La difficile sfida contro le frane: riflessioni dopo maggio 2023
Matteo Berti
Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Contributo presentato da Gian Battista Vai
Abstract
Landslides are complex phenomena influenced by interacting geological, geomorphological, hydrological, land use, and climatic factors. Predicting and managing them is highly uncertain, as they require systematic data collection and robust scientific methods. The extreme rainfall in Emilia-Romagna (Italy) in May 2023 clearly illustrated these challenges: two exceptional storms within two weeks, with a combined return period over 500 years, triggered more than 80,000 failures over an area exceeding 1,000 km2, with severe social and economic consequences. This event highlights the urgent need for a science-based, data-driven approach to landslide risk management, relying on accurate field inventories, regularly updated hazard maps, and explicit consideration of climate change. Enhancing monitoring systems and planning informed mitigation strategies is essential to reduce vulnerability in an evolving environmental context.
Keywords
Landslides, Emergency management, Mapping, Susceptibility, Emilia-Romagna.
© Matteo Berti 2025 / Doi: 10.30682/annalesps2503h
This is an open access article distributed under the terms of the CC BY 4.0 license
1. Introduzione
Il dissesto idrogeologico rappresenta uno dei principali problemi ambientali in Italia. Secondo un recente studio di ISPRA, la percentuale di comuni a rischio frana supera il 90% e gli impatti diretti e indiretti sono estremamente pesanti, sia in termini economici che sociali [1]. Per il solo 2023, il CNR-IRPI di Perugia ha quantificato danni per oltre 1 miliardo di euro, con 10 vittime e quasi 1700 sfollati [2]. A questo si aggiunge la chiara evidenza di un incremento nella frequenza e intensità dei fenomeni franosi, legata alla maggiore frequenza degli eventi estremi nel contesto del cambiamento climatico [3, 4, 5]. È quindi necessario un potenziamento delle nostre capacità di gestione e previsione del rischio da frana, in modo da affrontare con la dovuta preparazione questa sfida.
La previsione delle frane rimane, purtroppo, molto difficile. Le frane sono infatti fenomeni naturali complessi controllati da molteplici fattori: assetto geologico dei versanti, caratteristiche meccaniche dei terreni e delle rocce, uso del suolo, caratteristiche morfologiche, condizioni idrauliche e idrogeologiche. In letteratura sono stati proposti numerosi approcci di tipo euristico, statistico e fisicamente basato per stimare la suscettibilità a frana [6, 7, 8]. Tali metodi vengono in genere calibrati e validati analizzando le frane innescate in un determinato territorio a seguito di specifici eventi meteorologici. La conoscenza empirica acquisita attraverso lo studio di eventi storici e attuali consente di individuare i fattori predisponenti all’instabilità e di sviluppare modelli previsionali.
Questo approccio rappresenta un’applicazione del principio dell’attualismo, secondo cui i processi che hanno agito nel passato continueranno ad agire anche in futuro seguendo le stesse leggi fisiche e naturali. Tuttavia, estendere i risultati ottenuti in un’area specifica ad altri contesti risulta difficile a causa della notevole variabilità geologica e geomorfologica locale. Inoltre, i cambiamenti climatici in atto riducono l’affidabilità delle previsioni basate esclusivamente su eventi passati. Per queste ragioni, la previsione delle frane rimane prevalentemente di tipo probabilistico-qualitativo (poco probabile, probabile, molto probabile), lasciando tecnici e decisori di fronte a scelte spesso complesse e non prive di incertezze.
Tali problematiche sono emerse con forza anche in occasione della drammatica alluvione che ha interessato la Regione Emilia-Romagna nel maggio 2023. Gli effetti sul territorio sono stati del tutto inattesi. Mai si era visto, almeno negli ultimi 100 anni, l’innesco di un numero così elevato di frane, e mai su un’area così vasta. Sotto questo punto di vista, l’evento è stato certamente imprevedibile. A due anni dall’evento, sono ancora numerose le domande senza risposta. Cosa ha prodotto un disastro di questa portata? Ci saranno altri eventi simili in futuro? Come possiamo difenderci dalle frane? Non abbiamo una risposta definitiva a queste domande, ma quanto avvenuto a maggio 2023 merita di essere analizzato.
2. L’evento meteo di maggio 2023
Nel mese di maggio 2023, il settore centro-orientale della Regione Emilia-Romagna è stato colpito da due forti eventi di precipitazione. Il primo evento è avvenuto dal 1 al 3 maggio. In circa 48 ore sono caduti oltre 200 mm di pioggia [9], con un picco sulla parte occidentale della Romagna. La Commissione tecnico-scientifica incaricata dalla Regione Emilia-Romagna di fare luce sul disastro ha stimato per questa precipitazione un tempo di ritorno superiore ai 100 anni [10]. Questo primo evento ha causato alluvioni e frane in Romagna, generando numerose criticità sia in pianura che nelle aree collinari e montane. È stato però il secondo evento a creare un vero disastro.
I giorni 16-17 maggio, una precipitazione con una cumulata di oltre 250 mm in 48 ore ha colpito praticamente la stessa area. Il tempo di ritorno di questa precipitazione è stato calcolato in oltre 200 anni [10]. La combinazione di questi due eventi è stata del tutto eccezionale. In due settimane è caduto oltre la metà del quantitativo d’acqua annuale, ed il tempo di ritorno dell’evento combinato è stato stimato in oltre 500 anni.
Gli effetti al suolo sono stati devastanti. In pianura sono avvenute decine di rotte arginali che hanno causato estese inondazioni, in montagna si sono innescate oltre 80.000 frane. Le frane hanno interessato una zona di oltre 1000 km2, con un’area epicentrale che si estende dalla valle del Santerno a quella del Bidente. Migliaia di frane hanno colpito strade provinciali, comunali e vicinali, isolando intere vallate e creando enormi problemi nei soccorsi. Centinaia di abitazioni sono state colpite, minacciate, o delocalizzate perché non più raggiungibili. A distanza di due anni, molte di queste ferite sono ancora aperte.
3. Le prime reazioni
La portata straordinaria dell’evento è apparsa subito evidente sia ai cittadini sia agli amministratori locali. Nelle prime settimane, l’attenzione si è concentrata sulle attività di soccorso e di assistenza emergenziale coordinate dall’Agenzia Regionale di Protezione Civile. Si è trattato di operazioni complesse, che hanno richiesto un dispiegamento eccezionale di mezzi e il supporto dell’esercito [11]. Terminata la fase più critica dell’emergenza, il dibattito pubblico si è rapidamente spostato sull’individuazione delle responsabilità e sulla ricerca di soluzioni per il futuro: Perché l’evento non era stato previsto? Chi ha commesso errori? Quali interventi sono ora necessari?
È naturale che i cittadini si pongano queste domande. I disastri naturali sono eventi rari e traumatici, che generano paura e difficoltà ad essere accettati. Cercare una causa, una responsabilità e una possibile soluzione è un modo per affrontare l’incertezza e guardare al futuro con minore angoscia. Sono interrogativi seri, ai quali è fondamentale rispondere con rigore e ponderazione, anche per rispetto verso chi è stato direttamente colpito.
Purtroppo, però, le cose vanno spesso in modo diverso. È ormai consuetudine che, subito dopo un disastro, i media riportino dichiarazioni di tecnici, addetti ai lavori o accademici che sembrano avere già tutte le risposte. Ecco alcune affermazioni pubblicate in testate nazionali e locali nei giorni immediatamente successivi all’evento: “il disastro è stato causato dall’abbandono delle zone montuose e collinari, e dalla conseguente mancanza di manutenzione”; “l’assenza di foreste ha esposto i versanti al franamento”; “nel caso dell’Emilia-Romagna, la natura argillosa dei terreni è un fattore determinante”. Non sono mancate neppure soluzioni semplicistiche: “andrebbero costruite delle strutture di cemento armato per fermare le frane”.
Eppure, basta osservare le fotografie delle aree colpite o avere minime conoscenze della geologia locale per mettere in dubbio tali affermazioni. Ad esempio, le zone colpite sono tutt’altro che abbandonate: al contrario, ospitano attività agricole di pregio, in particolare frutteti. Inoltre, le frane hanno interessato tanto terreni agricoli quanto versanti densamente boscati, indipendentemente dal tipo di bosco. Infine, i terreni coinvolti nei dissesti hanno una composizione prevalentemente sabbioso-limosa, non argillosa.
Il punto centrale non è però stabilire se tali affermazioni siano vere o false. Il punto è sottolineare che nessuno – nemmeno il maggiore specialista di frane – può rispondere a queste domande senza aver prima studiato a fondo l’evento. Come si può indicare la causa di una frana prima ancora di averla identificata, mappata e analizzata? E come si possono proporre soluzioni per un problema che non è stato ancora valutato? Sarebbe come se un medico formulasse una diagnosi e prescrivesse una terapia senza neppure visitare il paziente. Eppure, per qualche ragione, questo approccio sembra essere tollerato quando si parla di frane.
Le frane, come già evidenziato, sono sistemi complessi governati da molti fattori, e la mente umana fatica ad analizzare razionalmente i sistemi complessi. Come osserva Daniel Kahneman, psicologo cognitivo e premio Nobel per l’economia nel 2022, l’essere umano è incline a trarre conclusioni sulla base di informazioni limitate, spesso in modo distorto [12]. È facile, ad esempio, lasciarsi condizionare da un’impressione iniziale, come l’osservazione di alcune frane su campi arati a ritocchino, e restare ancorati all’idea che il tipo di aratura sia una causa fondamentale del dissesto (effetto ancoraggio), cercando poi conferme che rafforzino questa convinzione (bias di conferma). Allo stesso modo, è frequente la tendenza a semplificare eccessivamente problemi complessi, saltando direttamente a conclusioni affrettate (bias della semplificazione). Gli studi di scienze cognitive mostrano poi come la tendenza a sopravvalutare le proprie competenze sia spesso maggiore proprio in chi è meno esperto (effetto Dunning-Kruger).
È chiaro che un tecnico esperto possa, nell’immediato, fornire una valutazione plausibile e verosimile. Tuttavia, rimane comunque una semplice opinione. Nella stabilità dei versanti ogni situazione è unica perché uniche sono le combinazioni tra fattori geologici, geomorfologici, idrogeologici e climatici che possono portare un versante a rottura. Una risposta affrettata e inesatta alle domande che abbiamo visto può tradursi in decisioni sbagliate riguardo alle opere da realizzare, alla priorità degli interventi o alla pianificazione futura del territorio. Per rispondere in modo rigoroso è necessario rimboccarsi le maniche e affrontare il problema con scrupolosità scientifica.
4. La mappatura come base di conoscenza scientifica delle frane
Nel metodo scientifico sperimentale, il pilastro fondamentale è l’osservazione: ogni affermazione deve poggiare su dati verificabili e, idealmente, essere confermata tramite esperimenti riproducibili. Nel caso delle frane, la riproduzione sperimentale degli eventi è praticamente impossibile, sia per la complessità dei processi coinvolti sia per l’imprevedibilità delle condizioni naturali in cui avvengono. Anche le analisi numeriche o fisiche che tentano di simulare questi fenomeni richiedono molte semplificazioni e comportano inevitabili incertezze. Per questa ragione, il dato osservato sul campo rappresenta l’elemento più importante e imprescindibile.
Nel caso di eventi come quello del maggio 2023, il dato fondamentale è la carta delle frane, che costituisce la base di ogni analisi. La carta delle frane deve includere tutti i dissesti innescati dall’evento, distinguendoli accuratamente da quelli preesistenti. Ogni frana deve essere mappata con elevata precisione e classificata in base alla tipologia di movimento. La qualità e la completezza di queste informazioni sono cruciali, poiché la carta delle frane viene poi incrociata con altri dati territoriali per individuare i fattori che hanno causato il dissesto. È importante sottolineare che diverse tipologie di frana rispondono a fattori diversi e vanno quindi analizzate separatamente. Inoltre, la precisione con cui vengono tracciati i contorni è essenziale, poiché variabili territoriali come la pendenza, la litologia o l’uso del suolo possono cambiare sensibilmente anche su scale molto ridotte.
In generale, la realizzazione di una carta delle frane può avvenire attraverso un approccio manuale oppure mediante metodi automatici. L’approccio manuale, pur richiedendo tempi lunghi e risultando inevitabilmente influenzato da una certa soggettività, garantisce di solito una maggiore accuratezza e permette di riconoscere anche frane dalla morfologia complessa. Inoltre, l’analisi diretta di ogni singolo fenomeno obbliga l’operatore a esaminare nel dettaglio l’evento, favorendo una comprensione più approfondita dei processi che lo hanno generato. I metodi automatici, al contrario, sono molto più rapidi e si basano su criteri oggettivi e riproducibili. Tuttavia, l’accuratezza complessiva tende a essere inferiore, poiché gli algoritmi disponibili possono produrre sia falsi positivi (individuare frane inesistenti) sia falsi negativi (non rilevare frane effettivamente presenti).
Non esiste, quindi, un approccio universalmente migliore: la scelta tra mappatura manuale e automatica, e il livello di dettaglio con cui eseguirla, dipende dal contesto specifico, dagli obiettivi dello studio, dalla risoluzione e qualità dei dati disponibili, nonché dalle risorse economiche e umane a disposizione.
Nel caso dell’evento di maggio 2023, l’esigenza principale era ottenere una mappatura il più possibile accurata. L’evento aveva infatti generato un numero estremamente elevato di frane piccole e piccolissime, molte delle quali avevano interessato strade, edifici e infrastrutture. Rilevare anche i fenomeni di dimensioni molto ridotte era quindi indispensabile per stimare correttamente i danni. Allo stesso tempo, era fondamentale distinguere con precisione le diverse tipologie di movimento, così da poter pianificare interventi adeguati alle caratteristiche dei dissesti. Per queste ragioni si è optato per un approccio manuale alla mappatura.
L’identificazione delle frane è stata effettuata confrontando fotografie aeree ad alta risoluzione pre-evento (AGEA 2020, 0,2 m/pixel) (Fig. 1A) con quelle post-evento, acquisite in gran parte il 23 maggio 2023 (CGR, 0,2 m/pixel) (Fig. 1B). Le immagini sono state analizzate sia in modalità ottica (3 bande RGB) sia in falso colore (Near Infrared, NIR) (Fig. 1C), così da evidenziare con maggiore facilità le aree interessate da perdita di vegetazione, generalmente associata alla presenza di frane. La classificazione di ciascun dissesto è stata poi supportata dall’uso del visualizzatore 3D della Regione Emilia-Romagna (Fig. 1D).
L’intero lavoro è stato svolto in collaborazione tra il Servizio Geologico della Regione Emilia-Romagna, l’Università di Bologna e l’Università di Modena e Reggio Emilia, coinvolgendo 12 persone per un periodo di circa sei mesi [13]. Si è trattato, quindi, di un’attività lunga e impegnativa. Il risultato è una carta inventario che comprende oltre 80.000 poligoni di frana, ciascuno classificato in base alla tipologia di movimento. Il dataset è stato reso disponibile senza restrizioni e può essere scaricato al link https://zenodo.org/records/13742643.


Fig. 1. Procedura utilizzata per la realizzazione della carta delle frane dell’evento di maggio 2023.
5. Cosa dicono i dati
Alcune semplici analisi della carta inventario permettono di chiarire distribuzione, tipologia e cause delle frane di maggio 2023.
5.1. Distribuzione delle frane
La Fig. 2 mostra una panoramica delle frane censite, indicate come punti (Fig. 2A) e come mappa di densità (Fig. 2B). Le due mappe mostrano anche le isolinee della precipitazione cumulata nei due eventi del 1-3 e 16-17 maggio (linee curve a tratteggio). Si osserva una forte, ma non perfetta, correlazione tra la pioggia cumulata e la densità di frane. Nella parte orientale della regione (Romagna), l’isoieta dei 300 mm di pioggia delimita approssimativamente l’area con densità superiore a 40 frane/km². Al contrario, nella parte occidentale (Emilia), la densità è inferiore a 40 frane/km² pur avendo ricevuto la stessa quantità di pioggia. Questa differenza è attribuibile ai diversi contesti geologici.
La Romagna è dominata dalla Formazione Marnoso-Arenacea, una successione torbiditica costituita da alternanze di arenaria e marne che dà luogo a pendii ripidi e suoli di alterazione sabbioso-limosi. Questi terreni relativamente permeabili tendono a saturarsi anche con precipitazioni intense e di breve durata. L’Emilia, invece, presenta una geologia più complessa con ampie zone caratterizzate da terreni di natura argillosa, che essendo molto meno permeabili richiedono precipitazioni più prolungate per raggiungere condizioni critiche di stabilità.


Fig. 2. A) Distribuzione delle frane di maggio 2023, indicate come punti. B) Mappa di densità di frane per km2 (modificato da [13]).
In Romagna, la densità di frane ha raggiunto valori impressionanti, superando le 250 frane per km². L’area più colpita, con oltre 40 frane per km², si estende per circa 800 km² e corrisponde al settore esterno della Formazione Marnoso-Arenacea. Circa il 64% delle frane si è verificato all’interno di questa zona. L’indice di franosità, cioè il rapporto tra superficie franata e superficie totale, raggiunge qui valori compresi tra 20% e 25%. Si tratta di numeri particolarmente rilevanti, che non erano mai stati registrati negli ultimi cento anni per i quali disponiamo di informazioni storiche accurate.
5.2. Tipologie di frana
Nel complesso sono state individuate cinque diverse tipologie di frana: scivolamenti di detrito, colate di detrito, scivolamenti in roccia, scivolamenti in terra, colate in terra (Fig. 3).
Gli scivolamenti di detrito (debris slides, DS) costituiscono il 67% delle frane censite, risultando il tipo di dissesto più frequente innescato dall’evento. Si tratta di frane superficiali, con spessori generalmente inferiori a 1-2 m e aree minori di 1000 m², originate dallo scivolamento dei terreni di alterazione che ricoprono la Formazione Marnoso-Arenacea. Queste frane si sono sviluppate prevalentemente su versanti ripidi e coperti da fitta vegetazione. Sebbene le radici e la copertura arborea forniscano un certo contributo di rinforzo meccanico e riducano in parte l’infiltrazione delle acque meteoriche, tali fattori non sono stati sufficienti a impedire il collasso.


Fig. 3. Frequenza percentuale delle varie tipologie di frana innescate dall’evento di maggio 2023.
Le colate di detrito (debris flows, DF) costituiscono il secondo tipo di frana più frequente, rappresentando il 15% del totale. Rispetto agli scivolamenti di detrito, le DF presentano una mobilità decisamente maggiore: il materiale franato si è completamente fluidificato, propagandosi verso valle per distanze considerevoli. In tutti i casi osservati, l’innesco è riconducibile a uno scivolamento di detrito su un versante ripido, spesso boscato. Dopo l’innesco, le colate hanno in genere percorso i versanti senza seguire canali definiti, asportando la vegetazione e formando corpi allungati con morfologia sub-rettangolare.
Gli scivolamenti di roccia (rock-block slides, RS) costituiscono meno dell’1% del totale delle frane, ma sono stati quelli che hanno fatto la maggiore impressione nella popolazione. Queste frane si sono verificate su versanti isostrutturali all’interno della Formazione Marnoso-Arenacea, cioè su versanti la cui immersione è parallela a quella della stratificazione. Questo assetto geologico crea le condizioni di innesco per scivolamenti planari lungo i piani di strato. Lo spessore della massa rocciosa dislocata è variabile da circa 2 metri a oltre 30 metri, e diversi scivolamenti hanno interessato aree superiori a 10 ettari. Rispetto alle colate e agli scivolamenti di detrito, gli scivolamenti di roccia si sono verificati su versanti dolci (tipicamente con pendenze inferiori a 15°) e hanno avuto dimensioni decisamente maggiori. Il grande volume, l’elevata velocità e il fatto che si siano verificati su pendii ampiamente urbanizzati e coltivati hanno reso questi fenomeni una delle principali criticità dell’evento.
Gli scivolamenti di terra (earth slides, ES) e le colate di terra (earth flows, EF) costituiscono rispettivamente il 12% e il 5% del numero totale di frane. Questi fenomeni si sono sviluppati principalmente all’interno di unità litologiche argillose, in particolare nelle argille plioceniche della catena esterna romagnola e nelle argilliti liguri presenti nell’area emiliana. In tali settori, il numero di frane è stato inferiore e i loro effetti meno rilevanti rispetto alle zone interne della Romagna, dominate dalla Formazione Marnoso-Arenacea. Come già osservato, i terreni argillosi hanno mostrato una risposta meno intensa alle piogge di maggio 2023 a causa della loro ridotta permeabilità e della durata relativamente breve delle precipitazioni. Inoltre, queste frane si sono concentrate soprattutto nelle aree calanchive, poco urbanizzate e già note alla popolazione locale per la loro instabilità.
5.3. Fattori predisponenti al dissesto
La carta delle frane consente di determinare i principali fattori geologici, geomorfologici e ambientali che hanno contribuito ai dissesti. Si tratta di un’analisi cruciale per pianificare gli interventi di ricostruzione, delimitare le aree potenzialmente soggette a frana in futuro e definire i vincoli di tutela del territorio.
L’identificazione dei fattori predisponenti si basa sull’incrocio tra la carta delle frane e altri livelli informativi, come la litologia del substrato, la pendenza dei versanti, la copertura vegetale e l’eventuale presenza di depositi di frana preesistenti. In letteratura sono disponibili diversi approcci per effettuare questa analisi in modo oggettivo e statisticamente robusto [6, 7], molti dei quali si fondano su un approccio bayesiano per stimare la relazione tra fattori e probabilità di frana.
L’approccio bayesiano consente di quantificare in modo esplicito il contributo di ciascun fattore predisponente, come una specifica litologia, una classe di pendenza o un tipo di uso del suolo, alla presenza delle frane combinando le informazioni a priori con quelle condizionate [14]. Per ogni classe di fattore viene calcolato quanto essa risulti associata alla presenza di frane, tramite un peso positivo W+, e quanto alla loro assenza, tramite un peso negativo W-, rispetto alla distribuzione complessiva dei dissesti nell’area di studio. La differenza tra questi due valori, nota come indice di contrasto C rappresenta l’effetto netto della classe sul verificarsi delle frane: valori di C > 0 indicano una maggiore predisposizione rispetto alla media, valori di C < 0 una minore predisposizione, mentre valori di C prossimi a zero evidenziano l’assenza di una correlazione significativa con l’instabilità.
Questo approccio è utile per ridurre i nostri bias cognitivi, perché ci obbliga a seguire un ragionamento strutturato e basato su dati, evitando gli errori tipici del pensiero intuitivo. Nell’analisi delle cause delle frane è facile lasciarsi condizionare dall’esperienza personale o da esempi particolarmente evidenti: ad esempio, si potrebbe pensare che le frane avvengano soprattutto su pendii molto ripidi perché è più facile ricordare casi spettacolari, o che una certa litologia sia la più pericolosa perché si associa a un evento specifico che ci ha colpiti.
Un’analisi statisticamente rigorosa, invece, valuta per ciascun fattore con quale frequenza si verificano le frane, utilizzando i dati dell’inventario e la distribuzione delle diverse condizioni presenti nell’area di studio. In questo modo si confrontano le informazioni di partenza, come la frequenza totale delle frane, con le nuove evidenze che emergono dai dati. L’aggiornamento dei risultati segue regole matematiche precise, riducendo il rischio che l’interpretazione venga influenzata da opinioni o preconcetti personali.
Nel caso dell’evento di maggio 2023, l’analisi dei fattori predisponenti fornisce risposte chiare. La Fig. 4 mostra i valori dell’Indice di Contrasto C calcolato per le varie principali tipologie di frana e considerando diversi fattori di controllo. I risultati ottenuti mostrano che:
– I versanti più suscettibili a scivolamenti di detrito (DS) sono quelli costituiti da terreni di alterazione della F.ne Marnoso-Arenacea (litologia n.7 in fig. 4) e con inclinazione superiore a 25°; questi versanti sono tipicamente convessi, boscati e privi di evidenze di frane pregresse.
– Le colate detritiche (DF) si sono verificate in condizioni simili, come indicano i valori dell’Indice di Contrasto analoghi per tutti i fattori.
– Il principale fattore che ha influenzato gli scivolamenti di roccia (RS) è la litologia del substrato (F.ne Marnoso-Arenacea). Anche la presenza di versanti poco inclinati e di aree agricole mostra un’associazione positiva con questi fenomeni. Bisogna però sottolineare che questi ultimi non sono fattori causali diretti, ma piuttosto conseguenze della particolare morfologia dei versanti isostrutturali della Formazione Marnoso-Arenacea, che sono tipicamente poco acclivi e adatti alle pratiche agricole.
– Gli scivolamenti di terra (ES) e le colate di terra (EF) sono influenzati in larga misura dalle stesse condizioni, in particolare dalle forti pendenze (superiori a 20°) in aree con suoli a grana fine, spesso caratterizzate da vegetazione arbustiva o con scarsa o assente copertura vegetale. A differenza degli scivolamenti e delle colate di detrito, i movimenti franosi che si verificano in questi terreni fini mostrano una correlazione positiva con la presenza di frane preesistenti e tendono a interessare versanti esposti a sud-est, sud o sud-ovest.
Uno dei risultati più rilevanti dell’analisi è la debole correlazione tra le frane avvenute in Romagna (DS, DF, RS) e quelle già note in passato. Ciò indica che gran parte dei dissesti osservati sono frane di primo innesco, senza precedenti storici nell’area. In altre parole, molti dei fenomeni si sono sviluppati in zone considerate stabili, poiché le attuali normative tendono a classificare come a rischio soprattutto le aree con evidenze di frane pregresse. Questo aspetto rappresenta un punto cruciale: le carte di pericolosità disponibili si sono rivelate inadeguate, non avendo contemplato uno scenario di questo tipo. È probabilmente anche per questa ragione che l’evento ha avuto un impatto così rilevante e inatteso.
Quanto accaduto in Romagna non deve essere interpretato come un fallimento della pianificazione territoriale o degli enti preposti alla difesa del suolo. Sempre più spesso, infatti, eventi estremi come quello di maggio 2023 innescano risposte anomale del territorio, generando numerosi dissesti anche in aree che in passato erano considerate sicure. Il rapporto tra clima e territorio è fragile e in continua evoluzione, e deve essere tenuto in grande considerazione in ogni decisione di pianificazione. Forse la lezione più importante lasciata dall’evento di maggio 2023 è proprio questa: il contesto sta cambiando e occorre prenderne piena consapevolezza per progettare lo sviluppo delle aree montane con un’attenzione reale ai rischi presenti e futuri.


Fig. 4. Analisi dei fattori di controllo delle frane di maggio 2023. Ogni grafico mostra i valori dell’Indice di Contrasto C calcolato per diversi fattori predisponenti e per le diverse tipologie di frana.
6. Conclusioni
L’analisi dell’evento di maggio 2023 in Emilia-Romagna evidenzia con chiarezza quanto la gestione del rischio da frana sia complessa e caratterizzata da profonde incertezze. Le precipitazioni eccezionali di quei giorni hanno generato oltre 80.000 frane in un’area superiore a 1000 km², con conseguenze devastanti per le comunità locali. La fase di emergenza è stata affrontata con rapidità ed efficienza, ma a più di due anni di distanza molte criticità restano irrisolte e la ricostruzione nelle aree montane procede con grande lentezza.
Le sfide da affrontare sono infatti enormi: in eventi di tale portata, le strutture tecniche preposte alla gestione del rischio idrogeologico risultano inevitabilmente sottodimensionate, rendendo difficile persino una ricognizione omogenea dei danni e la definizione di un elenco condiviso delle priorità di intervento. A ciò si aggiunge la complessità intrinseca dei fenomeni franosi, che ostacola l’individuazione di strategie comuni, tempestive ed efficaci su larga scala.
In contesti così complessi diventa indispensabile adottare un approccio scientifico rigoroso, basato su osservazioni sistematiche e analisi quantitative, per supportare decisioni informate e pianificare interventi realmente efficaci e sostenibili nel tempo. In particolare, l’esperienza di maggio 2023 ha evidenziato alcune priorità essenziali:
– potenziare le capacità di monitoraggio e raccolta dati, investendo in strumenti e risorse umane dedicate;
– aggiornare costantemente le carte di pericolosità, integrando le nuove conoscenze sugli effetti dei cambiamenti climatici;
– rafforzare la pianificazione territoriale, adottando strategie di mitigazione che tengano conto della crescente variabilità climatica;
– promuovere la consapevolezza del rischio nelle comunità locali, affinché la gestione dell’emergenza non ricada solo sulle istituzioni ma sia condivisa da cittadini e amministratori.
La lezione più importante lasciata da questo evento è forse che il contesto ambientale e climatico sta cambiando. Piogge estreme, un tempo eccezionali, stanno diventando più frequenti e possono generare dissesti anche in aree considerate sicure. Solo attraverso un approccio scientifico, sistematico e lungimirante sarà possibile ridurre la vulnerabilità del territorio e garantire una gestione del rischio realmente efficace, all’altezza delle sfide imposte dal clima che cambia.
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