusto Righi. Tale articolo – dal titolo Su alcune disposizioni sperimentali per la dimostrazione e lo studio delle ondulazioni elettriche di Hertz – veniva ripubblicato per l’occasione dopo essere già stato presentato dal suo autore l’anno precedente, il 30 aprile del 1893 presso l’Accademia dei Lincei [8]. In esso, sin dalle prime battute, Righi chiarisce che l’ampliamento delle esperienze di Hertz doveva passare per la riduzione della lunghezza d’onda delle onde elettromagnetiche utilizzate, che avrebbe permesso di ridurre gli effetti di diffrazione e reso gli esperimenti eseguibili in laboratorio. A tale scopo, Righi aveva già introdotto un particolare tipo di emettitore: tale risonatore lineare, detto in seguito oscillatore di Righi o oscillatore a tre scintille, consisteva in tre coppie di sfere di ottone del diametro di 4 cm distanziate tra loro della stessa lunghezza mediante appositi tubi di ottone (Fig. 1).
Fig. 1. Schema dell’oscillatore a tre scintille o oscillatore di Righi [8].
In questa disposizione, le sfere esterne venivano collegate ad una macchina elettrica tramite fili conduttori e, quando questa veniva attivata, si generavano tre scintille tra le rispettive coppie. Essendo poi la coppia centrale immersa in olio di vaselina contenuto nell’apposito recipiente sferico, questa generava una scintilla particolarmente intensa e un treno d’onda particolarmente adatto allo studio. Righi aveva verificato con metodi interferenziali che tale oscillatore emetteva onde di lunghezza d’onda di circa 7 cm il che – ed era questa la novità – permetteva di condurre le esperienze con lenti, specchi e prismi di dimensioni poco superiori a quelli dell’ottica ordinaria. Nel seguito, Righi avrebbe mostrato che il diametro delle sfere dell’oscillatore era proporzionale alla lunghezza d’onda generata e avrebbe costruito oscillatori in miniatura, i quali emettevano lunghezze d’onda di qualche millimetro. L’oscillatore di Righi rappresentava un passo avanti rispetto a quello utilizzato da Hertz, nel quale una sola scintilla scoccata tra una coppia di sfere collegate a un generatore di corrente produceva una lunghezza d’onda di circa 66 cm, con la quale gli effetti di diffrazione diventavano dominanti. La ricezione della scintilla, nei primi esperimenti di Hertz e Righi, era segnalata da una seconda scintilla che si generava tra le due estremità di un anello circolare semiaperto all’arrivo dell’onda. In seguito, Righi avrebbe costruito un banco per onde elettromagnetiche nel quale, un oscillatore e un risonatore, miniaturizzati, erano posti nel fuoco di specchi cilindrici all’estremità di due bracci movibili. Al centro del banco erano posizionabili dispositivi quali specchi, prismi o lastre sottili per le verifica di leggi quali la riflessione, rifrazione, interferenza o diffrazione (Fig. 2).
Fig. 2. Banco per onde elettromagnetiche introdotto da Righi [9].
Nei quattro anni successivi, Righi avrebbe ripetuto tutti gli esperimenti dell’ottica con le nuove oscillazioni elettriche descrivendoli nel volume L’ottica delle Oscillazioni Elettriche, pubblicato nel 1897 che avrebbe fornito la prova conclusiva del fatto che la luce fosse un’onda elettromagnetica [9]. In quello stesso anno, John Joseph Thomson (1856-1940) aveva identificato l’elettrone nei raggi catodici e la stagione dell’elettromagnetismo classico raggiungeva il suo compimento.
4. Darvi l’occasione o facilitarne l’esecuzione – gli incontri tra Augusto Righi e Guglielmo Marconi
È fuori di dubbio che, all’inizio della propria sperimentazione Guglielmo Marconi fosse ben al corrente del lavoro di Righi. Nella Nobel Lecture del 1909, l’inventore bolognese sottolinea che, sebbene non avesse mai studiato fisica o elettrotecnica in maniera regolare, egli aveva seguito alcune lezioni del Professor Rosa di Livorno e era a conoscenza dei lavori di Hertz, Branly e Righi sull’argomento [10]. In aggiunta, un certo numero di testimonianze, tra cui quella del principale collaboratore di Righi, Bernardo Dessau, riportano di incontri avvenuti tra i due tra il 1894 e il 1895 presso il laboratorio di Righi all’Università di Bologna [11-13]. Per quanto il contenuto di tali incontri non sia noto nel dettaglio, è plausibile pensare che da una parte il giovane Marconi abbia esposto i suoi progetti visionari al celebre professore, ricevendone forse poco incoraggiamento, e dall’altra si sia familiarizzato con gli esperimenti condotti da Righi, esposti nel paragrafo precedente. Una foto di poco successiva del Gabinetto di Fisica dell’Università di Bologna – di fatto, il laboratorio di Righi – mostra ancor oggi gli apparati che popolavano quel luogo, tra i quali si ritrovano quelli per lo studio delle onde elettromagnetiche (Fig. 3).
Fig. 3. Gabinetto di Fisica dell’Università di Bologna (Archivio Storico dell’Università di Bologna).
L’elemento più importante pare tuttavia essere un altro. Come si vedrà nella prossima sezione, nel primo brevetto marconiano, l’emettitore utilizzato è proprio l’oscillatore a tre scintille di Righi, strumento che evidentemente per Marconi rappresentava un riferimento solido e un punto di inizio sul quale appoggiarsi. Allo stesso tempo, tale oscillatore veniva utilizzato da Marconi per scopi opposti a quelli per cui era stato introdotto: mentre Righi, con l’introduzione dell’oscillatore, mirava a ridurre la lunghezza d’onda e minimizzare consapevolmente gli effetti di diffrazione di modo da rendere gli esperimenti eseguibili in laboratorio, Marconi, volendo trasmettere il segnale ben oltre le mura del laboratorio facendogli scavalcare colline e montagne, cercava di aumentare la lunghezza d’onda stessa, massimizzando e sfruttando, più o meno consapevolmente, gli effetti della diffrazione stessa. Come si potesse utilizzare l’oscillatore di Righi in questa maniera è il tema del primo brevetto.
5. Lo sviluppo di quel pensiero – la nascita della telegrafia senza filo
Strumenti ed esperimenti che hanno dato inizio alla telegrafia senza filo o – per usare le parole di Righi – che costituivano inizialmente il sistema Marconi, si trovano descritti con dovizia di particolari nel primo brevetto ottenuto da Marconi in Inghilterra nel luglio del 1897 e che venne presentato nell’estate dell’anno precedente.
Tuttavia, tale brevetto, elencando in modo asettico apparati e funzioni, non rivela i passaggi che hanno portato all’invenzione marconiana, nascondendo quanto questa fosse radicata nel lavoro dei fisici dell’epoca. Per questo motivo, in questa sezione, l’analisi del brevetto verrà integrata dall’uso di altre fonti che permettono di ricostruire l’operazione messa in atto da Marconi. Oltre alle già citate Memorie, tali fonti sono il discorso tenuto da Marconi il 2 marzo del 1899 presso la Institution of the Electrical Engineers [14], la già citata Nobel Lecture dell’11 dicembre del 1909 e il volume La telegrafia senza filo di Augusto Righi e Bernardo Dessau pubblicato nel 1903 [1].
Il confronto tra questi documenti e il brevetto permette di individuare un elemento interessante: il fatto che l’antenna, unico apparato originale introdotto da Marconi tra quelli che figurano nel brevetto, non sia stata la prima preoccupazione dell’inventore. Piuttosto, fu l’apparato di ricezione a impiegare inizialmente gran parte delle energie dello sperimentatore. E, anche quando la questione della ricezione risulterà risolta, l’antenna non sarà immediatamente introdotta, dato l’interesse di Marconi per gli specchi riflettori.
5.1 Ricezione: migliorare l’affidabilità del rivelatore
La microstoria dell’apparato noto come coherer è già di per sé rivelatrice delle tensioni che sottostavano alla ricerca scientifica di fine Ottocento e forse di tutti i tempi. Oggi è ben noto che il primato dell’invenzione vada attribuito al fisico Temistocle Calzecchi Onesti (1853-1922) il quale mostrò che un tubetto di vetro posto tra due elettrodi contenente polveri di nichel e argento con tracce di mercurio costituisse un rilevatore di onde elettromagnetiche [15]. Tramite diversi articoli pubblicati su Il Nuovo Cimento degli anni 1884 e 1885, Calzecchi Onesti mostrava che, quando il tubetto era attraversato dalle onde elettromagnetiche, la conducibilità delle polveri aumentava al punto che, inserito il tubetto in un circuito elettrico costituito da una pila e da un amperometro, il passaggio dell’onda era segnalato dalla circolazione di una corrente. Allo stesso tempo è ben noto che altri scienziati, quali il già citato Oliver Lodge o il fisico francese Édouard Branly (1844-1940), la cui visibilità oscurò inizialmente quella dell’italiano, abbiano utilizzato essi stessi il coesore, ribattezzandolo coherer e radioconducteur.
Molto diretto è il commento che Marconi riporta nelle Memorie a proposito del coesore, il quale, nella sua forma rudimentale di un tubetto di vetro con polvere all’interno, attraversato da un filo e chiuso da due tappi di sughero “funzionava una volta sì e una no” ([4], p. 68). Marconi spende pagine a dettagliare il lavoro artigianale messo in atto per aumentare la sensibilità e l’affidabilità dello strumento, fornendo al lettore un saggio di quel tipo di sapere pratico che procede in modo totalmente indipendente dalla teoria e che avanza piuttosto per innumerevoli tentativi. Tali passaggi consistettero nell’individuazione della composizione migliore della polvere, che risultò essere particolarmente efficace se composta di 96% di limatura di nickel e 4% di limatura d’argento duro; nell’utilizzo di una goccia impercettibile di mercurio che però doveva essere spalmato dolcemente sui tappi di sughero; nel fatto che la polvere non doveva essere troppo fine, ma abbastanza grossa e i grani tutti della stessa dimensione; inoltre, la polvere doveva essere lasca tra i tappi del tubetto, e l’aria dentro, quasi assente, portata ad 1 millesimo di atmosfera.
Una volta perfezionato, il coesore era inserito in un circuito contenente una pila e un relè – dispositivo costituito da una bobina di filo conduttore elettrico avvolto intorno ad un nucleo di materiale ferromagnetico, introdotto da Carl Friedrich Gauss e Wilhelm Weber nel 1833. Al passaggio dell’onda, la circolazione della corrente generava un campo magnetico che azionava il movimento meccanico di un martelletto; quest’ultimo, andando a colpire il tubetto, ripristinava la condizione di non circolazione della corrente. In questo modo, a seconda della durata dell’impulso elettromagnetico, si potevano ricevere linee e punti del linguaggio MORSE.
5.2 Trasmissione: segnali direttivi e segnali con antenna
Come riportato da Marconi nella Nobel Lecture, i primi tentativi di telegrafia senza filo da lui condotti avvennero nei primi mesi del 1895 in Italia, presso la casa paterna. In queste prime prove, egli faceva uso del coesore così perfezionato e di un emettitore identico a quello introdotto da Hertz, trovando che si potevano trasmettere e ricevere segnali all’aperto, a circa mezzo miglio di distanza. Distanza raggiunta sarà d’ora in poi la parola d’ordine degli esperimenti marconiani con le onde elettromagnetiche, così come natura ondulatoria lo era stata per gli esperimenti dei fisici con quelle stesse onde.
Nella ricerca della distanza, un primo miglioramento che viene dettagliato nel brevetto e nella conferenza del 1899, consistette allora nella sostituzione dell’emettitore di Hertz con un oscillatore a quattro sfere tra le quali scoccavano tre scintille, la cui scintilla centrale, che scoccava in olio, era posta nel fuoco di uno specchio parabolico. Che le sfere siano quattro anziché sei, che Marconi abbia differenziato le distanze tra le due sfere centrali immerse in olio di vaselina (distanziate a 1/30 di pollice) e le laterali (distanziate ad 1 pollice ciascuna) non impedisce di riconoscere nell’apparato l’oscillatore a tre scintille introdotto da Righi, sul quale Marconi aveva compiuto lo stesso lavoro di modifica e perfezionamento fatto sull’apparato di Calzecchi Onesti.
Con tale disposizione di apparati, Marconi collegava stazioni poste a vista a circa 2 miglia di distanza vincolando allo stesso tempo la comunicazione secondo una direzione ben definita: a una distanza di circa 2 miglia, infatti, la stazione ricevente, dotata anch’essa di parabola, doveva trovarsi entro 50 piedi di distanza dal centro del fascio inviato, altrimenti il segnale non sarebbe stato ricevuto. Nella conferenza del 1899 tenuta in Inghilterra, Marconi elencava potenziali vantaggi di tale sistema, ad esempio nel campo della navigazione. Dato un faro che irradiasse onde elettriche in una direzione ben definita tramite l’uso di una parabola e una nave che si trovasse a navigare nella nebbia, dotata di una parabola ricevente in rotazione continua, tale nave potrebbe individuare la direzione del faro nel momento in cui la parabola si fosse trovata nella direzione della parabola emittente. Lo studio di tale sistema a riflettori rappresentò un tema specifico della sperimentazione marconiana e fu l’oggetto di una comunicazione data da William Henry Preece – ingegnere capo del British General Post Office, presidente della Institution of Electrical Engineers e tra i massimi sostenitori di Marconi – presso la British Association nel 1896. Vero è che quando Marconi si trovò a dettagliare tale sistema a riflettori nel brevetto del 1897 riportò: “My first improvement consists in employing four spheres for producing the electrical oscillations” senza citare affatto Righi. Eppure, in quel brevetto, oltre alle numerose citazioni ad Hertz, comparivano due citazioni illustri, a Oliver Lodge e al fisico russo Aleksandr Stepanovič Popov, anche se solo per dire che l’autore conosceva i loro lavori ma che questi non erano sistemi di telegrafia senza filo. Né Righi, né Calzecchi Onesti pertanto, italiani come Marconi, trovarono posto in tale brevetto che riportava invece solo poche citazioni a livello internazionale.
Con tale disposizione di apparati, Marconi avrebbe compiuto il passo successivo realizzando esperimenti che segnarono l’inizio della futura celebrità, ovvero quelli che collegavano stazioni poste fuori dal raggio visivo, separate da ostacoli come colline e montagne. Marconi stesso, in un manoscritto che sarebbe servito per la redazione della sua biografia scientifica pubblicata pochi mesi prima della sua morte a firma dello storico Orrin E. Dunlap, diede un resoconto particolareggiato di tale importante momento cha sarebbe seguito a una vacanza sulle Alpi. L’esperimento sarebbe passato alla storia come esperimento della collina dei Celestini, collina che si trova proprio di fronte alla casa paterna di Marconi:
When I was twenty years of age, in 1894, I went with my family for a holiday in the Alps […] When I got back from the Alps I shut myself out in my attic laboratory, and got to work on my new theory. From months I lived the life of a hermit […] I found two local youths who were prepared to help me […] They did not always understand what I was doing but they were fired by my enthusiasm and stoutly defended me against the skepticism of the other young men of the neighborhood […]It was in the spring of the following year that I made my first great experiment […] I had the transmitter near the attic window and the receiver a few hundred yards away on a small hill. I sat at the transmitter and Mignani, one of my assistants, watched the receiver. I tapped out the letter “s”, and if there was any response Mignani waved a white handkerchief […] Would the waves overcome the hills? There was only one way to solve the problem, and that was by experiment. I instructed Mignani to take the receiver to the other side of the hill out of sight of the house and watch the signals. Take this gun, I told him. I’ll tap three times. If there are three clicks on the receiver, fire the gun. Mignani went off with the gun, and I called my mother into the room to watch the momentous experiment. And here is what happened. I waited to give Mignani time to get to his place. Then breathlessly I tapped the key three times. For what seemed an eternity I waited. Then from the other side of the hill came the sound of a shot […] That was the moment when wireless was born [16].
Una copia fedele dell’apparato con cui Marconi eseguì tale esperimento si trova oggi esposta al Museo Marconi (https://www.museomarconi.it/). Lo schema di tale apparato viene riportato invece nel brevetto, corredato con una descrizione che non include tuttavia dati numerici sulle distanze raggiunte e che rimane piuttosto qualitativa (Fig. 4). Ciò non sorprende se si pensa che da una parte tale brevetto è il resoconto degli esperimenti iniziali, di quei primi tentativi condotti a Bologna. Dalla lettura emerge come Marconi fosse principalmente interessato a rimarcare una paternità intellettuale la quale, se non fosse stata quella degli apparati, sarebbe consistita almeno nel modo in cui tali apparati venivano, una volta perfezionati, collegati tra loro. Marconi specifica che, nel caso in cui tra emettitore e ricevitore fossero presenti case, colline o montagne, egli collegava le sfere esterne dell’oscillatore (di Righi…) una alla Terra e l’altra a un conduttore sospeso il quale, in questa prima fase, era di forma rettangolare. E questo avveniva sia per la stazione emittente, dove c’era l’oscillatore a tre scintille, che per quella ricevente, dove c’era il coesore. Marconi sottolinea, in modo qualitativo, che più larghi sono i piatti e più sono sospesi da Terra, più grande è la distanza alla quale si può comunicare.
Fig. 4. Primo prototipo del sistema Marconi con oscillatore di Righi, coesore e antenna [2].
Mostrando di aver condotto anche altri tipi di esperimenti relativi all’antenna, l’inventore specifica che, anziché usare piatti appesi ad un palo, tali piatti potevano essere innalzati da palloni aerostatici, oppure si potevano usare palloni coperti da un foglio sottile di materiale conduttore. Di nuovo, più si saliva in altezza, più la distanza si sarebbe moltiplicata. Si sarebbero forse potuti usare anche aquiloni, aggiunge Marconi, se fatti di sottile materiale conduttore. La Nobel Lecture del 1909 mostra come esperimenti appena accennati o vagheggiati nel primo brevetto, siano stati poi realmente condotti. Allo stesso tempo, essa permette di ricavare che, poco dopo gli esperimenti che portarono al primo brevetto, il sistema dell’antenna sia stato ulteriormente modificato (sostituendo cubi capacitori a piatti) e l’oscillatore di Righi sia stato messo da parte per ritornare all’oscillatore iniziale di Hertz (Fig. 5).
Fig. 5. Sistema Marconi con antenna verticale e capacitori [10].
Il periodo italiano della sperimentazione marconiana, stando alle stesse parole di Marconi, si chiude nel 1896 con un sistema di questo tipo e una distanza di 2400 metri raggiunta con capacitori di 100 cm di lato posti ad 8 metri di altezza. Nella Nobel Lecture, Marconi non esita a sottolineare come molti scienziati dell’epoca non avessero colto la novità costituita dall’antenna, attribuendo il successo della comunicazione all’efficienza del ricevitore o all’impiego di una grande quantitativo di energia; altri invece si misero all’opera per ricavare che, secondo la teoria elettromagnetica, la distanza percorsa dalle onde variava con il quadrato della lunghezza del filo, offrendo a Marconi un metodo sicuro per progettare l’antenna a seconda delle situazioni [17]. Tra questi ultimi Marconi cita l’ingegnere tedesco Adolf Slaby il quale, nel 1897, era stato mandato dall’Imperatore Guglielmo II ad assistere agli esperimenti che Marconi stava conducendo in Inghilterra. Dalla fusione della compagnia successivamente fondata da Slaby e da quella fondata da Karl Ferdinand Braun – che condivideva il Nobel con Marconi nel 1909 – sarebbe nata, nel 1903, la tedesca Telefunken, principale concorrente della Marconi Company agli inizi del Novecento.
Con i primi gli esperimenti condotti in Inghilterra, Marconi raggiungeva distanze di 6,5 e 14,5 km, nel marzo e maggio del 1897. Nell’estate dello stesso anno, nella piana di Salisbury, veniva raggiunta una distanza di oltre 10 km con una lunghezza d’onda di circa 300 metri. Nel luglio di quell’anno, su invito del ministro della Marina, Marconi tornava in Italia per condurre esperimenti dimostrativi a Roma e nel golfo di La Spezia dove, dalla nave corazzata S. Martino, riusciva a telegrafare a una distanza di circa 18 chilometri. Nell’autunno del 1897 furono impiantate le prime stazioni sperimentali fisse ad Alum Bay, sull’isola di Wight, e a Bournemouth, sulla Manica, dove furono eseguiti esperimenti con antenne di 20 m e una portata dei segnali trasmessi di 30 km circa.
Tale sperimentazione, che superava quella condotta per il primo brevetto, presentato nell’estate del 1896 e ottenuto in quella del 1897, poneva le basi per l’inizio della stagione nella quale la telegrafia senza filo sarebbe uscita dal mondo degli specialisti, accademici o inventori che fossero e avrebbe raggiunto il grande pubblico. Questa fase si sarebbe aperta con il primo collegamento radiotelegrafico attraverso la Manica il 27 marzo del 1899, il collegamento tra l’isola di Wight e la Cornovaglia e il collegamento transatlantico tra Poldhu in Cornovaglia e la località di Saint John, sull’isola di Terranova nel quale, utilizzando lunghezze d’onda di qualche chilometro, si raggiungeva una distanza di circa 3600 km. Era il 12 dicembre del 1901.
6. Conclusioni
Il presente articolo ha voluto concentrarsi sulla nascita della telegrafia senza filo ricostruendo quel passaggio nel quale la scienza pura di fine Ottocento, rappresentata dalla verifica della teoria elettromagnetica di Maxwell, intercettava il suo trasferimento tecnologico, dando origine a una vera e propria rivoluzione. Nella città di Bologna, un navigato docente universitario, Augusto Righi, e un giovane inventore autodidatta, Guglielmo Marconi, rappresentavano le due voci principali di tale delicato passaggio. Da questi, e da un buon numero di personaggi che sono stati citati in questo articolo, nasceva l’ultima delle rivoluzioni scientifiche ottocentesche, che permise di passare dalla comunicazione via cavo, già inaugurata a metà del secolo, alla tecnologia wireless. Quest’ultima, a partire dalla fine del diciannovesimo secolo non ha smesso di plasmare la società, raggiungendo vertici massimi nella contemporaneità.
Da ultimo, una considerazione complessiva. L’Ottocento si era aperto con una prima rivoluzione scientifica, le cui protagoniste erano state la macchina a vapore e la locomotiva, elementi-chiave della rivoluzione industriale. A partire da apparati costruiti e compresi secondo una logica empirica, Sadi Carnot realizzava il suo importante studio sull’efficienza della macchina termica ideale, pubblicato nel 1824, dal titolo Réflexions sur la puissance motrice du feu et sur les machines propres a développer cette puissance: questo scritto, contenendo l’essenza del secondo principio della termodinamica, può a buon diritto essere ritenuto l’inizio della termodinamica classica, che nasceva quindi come teorizzazione di scienza empirica.
Circa ottant’anni dopo, la seconda rivoluzione delle comunicazioni si sviluppava in senso opposto, ovvero come empirizzazione di una conoscenza teorica. Una teorizzazione matematica, la previsione circa l’esistenza delle onde elettromagnetiche da parte di Maxwell, veniva infatti verificata da Hertz e, poco dopo, Augusto Righi mostrava le proprietà ottiche di tale radiazione. In quegli stessi ultimi anni di verifica dell’elettromagnetismo, Guglielmo Marconi, trasformando tali onde in vettore di comunicazione, riportava nel campo empirico e applicativo quelle che potevano apparire, a prima vista, delle questioni puramente accademiche.
In questo modo, tramite due rivoluzioni avvenute nell’arco di un secolo, si percorrevano le due direzioni principali della metodologia scientifica: teorizzazione e applicazione.
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