Gli atomi, il numero di Avogadro e il moto browniano: da Democrito ad Einstein e Perrin
Angelo Vulpiani
Dipartimento di Fisica, Università Sapienza, Roma e Istituto dei Sistemi Complessi, CNR, Roma
Contributo presentato da Pierluigi Contucci
Abstract
The atomic hypothesis has a long history which starts with Democritus and ends only at the beginning of the 19th century with the investigation of the Brownian motion which allowed us to understand the physical reality of atoms. Three scientists gave the main contribution to such a great feat: Albert Einstein with his seminal ideas on the use of the statistical mechanics for colloidal particles; Jean Baptiste Perrin who, with very smart experiments, verified the theoretical prediction of Einstein, and determined the value of the Avogadro number from the diffusion coefficient of the Brownian motion; Paul Langevin with the introduction of a clever mathematical approach. Brownian motion is not only an important historical and technical aspect of modern physics, but originated many developments. The Langevin equation is still one of the pillars for the study of nonequilibrium statistical mechanics, and it has been the starting point for the development of the mathematical theory of stochastic processes; moreover the Brownian motion has played a role in the recent progress in biophysics and finance.
Keywords
Atoms, Avogadro Number, Brownian Motion, Statistical Mechanics.
© Angelo Vulpiani 2025 / Doi: 10.30682/annalesps2503i
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1. Introduzione
Oggi tutti sappiamo che esistono le molecole e gli atomi, ed il fatto che la materia sia costituita da questi minuscoli elementi, è ormai cosa considerata scontata, come la sfericità della Terra. Sicuramente non c’è rischio di sovrastimare la rilevanza degli atomi nella scienza, ecco come si esprimeva Feynman (Premio Nobel per la fisica nel 1965) riguardo l’ipotesi atomica:
Se in un cataclisma andasse distrutta tutta la conoscenza scientifica, e soltanto una frase potesse essere trasmessa alle generazioni successive, quale affermazione conterrebbe la massima quantità di informazioni nel numero minimo di parole? Io credo che sarebbe l’ipotesi atomistica (o dato di fatto atomico, o comunque vogliamo chiamarlo) secondo cui tutte le cose sono fatte di atomi […]. In questa singola frase c’è un’enorme quantità di informazione sul mondo che ci circonda, se soltanto ci si riflette sopra con un po’ di immaginazione.
Gli atomi sono proprio tanti e questo ha conseguenze apparentemente incredibili, ad esempio noi ci scambiamo gli atomi. Anche Primo Levi (che era un chimico di professione) nel suo bellissimo libro Il sistema periodico parla di atomi e nel racconto dedicato al carbonio descrive i vari passaggi di un atomo:
Il numero di atomi è tanto grande che se ne troverebbe sempre uno la cui storia coincida con una qualsiasi storia inventata a capriccio. Potrei raccontare storie a non finire, di atomi di carbonio che si fanno colore o profumo nei fiori; di altri che, da alghe minute a piccoli crostacei, a pesci via via più grossi, ritornano anidride carbonica del mare, in un perpetuo girotondo…
Nonostante la loro grande rilevanza, fino a un secolo fa l’esistenza fisica reale degli atomi era un problema ancora controverso e persino alcuni importanti scienziati, ad esempio E. Mach, P. Duhem e W. Ostwald, non credevano che gli atomi fossero i costituenti fondamentali della realtà. Sorprendentemente anche Planck, uno dei padri della fisica moderna, cambiò opinione sull’esistenza fisica degli atomi solo alla fine del XIX secolo. Nel seguito una breve discussione su come si è arrivati a capire che gli atomi esistono.
2. Una breve storia dell’atomismo
L’idea atomistica ha una lunga storia (a partire dai filosofi greci) ma è stata accettata come verità scientifica solo all’inizio del XX secolo [1, 2, 3]. Tutto inizia nel V secolo a.C. con Leucippo e Democrito con la grande idea visionaria che il mondo sensibile sia descrivibile in termini di elementi (gli atomi) che racchiudono la vera essenza dei fenomeni. Naturalmente si può obiettare che gli atomi non si vedono, mentre noi sperimentiamo solo colori, forme, odori e così via; Democrito discute magistralmente il dilemma nel dialogo tra la ragione ed i sensi:
La Ragione: Solo in apparenza una cosa è dolce o amara, solo in apparenza è calda o fredda, solo in apparenza ha un colore; in realtà esistono solo gli atomi e lo spazio vuoto;
Rispondono i Sensi: Povero intelletto! Tu che stai prendendo la tua evidenza da noi, stai cercando di spodestarci? La tua vittoria sarà la tua rovina!
Dopo oltre due millenni possiamo dire che la ragione ha vinto: vedremo che anche se gli atomi non si vedono, si può dare un’evidenza sperimentale della loro esistenza e si possono contare.
Nell’ antichità classica l’atomismo non ebbe grande successo e venne avversato dalle due grandi scuole filosofiche (la platonica e l’aristotelica), comunque ebbe seguaci come Epicuro e Lucrezio con il suo grande poema De Rerum Natura.
Nel Medioevo l’atomismo divenne sinonimo di ateismo e fu duramente contrastato dalla chiesa cattolica (principalmente per problemi con il dogma della transustanziazione nell’eucarestia).
Sia Galileo che Newton condividevano le idee principali emerse nell’antica Grecia secondo cui gli atomi costituiscono l’ultima natura della realtà materiale; Galileo non aveva una teoria precisa, mentre Newton pensava agli atomi in una prospettiva decisamente moderna
Non hanno le piccole particelle dei corpi certi poteri, virtù o forze, per cui agiscono a distanza, non solo sui raggi di luce per riflettere, rifrangere e inflettere, ma anche l’una sull’altra per produrre gran parte dei fenomeni della natura? (Opticks, Book 3, Part 1).
Tuttavia, l’impatto importante dell’atomismo per la scienza iniziò solo nel XVIII secolo, e la sua rilevanza aumentò nella seconda metà del XIX secolo. Prima dei tempi moderni, la parola “atomo” veniva usata con due diversi significati: ciò che i chimici chiamavano “atomo chimico”, che in termini moderni corrisponde agli elementi chimici, e ciò che i fisici (e più in generale i filosofi naturali) indicavano come “atomo fisico”, che ora corrisponde alle particelle indivisibili.
3. La meccanica statistica
Un primo tentativo moderno di riprendere l’idea atomistica per spiegare il mondo macroscopico lo si deve a Daniel Bernoulli che, nel 1738 nel suo libro Hydrodynamica, propose la teoria che descrive la materia come un insieme di tante particelle microscopiche (gli atomi) in movimento. Bernoulli riuscì a calcolare la pressione atmosferica assumendo l’aria costituita da un insieme di particelle e la pressione determinata dagli urti di queste particelle con le pareti. Era nata la meccanica statistica come programma per determinare le proprietà macroscopiche a partire dalla dinamica microscopica [3, 4].
Nella prima metà dell’Ottocento due ricercatori (J. Herapath e J.J. Waterston) proposero senza successo uno sviluppo delle idee di D. Bernoulli. Anni dopo Lord Rayleigh ritrovò negli archivi della Royal Society l’articolo di Waterston che era stato considerato una sciocchezza, e riconobbe il grande errore dei suoi predecessori che avevano provocato un ritardo di qualche decennio nello sviluppo della ricerca. Il primo risultato “ufficiale” fu quello di R. Clausius che riuscì ad imbastire una prima spiegazione del comportamento termodinamico dei gas in termini di particelle che si muovono a grande velocità urtando tra loro e con le pareti del recipiente che le contiene.
Nel frattempo la termodinamica era andata avanti, si era sviluppata come scienza fenomenologica stabilendo le sue leggi fondamentali: primo principio l’energia si conserva; secondo principio l’entropia aumenta. Il progresso della termodinamica si intrecciò con il rapido sviluppo della tecnologia delle macchine a vapore, principale fattore trainante dell’industria dell’Ottocento.
Nel rapporto tra atomismo e termodinamica ci sono difficoltà sia tecniche che concettuali. Da una parte c’è una vecchia obiezione (che permarrà fino all’inizio del Novecento): gli atomi nessuno li ha mai visti, se esistono sono troppo piccoli, magari congetturare la loro esistenza può essere utile per facilitare i calcoli, ma solo come ipotesi di comodo e non come vera realtà fisica. Inoltre la termodinamica sembra in qualche modo in contrasto con la meccanica (che regola il movimento degli atomi). Come conciliare i comportamenti irreversibili del mondo termodinamico con quelli reversibili della dinamica degli atomi? La straordinaria costruzione della meccanica statistica vide impegnati soprattutto James Clerk Maxwell, Ludwig Boltzmann e Josiah W. Gibbs [1, 4, 5].
La controversia sull’atomismo era ancora aperta alla fine del XIX secolo: la maggioranza dei fisici britannici erano sostenitori dell’atomismo, mentre un altro approccio, l’energetica, era particolarmente popolare nella comunità scientifica tedesca, ed era sostenuto da importanti scienziati e filosofi, come P. Duhem, E. Mach e W. Ostwald. I teorici dell’energetica sostenevano che i fenomeni macroscopici dovessero essere trattati esclusivamente con un approccio fenomenologico basato sulla conservazione dell’energia e l’aumento spontaneo dell’entropia, e consideravano gli atomi solo come uno strumento matematico, magari utile ma senza alcun fondamento reale. A loro parere, poiché gli atomi e le molecole sono invisibili, una prova decisiva della struttura atomica era impossibile, quindi, la teoria atomica poteva essere considerata solo un’ipotesi fisicamente non verificabile e gli atomi come una mera nozione di convenienza pratica ma senza alcuna realtà fisica.
Il più strenuo nemico dell’energetica era Boltzmann, che ha dato il maggior contributo alla nascita della meccanica statistica [1,2,3,4,5]: i suoi confronti con gli oppositori della teoria atomica furono leggendari. Lo scontro più famoso, che per la sua durezza venne ricordato per decenni, ebbe luogo a settembre 1895 a Lubecca, al Congresso degli Scienziati Tedeschi. Anni dopo, il famoso fisico tedesco Sommerfeld descrisse ciò che accadde:
Helm era il campione dell’energetica; insieme a Ostwald, e dietro entrambi la filosofia di Mach (che non era presente all’evento). Nell’angolo opposto c’era Boltzmann, supportato da Felix Klein. La battaglia tra Boltzmann e Ostwald somigliava molto a un duello tra un toro ed uno smilzo torero. Tuttavia, in quella occasione il toro sconfisse il torero ad onta dell’agilità di quest’ultimo. I ragionamenti di Boltzmann risultarono convincenti. Noi, giovani matematici, eravamo tutti dalla parte di Boltzmann.
Ostwald accusa il colpo: in una lettera alla moglie racconta amareggiato lo scontro dal quale è uscito sconfitto, parla di “compatto antagonismo”, lamentandosi “di essersi trovato per la prima volta di fronte a un gruppo di persone così unanimemente avversari dichiarati”. Pur amici, Ostwald e Boltzmann continuarono la loro accesa e dura polemica con una serie di articoli. Nel 1909 Ostwald finalmente riconoscerà di avere avuto torto, Mach non cambiò mai idea. Particolarmente interessante è l’opinione di A. Einstein [6]
i pregiudizi di questi scienziati contro la teoria atomica possono essere indubbiamente attribuiti ai loro punti di vista filosofici positivisti. Questo è un esempio interessante di come i pregiudizi filosofici ostacolino una corretta interpretazione dei fatti anche da parte di scienziati con pensiero audace e sottile intuizione.
4. Il moto browniano
La conclusione della battaglia tra energetica ed atomismo fu possibile grazie allo studio di un fenomeno apparentemente marginale. Nel 1827, il botanico scozzese Robert Brown, studiando il meccanismo dell’impollinazione di una pianta australiana (Clarkia pulchella), scoprì un fenomeno, ora chiamato moto browniano (BM), che avrebbe giocato un ruolo importante in fisica, la scoperta venne pubblicata in un articolo con un titolo chilometrico [7]. Osservò al microscopio che un granulo di polline, un oggetto di pochi micron, piccolo a livello macroscopico, ma grande rispetto alle molecole d’acqua, sospeso in acqua mostra un movimento rapido e irregolare, che sembrava continuare per sempre.
All’inizio, i fisici considerarono tale fenomeno come una sorta di curiosità. Dopo alcuni decenni, tuttavia, fu compresa, o almeno intuita, l’importanza del moto browniano e la sua connessione con la termodinamica. Ad esempio, il fisico italiano Cantoni nel 1867 scrisse che il moto browniano è una “bella e diretta dimostrazione sperimentale dei principi fondamentali della teoria meccanica del calore” [8].
D’altro canto, è sorprendente che i fondatori della meccanica statistica e della teoria cinetica (Clausius, Maxwell, Boltzmann e Gibbs) non mostrarono alcun interesse per il BM.
Chi comprese appieno la rilevanza del moto browniano e capì come sfruttarlo – cioè cosa misurare – per dimostrare la struttura atomica della materia fu Albert Einstein che nel suo annus mirabilis (1905) propose una teoria rivoluzionaria [9]. Negli stessi anni, indipendentemente, anche Smoluchowski stava pensando al BM e pubblicò il suo lavoro poco dopo, nel 1906. Nel 1908, Langevin elaborò la teoria di Einstein in termini di equazioni differenziali stocastiche (utilizzando la terminologia moderna) introducendo l’approccio ormai universalmente usato nella meccanica statistica di non equilibrio [10]. Einstein era ovviamente a conoscenza della meccanica sviluppata da Maxwell, Boltzmann e Gibbs, pur accettando che i singoli atomi non potessero essere visibili, a causa delle loro dimensioni ridotte, fu il primo a capire che se la meccanica statistica era corretta allora qualsiasi particella piccola (ma di dimensioni finite, e visibile) immersa in un fluido dovrebbe comportarsi come una sorta di “grande” molecola (o atomo). Grazie alle collisioni con le molecole, dovrebbe acquisire un’energia cinetica media pari a kBT/2 (dove kB e T sono rispettivamente la costante di Boltzmann e la temperatura del fluido) per ogni grado di libertà che caratterizza il suo moto. Questo risultato è l’essenza della equipartizione dell’energia. Pertanto, per Einstein, il moto incessante del granulo di polline non è altro che l’impronta dell’agitazione termica delle molecole del fluido.
L’altro ingrediente della teoria di Einstein è un risultato ben noto dell’idrodinamica, cioè la legge di Stokes: un corpo sferico di raggio a che si muove con velocità v in un fluido di viscosità η è rallentato da una forza data da −6πηa v.
Einstein usando l’equipartizione dell’energia e la legge di Stokes, mostrò che lo spostamento quadratico medio della particella, ∆x(t) = |x(t) − x(0)|2 (dove x(t) denota la posizione della particella al tempo t), cresce linearmente nel tempo:
⟨|∆x(t)|2⟩ ≃ 6Dt.
Per il coefficiente di diffusione D di una particella di raggio a in un fluido di viscosità η a temperatura T, vale la relazione di Einstein-Smoluchowski:
D = kBT⁄6πηa = RT⁄6NAπηa
Nella precedente espressione appare la costante di Boltzmann kB che è il rapporto tra la costante dei gas R e il numero di Avogadro NA, il numero di atomi o molecole contenuti in una mole (cioè la massa in grammi di un composto chimico/elemento). Per completezza ricordiamo dalla termodinamica elementare dei gas ideali che, indicando con P, V, T ed n la pressione, il volume, la temperatura e il numero di moli di un gas, vale l’equazione di stato PV = nRT, che può essere riscritta come PV = NkBT, ove N = nNA è il numero totale di molecole/atomi nel gas. Il coefficiente di diffusione D rappresenta il tanto desiderato legame tra il mondo microscopico degli atomi, il numero di Avogadro NA, e il mondo macroscopico; lo studio della particella colloidale, in particolare il suo spostamento quadratico medio ci permette di determinare il numero di Avogadro.
Nella sua biografia, Einstein espose chiaramente la sua motivazione per lo studio del moto browniano: “Il mio obiettivo principale era trovare fatti che garantissero l’esistenza degli atomi”. Einstein menzionò il proprio stupore per il fatto che questo risultato non fosse stato ottenuto da Boltzmann: “È sconcertante che Boltzmann non abbia tratto egli stesso questa conseguenza così evidente, dal momento che Boltzmann aveva posto le basi per l’intero argomento” [6].
Possiamo dire che, con il moto browniano, gli atomi posso essere contati anche se non osservati direttamente. Dopo il lavoro teorico di Einstein (e Smoluchowski), il chimico Svedberg esegùı alcuni esperimenti sulla diffusione delle particelle colloidali, ma i suoi risultati non erano molto chiari e vennero interpretati erroneamente. Il contributo sperimentale conclusivo venne da Jean Baptiste Perrin con il suo studio sulla sedimentazione e la diffusione di minuscole particelle in acqua [11]. L’accordo tra teoria ed esperimenti valse a Perrin il Premio Nobel nel 1926 “Per il suo lavoro sulla struttura discontinua della materia e, in particolare, per la sua scoperta dell’equilibrio di sedimentazione”.
Anche Seberg ottenne il premio Nobel, per la chimica, nel 1926. Il valore del numero di Avogadro NA misurato da Perrin fu successivamente confermato da altre misure non connesse con la teoria cinetica. Rayleigh ipotizzò che il colore blu del cielo sia dovuto alla dispersione della luce solare con le molecole di gas presenti nell’atmosfera, piuttosto che particelle sospese (come gocce d’acqua). Il meccanismo proposto da Rayleigh, ora chiamato scattering di Rayleigh, che è responsabile del blu del cielo, comporta la dispersione della luce con particelle più piccole della lunghezza d’onda della luce. In un modo piuttosto simile al caso del moto browniano, la teoria della dispersione di Rayleigh permette di stabilire una relazione tra il numero di Avogadro e le quantità che possono essere misurate in esperimenti ottici: il valore del numero di Avogadro ottenuto con tale approccio è in buon accordo con quello trovato negli esperimenti di Perrin sulla diffusione delle particelle browniane.
La determinazione del numero di Avogadro, NA, dal coefficiente di diffusione, D, e l’accordo con il valore ottenuto da misure indipendenti chiusero definitivamente la controversia accesa sull’esistenza degli atomi tra Boltzmann e i principali esponenti dell’energetica, Mach e Ostwald, che consideravano gli atomi utili ma non reali per una descrizione coerente della natura.
In una conferenza a Parigi, nel 1911, Arrhenius, riassumendo i lavori di Einstein e Perrin, dichiarò
Dopo questo, non sembra possibile dubitare che la teoria molecolare sostenuta dai filosofi dell’antichità, Leucippo e Democrito, abbia raggiunto la verità almeno negli elementi essenziali.
Gli atomi potevano essere contati.
5. L’eredità del moto browniano
Il moto browniano non costituisce solo un importante aspetto storico e concettuale della fisica moderna, ma è anche il punto di partenza per lo sviluppo della teoria matematica dei processi stocastici, così come per i recenti progressi in fisica, biofisica e finanza.
Pochi anni dopo l’articolo di Einstein, Langevin fu in grado di ottenere i risultati in modo semplice ed elegante introducendo il primo esempio di equazione differenziale stocastica. Partendo dall’equazione fondamentale della meccanica F = ma, Langevin divise la forza in due contributi uno sistematico (medio) dovuto all’attrito tra la particella colloidale e il fluido (la legge di Stokes) e uno casuale dato dalle collisioni delle molecole (veloci) del liquido con la particella colloidale. L’equazione di Langevin fu il primo esempio non banale di processo stocastico. Tale branca della matematica, ora ampiamente utilizzata in fisica, chimica, biologia e scienze applicate, fu sviluppata in modo sistematico negli anni Trenta principalmente da Kolmogorov con la formalizzazione delle equazioni di Fokker-Planck e delle Master equation per i processi di Markov a tempo continuo. Un altro lavoro pionieristico, che partì dalla descrizione matematica del moto browniano, è dovuto a Wiener, che introdusse l’idea dell’integrale sui cammini, alla base della formulazione della meccanica quantistica di Feynman.
Per apprezzare ulteriormente la vasta portata del moto browniano alla scienza, vale la pena notare che, nonostante le loro origini completamente diverse, il moto browniano e la valutazione delle opzioni in finanza possono essere descritte con un unico formalismo matematico. Pochi anni prima dell’articolo di Einstein, il matematico francese Louis Bachelier, nella sua tesi di dottorato Teoria della Speculazione (1900), propose un’equazione per il comportamento dei prezzi delle azioni che è essenzialmente la stessa di quella che descrive una particella che compie un moto browniano. Negli anni successivi fino ad oggi, i processi stocastici, in particolare le equazioni differenziali stocastiche, hanno ricevuto grande attenzione dalla comunità finanziaria e dai broker. Ad esempio, la celebre teoria di Black e Scholes per la valutazione delle opzioni è dal punto di vista matematico, nient’altro che un’applicazione dell’equazione di Langevin [12]. Questi profondi legami hanno portato, negli ultimi decenni, migliaia di persone con un dottorato in fisica o matematica a trovare un lavoro, anche di alto livello, nelle banche e nelle aziende finanziarie.
Ed ora per concludere qualche parola sui tempi attuali. Oggi le tecnologie permettono agli scienziati di studiare le fluttuazioni termiche in piccoli sistemi come le sospensioni colloidali. Tale possibilità è molto importante nelle nano scienze. Inoltre, le fluttuazioni giocano un ruolo cruciale nei meccanismi di trasporto assistiti dal rumore, chiamati anche motori browniani. In conclusione, possiamo affermare che il lavoro di Einstein sul moto browniano, che talvolta è stato considerato il meno rilevante tra quelli dell’annus mirabilis, con il suo impatto sulla fisica delle particelle colloidali, e altre forme di materia soffice (ad esempio i granulari) e dei sistemi biofisici, ha avuto la sua rivincita nel mondo subatomico [13, 14, 15, 16].
Bibliografia
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