L’ingegneria mineraria nelle Università italiane: dall’epoca moderna alla società contemporanea

Paolo Macini, Ezio Mesini *

Dipartimento di Ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

* Accademico benedettino

 

Abstract

This study aims to identify the origins and development of mining engineering in European societies in the modern and contemporary eras and, subsequently, its diffusion in Italian academies and universities as a tool for the transmission and creation of scientific and technological knowledge. The creation and approval of a degree in Mining Engineering in the Italian university was a difficult and slow process, at least compared to other European Countries. After the unification of Italy, and for the following 50 years, engineering studies favoured a multi-purpose training, with little attention to specialisations. The turning point came only after the 1920s, with the establishment of a specific degree in mining engineering in selected universities. Today’s society, which has as its founding paradigm the complexity, the interconnection and the dizziness of immediate communication, cannot forget its roots: a culture without memory is not open to the future, because history is awareness.

Keywords

Mining engineering, Geosciences, University history, Raw materials, Energy.

© Paolo Macini, Ezio Mesini, 2025 / Doi: 10.30682/annalesps2503e

This is an open access article distributed under the terms of the CC BY 4.0 license

1. Introduzione

Questo studio si propone di identificare le origini e lo sviluppo dell’ingegneria mineraria nelle società europee dell’epoca moderna e, in seguito, la sua diffusione nelle Università italiane come strumento di trasmissione del sapere e di sviluppo di nuove conoscenze. Se non è facile definire con precisione cosa sia un ingegnere (e ciò può essere specificato solo relativamente a un certo periodo storico), ancor meno è seguire la storia, tortuosa e variegata, che ha caratterizzato la trasmissione di questo sapere, anche in termini di narrativa e di interconnessione con le Scienze sociali. È un obiettivo complesso, perché lo si può affrontare secondo approcci diversi, quali la riflessione storiografica, il dialogo con le altre scienze, il significato epistemologico dei prodotti della ricerca, l’evoluzione della tecnica rispetto allo sviluppo della complessità sociale, la ricerca storica sui metodi e le contaminazioni disciplinari, o la tradizione degli insegnamenti. La società attuale, che ha come paradigma fondante la complessità, l’interconnessione e la vertigine della comunicazione immediata, non può dimenticare le sue radici: una cultura senza memoria non è aperta al futuro, perché la storia è prima di tutto consapevolezza.

Il termine ingegneria mineraria indica il complesso di pratiche, teorie, scienze e tecnologie impiegate per l’estrazione, il trasporto e il trattamento delle materie prime minerali solide, liquide o gassose, energetiche o non energetiche. Caratteristica dell’ingegneria mineraria è la sua interdisciplinarietà con diversi settori tecnologici, quali metallurgia, preparazione dei minerali, chimica industriale, meccanica delle macchine, meccanica delle rocce, elettrotecnica, idraulica, meccanica dei fluidi del sottosuolo, topografia, geologia, mineralogia, geotecnica, geofisica, ecc. Storicamente, la formazione dell’ingegnere minerario è sempre stata terreno di convergenza e intersezione di vari saperi, privilegiando gli aspetti pratici della professione.

L’origine della cultura mineraria europea si è sviluppata tra il XIV e il XVI secolo, quando nel continente divenne preminente la produzione dei metalli preziosi e di quelli non ferrosi: stagno, rame, piombo e zinco (Brianta, 1997). Lo sviluppo più decisivo si ebbe però tra il 1600 e il 1800, per incrementare e razionalizzare la produzione di ferro e carbone, i protagonisti della prima rivoluzione industriale. La fusione del ferro in altiforni alimentati da carbon coke metallurgico, che sostituì la produzione del ferro fucinato a mano, ricco di scorie e meno resistente, fu industrializzata in Inghilterra nel primo decennio del 1700. Nello stesso periodo, la produzione mineraria ebbe un decisivo impulso grazie all’invenzione della macchina vapore di Savery-Newcomen (1712) che, accoppiata alle pompe già sviluppate nel XVI secolo permise un rapido e facile drenaggio delle miniere, consentendo di aumentare la profondità di sfruttamento di giacimenti prima inarrivabili (Macini, Mesini, 2004).

Agli inizi del 1700, nelle aree comprese tra Sassonia e Ungheria, si ebbe la rifioritura della bergbaukunde, termine germanico che si può tradurre in “arte mineraria”, denominazione che ha sempre caratterizzato la materia d’insegnamento fondamentale dell’ingegneria mineraria italiana (dove ars va inteso nel significato latino di “tecnica”). Qui, a partire dal basso medioevo, la produzione di metalli preziosi era stata un’attività preminente. In quest’ambito, e proprio in queste aree, nella prima metà del 1500 Georgius Agricola ricompose i frammenti di un sapere pratico di lunga tradizione, gettando le basi dell’ingegneria mineraria moderna (Macini, Mesini, 2003). Le sue conoscenze, ricavate dall’esperienza e dall’osservazione degli oggetti naturali e degli impianti tecnici, sono esposte in maniera brillante in due opere, il Bermannus (1530) e il De Re Metallica (1556), i capostipiti della cultura mineraria europea.

Fig. 1. Frontespizio del trattato di Georgius Agricola, De re metallica (1556), unito ad alcune delle quasi 300 tavole che corredano il volume: scavo di gallerie minerarie, macchine per l’eduzione delle acque e modi di accesso al sottosuolo (copia digitale da Smithsonian libraries, https://archive.org/details/georgiiagricola00agria)

Il De Re Metallica (Fig. 1) è un documento che testimonia le conoscenze tecnologiche del XVI secolo, e mostra non solo le conquiste dell’ingegneria, ma illustra anche modi, forme e tempi della circolazione delle conoscenze, nonché il rapporto tra crescita culturale, sviluppo delle attività industriali ed evoluzione dei sistemi produttivi. Qui Agricola espone in maniera sistematica le sue osservazioni sui giacimenti minerari, le tecniche per la loro ricerca, coltivazione e metallurgia, illustrando i moderni macchinari in uso nelle miniere della Sassonia, dalle macchine per l’eduzione delle acque e per l’estrazione del minerale ai sistemi di ventilazione, dai processi e dalle tecniche dell’arricchimento dei minerali alle attrezzature e alle metodologie metallurgiche e di raffinazione dei metalli preziosi.

Fig. 2. Frontespizio del trattato di Biringuccio De la Pirotechnia (1540). Meno ricco di tavole rispetto al De Re Metallica di Agricola, il testo contiene alcune illustrazioni relative all’arte mineraria e metallurgica. A destra, in basso: estrazione del minerale da una galleria e trasporto presso le officine metallurgiche; a destra, in alto: lavaggio e arrostimento del cinabro per la produzione del mercurio (copia digitale da Smithsonian libraries, https://library.si.edu/digital-library/book/delapirotechnial00biri).

Pochi anni prima, Vannoccio Biringuccio, il fondatore dell’Arte mineraria e metallurgica italiana, pubblicò il De la Pirotechnia (1540), un trattato dove sono esaminati i metodi per la produzione di oro, argento, rame, mercurio, piombo, stagno e ferro, i metalli più diffusi al tempo (Fig. 2). Biringuccio fu per diversi anni sovrintendente delle miniere di Boccheggiano, in Toscana, e del Monte Avanza, in Carnia; la repubblica di Siena, anche grazie a lui, cercò di riattivare le miniere delle attuali Colline Metallifere, che nel Medioevo avevano fatto la fortuna di Montieri e di Massa, ma che erano rimaste quasi inattive dal 1348 in poi, quando la peste aveva falcidiato la popolazione della Maremma. L’ordinamento sistematico della trattazione distingue chiaramente l’opera di Biringuccio dai precedenti manoscritti di segreti e ricette relative a procedimenti tecnici specifici, cui molto probabilmente egli attinse, ma aggiungendo osservazioni e sperimentazioni personali. L’opera di Biringuccio fu però superata dal De Re Metallica, sia per la completezza del testo e per l’uso del latino, più diffuso del volgare, sia per la ricchezza di particolari e la chiarezza delle illustrazioni, che lo hanno reso uno dei monumenti della tecnologia.

Nel XVI secolo la professione dell’ingegnere (minerario) si inizia a configurare come il tramite e la conseguenza di un progetto strutturale di natura eminentemente pubblica, sia per il controllo del territorio, sia per la produzione di beni e capitali strategici per le Amministrazioni. Agricola può quindi essere considerato il precursore della rivoluzione che investì le scienze minerarie e metallurgiche nel XVIII secolo. Infatti, verso la metà del 1700, nelle aree minerarie di lingua tedesca, nascono dapprima le Bergschola (1735), e in seguito le Bergakademie (1770), istituzioni dedite all’istruzione tecnica e alla trasmissione del sapere pratico relativo all’intero ciclo di produzione dei metalli, antesignane dei corsi di ingegneria mineraria moderni (Brianta, 2001).

Gli ingegneri minerari tedeschi arrivarono in Inghilterra già nei primi decenni del XVI secolo, ma l’isola avrà un destino diverso: ricca in carbone, ma povera di ferro, il Paese importò dalla Germania numerose tecniche metallurgiche, le sviluppò in proprio, e all’epoca della rivoluzione industriale divenne il maggior produttore di acciaio, grazie all’abbondanza del carbone delle sue miniere e al minerale di ferro importato da Spagna e Svezia (Fig. 3).

I modelli formativi delle Bergakademie ebbero successo anche oltreoceano, e in particolare nelle aree soggette alle potenze coloniali. Gli scambi tra la Bergakademie di Freiberg e i distretti minerari dell’America Latina furono intensi, non solo per lo sviluppo dell’insegnamento, ma anche per lo sfruttamento delle enormi risorse minerarie del nuovo continente. Molti scienziati europei operarono presso il Real Seminario de Minería de la Nueva España, a Città del Messico, compreso Alexander von Humbolt, il più illustre allievo della Bergakademie di Freiberg. Negli stessi decenni, non mancarono contatti anche con l’impero portoghese, e in special modo col Brasile, in virtù delle immense ricchezze minerarie che qui si stavano scoprendo (Brianta, 2000).

Fig. 3. Annaberg (Sassonia), Sankt Annen Kirche, immagini del retro della Pala dell’altare dei minatori (Annaberger Bergaltars), dipinta da Hans Hesse nel 1521 (Foto: ©Paolo Macini).

Tutte le accademie minerarie europee furono visitate dall’élite del tempo, in special modo dai giovani Cadetti militari, in quanto discipline come l’artiglieria, il genio e l’ingegneria avevano ancora confini molto labili. In questo ambito è doveroso ricordare Luigi Ferdinando Marsili, scienziato, accademico, diplomatico, generale e fondatore dell’Istituto delle Scienze di Bologna, e in particolare al suo esteso trattato Danubius Pannonico-Mysicus (1726). Il trattato, oltre che descrivere questioni di geografia, etnologia, storia naturale, geologia e idrologia, affronta questioni di arte mineraria riporta dati di miniere e di operazioni minerarie arricchendo il testo con mirabili e dettagliate stampe (Fig. 4). Restando entro i confini della nostra penisola, già dalla metà del 1700 le scuole militari, e non solo quelle sabaude, fungevano da centri di sviluppo e diffusione delle discipline scientifico-tecnologiche, proprio mentre in Europa si strutturava la rete delle Bergakademie che, condividendo regole e metodologie sperimentali, diedero impulso alla nascita del pensiero scientifico moderno.

Secondo alcuni autori (Bulferetti, 1980; Brianta, 1997), il mondo germanico esercitò una forte attrazione su studiosi, militari e tecnici, che iniziarono a praticare periodi di formazione e viaggi di istruzione mineraria. Tra i più noti si ricordano Spirito Benedetto Nicolis di Robilant e Carlo Galeani Napione di Cocconato dal Regno sabaudo (Garuzzo, 2001), ma anche Giuseppe Melograni dal Regno di Napoli (Melograni, 1809). Questo “tirocinio all’estero” può essere considerato come il contrappunto di carattere naturalistico e tecnologico al Grand Tour che gli intellettuali nordeuropei erano soliti svolgere in Italia proprio in quell’epoca, alla ricerca dell’antichità perduta. Ciò “rasentò in taluni casi il limite di un vero e proprio atteggiamento feticistico che ebbe l’effetto negativo di ritardare i contatti con il mondo anglosassone, nella fattispecie sia con la scuola geologica sia con la tecnologia mineraria britannica, in alcuni campi più rivoluzionaria [di quella dell’area germanica, N.d.A.]” (Brianta, 1997). Infine, si ricorda che in questo periodo le accademie minerarie furono i trampolini di lancio verso i ranghi più alti della pubblica amministrazione, e che i comparti produttivi trainanti della rivoluzione industriale furono il settore minerario e quello ferroviario, che necessitavano principalmente di ferro e carbone.

Nel corso dei primi decenni del 1800 in Europa inizia l’unificazione del pensiero tecnico scientifico, messo in atto anche dalle trasformazioni del pensiero politico e sociale che porteranno alla nascita degli Stati Moderni, atteggiamento che senza dubbio stimolò e favorì la circolazione di capitale umano e di cultura tecnica, al di là della nascita della tecnocrazia, ciò che porterà Otto Hue a scrivere nel suo Die Bergarbeiter che l’industria mineraria è “la culla della cultura dell’umanità” (Hue, 1910).

2. Lo sviluppo della cultura mineraria in Italia tra il 1700 e il 1800

Fig. 4. Sezione verticale della miniera di rame di Herrensgrund (oggi Špania Dolina, Slovacchia) riccamente illustrata nell’opera di Luigi Ferdinando Marsili, Danubius Pannonico-Mysicus (1726). Si tratta di un esteso trattato di geografia, etnologia, geologia, e idrologia delle regioni danubiane, dove la raccolta dei dati, la ricognizione delle miniere e lo studio dell’arte mineraria è un preminente oggetto di applicazione e organizzazione militare (copia digitale da Belgrade University library “Svetozar Markovic”, http://ubsm.bg.ac.rs/engleski/dokument/1855/).

Negli stati preunitari italiani, a cavallo tra il XVIII e i XIX secolo, la formazione degli ingegneri era affidata a modelli istituzionali diretti a impartire una formazione adeguata e rivolta al controllo e alla valorizzazione del territorio e delle sue risorse, all’ingegneria applicata alla direzione dei lavori pubblici, alla sistemazione idraulica del territorio e allo sviluppo delle tecniche agricole.

Nel Regno di Napoli non esistevano corpi tecnici professionali, e la direzione delle attività minerarie era affidata al Corpo di Artiglieria, che formava i tecnici per i vari rami dell’amministrazione, mentre in Sicilia era già attivo l’Ispettorato delle solfare e dei calcheroni; in Toscana era designato un consultore tecnico governativo per le miniere (1844), così come nel Ducato di Parma esisteva un ispettore minerario: si trattava però di cariche prettamente amministrative, per le quali non era richiesto il “titolo” di ingegnere. Uniche eccezioni erano rappresentate dal Regno di Sardegna, dove la settecentesca Scuola Pratica di Mineralogia avviata da Nicolis di Robilant presso l’Arsenale militare di Torino già vantava una solida tradizione mineraria, e dalla Serenissima, che nel 1775 ordinò al Soprintendente delle miniere di Agordo di istruire, attraverso un corso triennale a spese della Repubblica, quattro giovani per abilitarli alla professione di Geometra montano e Direttore di fonderia (Girolami, 1960).

Nel Regno di Sardegna il re Carlo Felice aveva istituito il Corpo Reale delle Miniere con le Regie Patenti del 18 ottobre 1822, che tolsero le competenze minerarie al Corpo di Artiglieria, avviando un regolare Servizio tecnico delle miniere alle dipendenze dell’Azienda dell’interno. In seguito, si decise di implementare i ranghi tecnici del Corpo Reale delle Miniere inviando alcuni ingegneri a specializzarsi all’estero a spese dello Stato. Questa pratica fu ufficializzata nel 1847 con la concessione di borse di studio a Quintino Sella e Felice Giordano per seguire i corsi all’Ecole des Mines di Parigi, e fu ripetuta negli anni a seguire. Un’iniziativa analoga fu intrapresa anche nel Lombardo-Veneto, dove furono istituiti tre circondari diretti da capitani montanistici e ufficiali tecnici diplomati in una delle due accademie montanistiche imperiali, quella di Leoben o di Schemnitz (Brianta, 2007).

In seguito, con il Regio Decreto del 22 agosto 1848 il Corpo Reale delle Miniere passò dall’Azienda dell’Interno al Ministero di Agricoltura, Commercio e Marina e, poco dopo, il servizio minerario fu affidato al Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio (R.D. 5 luglio 1860), che lo svolgeva attraverso il Corpo Reale delle Miniere, istituzione integralmente passata allo Stato italiano dal Regno di Sardegna. Abolito il Ministero dell’Agricoltura, il Corpo passò al servizio del Ministero dei Lavori Pubblici. Dopo l’Unità, il Regno d’Italia articolò il Corpo delle Miniere in distretti minerari (1863), con compiti di vigilanza, disciplina, studio, organizzazione e consulenza mineraria. La competenza in materia di miniere fu poi assegnata nel 1923 al Ministero dell’Economia Nazionale e quindi, nel 1929, al Ministero delle Corporazioni.

Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana il servizio minerario fu infine assegnato al Ministero dell’industria e commercio, oggi transitato in parte alle Amministrazioni regionali e in parte al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. L’organizzazione territoriale dell’amministrazione mineraria rimase invece sempre basata sul Corpo delle Miniere e sulla suddivisione del territorio nazionale in Distretti minerari, ognuno dei quali era diretto da un Ingegnere capo. La prima ripartizione dei distretti fu attuata col Regio Decreto del 30 dicembre 1871 n. 619, ma in seguito le circoscrizioni distrettuali furono più volte modificate.

Se l’amministrazione mineraria ebbe già all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia la propria organizzazione unitaria, l’unificazione del regime legislativo in materia di miniere avvenne con grande ritardo rispetto agli altri settori dell’attività dello Stato e sul territorio nazionale continuarono a sussistere regimi minerari diversi, ispirati a criteri notevolmente difformi, ereditati dagli Stati preunitari: l’attività di ricerca e di sfruttamento delle sostanze minerali fu disciplinata organicamente solo nel 1927, con il Regio Decreto n. 1443, Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno. Questa normativa, tuttora in vigore, attribuendo la proprietà del sottosuolo al demanio dello Stato, anche se non escludeva l’intervento diretto dello Stato, lasciava l’esercizio dell’attività mineraria ai privati, in virtù di autorizzazioni o concessioni.

3. L’istruzione degli ingegneri in Italia nel periodo post-unitario

Tra gli ultimi atti del Regno di Sardegna vi fu l’emanazione del Regio Decreto (R.D.) 13 novembre 1859 n. 3725 (Legge Casati), che aveva l’intento di riformare l’ordinamento dell’istruzione, dall’amministrazione ai gradi scolastici e alle materie di insegnamento, rafforzando la determinazione del nuovo Stato a intervenire in materia di educazione, anche con l’intento di porsi a fianco della Chiesa cattolica, che da secoli ne deteneva il monopolio. La legge introdusse, tra l’altro, l’obbligo scolastico nel Regno.

Nell’educazione universitaria, la legge Casati sostenne gli studi scientifici e speculativi, privilegiando aspetti non sempre legati a risvolti applicativi o in linea con la nascente industria nazionale. Nell’ambito dell’offerta formativa delle università italiane tra Otto e Novecento erano presenti le cinque tradizionali facoltà di a) Teologia, b) Giurisprudenza, c) Medicina, d) Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, e) Filosofia e Lettere, mentre per quanto riguarda la formazione di livello professionale superiore, questa si realizzò all’interno di “Scuole speciali”, dove si formavano non solo i futuri ingegneri, ma anche agronomi, farmacisti e veterinari. Sul piano della didattica esse erano regolate da una normativa molto simile a quella delle facoltà tradizioni, anche se mancava loro una pari dignità culturale (Calcagno, 1997; Minesso, 1996).

In particolare, nel primo ventennio post-unitario, l’Italia si dotò, o trasformò, due istituti culturali differenziati ma complementari: la Scuola di applicazione di Torino (1859), più vicina al modello francese di haute école per la pubblica amministrazione, di ispirazione fortemente scientifica alla quale si conformeranno sostanzialmente anche le Scuole di applicazione di successiva fondazione, e l’Istituto tecnico superiore di Milano (1863), più simile al modello tedesco di tipo politecnico e più aderente alle realtà produttive e interconnesso al mondo industriale. (Brianta, 2007). Il sistema educativo nazionale fu in seguito arricchito da una rete di scuole di applicazione a livello regionale, destinate a migliorare la diffusione territoriale degli istituti formativi (Napoli 1864, Palermo 1866, Roma 1873, Padova 1876, Bologna 1877).

Prima del 1875, per acquisire il “diploma di libero esercizio della professione di ingegnere civile ed architetto” era necessario conseguire la laurea presso la Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, poi sostenere alcuni esami specifici, quali meccanica applicata, agronomia teorico pratica, mineralogia e geologia, e quindi sostenere un esame generale finale di libera pratica; tutto ciò svolgendo, contemporaneamente, due anni di praticantato presso un “ingegnere architetto approvato” (Cocchi, 1988).

Tale iter di studi fu abolito dal R.D. 26 ottobre 1875 n. 2760: “Considerando come i corsi pratici per gli ingegneri civili e architetti che si fecero fino ad oggi presso le Università di Bologna e di Pisa siano riconosciuti incompleti e insufficienti a fornire le cognizioni necessarie per formare veri e propri ingegneri, di fronte allo stato attuale della scienza, ed a quanto si richiede per il conseguimento di tali titoli nelle scuole d’applicazione del Regno”. Fortunatamente, questo decreto non si limitò solo ad abolire, ma istituì a Bologna il primo anno di una Scuola d’applicazione come parte integrante della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali. I futuri ingegneri, una volta frequentato con profitto questo primo anno, potevano iscriversi “senza altri esami” al penultimo anno del corso per gli ingegneri dell’Istituto tecnico superiore di Milano o delle altre Scuole d’applicazione del regno (Diotallevi, 2012).

Ma fu solo dopo il 1923 che la Scuola d’Applicazione cambiò la propria denominazione in Regia Scuola d’Ingegneria, e nel 1926 venne promulgato un nuovo statuto che introdusse corsi che fornirono l’istruzione necessaria a conseguire la laurea in ingegneria industriale. Grazie alla riforma Gentile (1923), il titolo di studio conferito dalle Scuole di Applicazione per la formazione degli ingegneri divenne una Laurea, aprendo la via alla trasformazione delle Scuole in Facoltà universitarie. Tale riforma formalizzò anche l’abilitazione all’esercizio della professione, imponendo il superamento di un Esame di stato. L’accesso alla formazione dei futuri ingegneri fu ristretto ai soli studenti di formazione liceale, fu riconosciuta la tutela legale e la dignità del titolo di ingegnere e, intorno alla metà degli anni 1930, vi fu la trasformazione dei Politecnici in Università e delle Scuole di applicazione per gli ingegneri in Facoltà universitarie.

4. L’istituzione dei corsi di Laurea in ingegneria mineraria in Italia

L’istituzione dei corsi di Laurea in ingegneria mineraria nella facoltà di Ingegneria italiane è stato un processo difficile e tortuoso. Dopo l’Unità d’Italia, e per i successivi cinquant’anni, gli studi ingegneristici privilegiavano una preparazione polivalente, con scarsa attenzione, se non addirittura aperta ostilità, verso le specializzazioni. Gli unici due indirizzi previsti per la Laurea in ingegneria erano quelli civile e industriale, ancorché ben poco differenziati, e presenti solo a Milano e a Torino (e qui solo dal 1879 in poi): in tutte le altre scuole di applicazione l’unico indirizzo era quello civile.

Il nuovo governo del Regno valutò fin da subito il possibile ruolo strategico dell’istruzione mineraria per lo sviluppo dell’industria di base. Purtroppo, la consapevolezza della povertà di ferro e di carbone del sottosuolo italiano, entrambi indispensabili all’industrializzazione, unita alle ristrettezze economiche del bilancio del giovane Stato, non giocarono in favore dell’istituzione di scuole nazionali, e si preferì continuare ad inviare i giovani laureati a studiare all’estero: “Una speciale scuola d’applicazione per gli ingegneri [delle miniere] non esiste in Italia e per altra parte non sarebbe opportuno consigliane per ora l’istituzione per difetto di apposito corpo insegnante che alla perfetta conoscenza della materia congiunga l’esercizio pratico, e di un grande istituto con copiosi materiali e collezioni, e per la spesa annua ingentissima, egli è perciò che trattandosi ora di compiere il numero degli ingegneri, ancor troppo scarso di fronte alle esigenze del nuovo Regno, […] si ravvisò opportuno sottoporre alla attenzione di Sua Maestà un decreto che facesse facoltà al Ministero di inviare all’estero quattro allievi scelti fra gli ingegneri laureati” (Pepoli, 1862).

Questa posizione fu condivisa anche da Quintino Sella, astro nascente della politica nazionale e già ingegnere del Corpo delle Miniere, probabilmente per un gioco di equilibri politici; anche nella sua successiva veste di avarissimo Ministro delle Finanze nei vari governi che si succedettero tra il 1861 e il 1873, si oppose sempre all’istituzione di una scuola superiore delle miniere in Italia e, anzi, annullò anche le dotazioni finanziarie del Regio Ufficio Geologico, di cui aveva contribuito alla fondazione solo pochi anni prima.

Ciononostante, relativamente all’istruzione secondaria egli si fece promotore dell’istituzione a Iglesias della Scuola triennale per Capi minatore e Capi officina delle miniere (Sella, 1871) con annesso Museo Mineralogico e laboratorio docimastico (R.D. 10 sett. 1871, n. 472), sulla scorta delle già esistenti scuole professionali minerarie di Caltanissetta (1862, scuola per Capi minatori di solfare), Lovere-Bergamo (1864, scuola per l’industria siderurgica) e Agordo (1867, scuola teorico-pratica per Capi-minatori), cui seguirà Carrara (1871, originariamente scuola per i Marmi), scuola poi trasferita a Massa Marittima con specializzazione più tradizionalmente mineraria (1919). Ciò riflette l’atteggiamento della politica italiana del tempo: privilegiare la formazione scolastica secondaria, e dei relativi quadri intermedi, collegando lo studio al lavoro in miniera. Una risposta istituzionale che seguiva, non a caso, i momenti di picco produttivo dello zolfo in Sicilia, di minerali di piombo-zinco in Sardegna, del rame nell’agordino e nel volterrano, e, in seguito, delle piriti in Maremma. Tutte queste scuole minerarie ebbero generalmente come docenti nelle cattedre professionalizzanti gli stessi ingegneri addetti al servizio minerario in quelle località, e spesso l’ingegnere capo del Distretto ne era il Preside.

La prima e unica scuola post-laurea ad indirizzo minerario riconosciuta in Italia fu la Scuola superiore delle zolfare di Palermo, istituita presso la scuola d’applicazione di Palermo nel 1872 (R.D. 21 gennaio 1871, n. 741). Questa scuola non ebbe fortuna: il corso di studi, inizialmente biennale, divenne annuale nel 1876 e fu poi spento nel 1887, avendo diplomato solo 11 ingegneri (Brianta, 2007). In realtà, come già riconosciuto dallo stesso corpo delle miniere, non era una scuola “superiore” a tutti gli effetti, cioè “una scuola o accademia superiore per formare veri ingegneri di miniere atti a tutti i rami del servizio” (Ministero, 1881). Il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, da cui dipendevano le miniere italiane attraverso il Regio Corpo delle Miniere, rimase dello stesso avviso per tutto l’ultimo scorcio di secolo, ribadendo che una scuola di applicazione per le miniere sarebbe stata troppo costosa per lo Stato, e che quindi conveniva inviare gli allievi all’estero, dove peraltro avrebbero esaminato stabilimenti industriali, miniere e impianti metallurgici molto più perfezionati di quelli italiani, traendone un’istruzione assai più completa.

Nel frattempo, però, in assenza di una scuola superiore delle miniere completa, occorre menzionare che, presso il Regio Istituto tecnico superiore di Milano (il precursore dell’attuale Politecnico), negli ultimi anni del decennio 1860 fu istituita una cattedra di Metallurgia, ad uso degli ingegneri del ramo industriale. Va detto che nello stesso Istituto, nello stesso periodo, fu attivissimo insegnante anche il geologo Antonio Stoppani, che scrisse uno dei primi manuali di questa nuova scienza proprio per gli allievi di questa scuola (Stoppani, 1866). Nel 1875 fu aggiunta anche la cattedra di Arte mineraria, tenuta dal personale tecnico del Distretto minerario di Milano, e in particolare dall’ingegnere capo (Corpo delle Miniere) Vittore Zoppetti. Egli fu uno dei docenti più noti, e ci ha lasciato anche un eccellente manuale di Arte mineraria (Zoppetti, 1882). Nel 1925 il Regio Istituto tecnico superiore divenne la Regia Scuola di Ingegneria di Milano, e la cattedra di Arte mineraria fu assunta da Antonio Ferrari, anch’egli ingegnere capo del Corpo delle Miniere (in pensione), il quale aggiornò il materiale di studio di questa materia in un ulteriore manuale (Ferrari, 1926).

Le motivazioni che, tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, portarono alla nascita di veri e propri Corsi di Laurea in ingegneria mineraria in alcune sedi universitarie, come Cagliari, Bologna, Roma, Torino, meritano ulteriori approfondimenti di archivio (ad es., la Scuola di ingegneria di Milano perse questo insegnamento). Certamente non fu estraneo il fatto che tra le due guerre, nella politica italiana si era fatta sempre più pressante la questione dell’indipendenza nazionale dalle fonti energetiche e dalle materie prime, entrambe oggetto di forte importazione. Le irrisolte esigenze di rifornimento energetico emersero già durante la Grande Guerra, imponendosi come fattore primario per i cambiamenti tecnologici e organizzativi del Paese. “Il primo, più importante scoglio sulla rotta dell’autarchia fu quello dei combustibili fossili, che erano di gran lunga la voce più elevata delle nostre importazioni” (Maiocchi, 2013).

Il 18 novembre 1935 la Società delle Nazioni deliberò le “sanzioni” contro l’Italia, accusata di aver violato il Patto, con l’aggressione dell’Etiopia. Fin dal 1935, e per tutta la prima metà del 1936, la scena politica italiana fu dominata prima dalla preparazione e poi dall’attuazione della guerra di Etiopia: l’economia, l’organizzazione istituzionale e la propaganda vennero subordinate al progetto di costruzione di un impero, e nacque ufficialmente l’autarchia. “La situazione drammatica in cui si vennero a trovare molte nostre attività produttive per le difficoltà di importazione svelò brutalmente la dipendenza dell’Italia dall’estero e impose all’attenzione di tutti la necessità di sfruttare al meglio le risorse presenti nel nostro Paese” (Maiocchi, 2013).

In questo senso, non fu trascurabile la propaganda e le mire imperiali del governo fascista: “La conquista dell’Impero ha dato un notevole impulso agli studi minerari e geologici. Il ministero dell’Educazione Nazionale, mentre ha provveduto a potenziarne l’organizzazione presso le nostre Università e Istituti superiori, […] ha pur sentito l’opportunità d’indirizzare verso di essi una più vigorosa corrente di studenti mediante la corresponsione di borse, con la cooperazione del Ministero delle Corporazioni” (Annali, 1940).

Torino

Il Regio Decreto n. 4993 del 1879 istituisce presso la Regia Scuola di applicazione per gli ingegneri di Torino “una nuova categoria di ingegneri, detti Industriali. Il diploma d’ingegnere industriale abilita chi lo ha ottenuto a dirigere l’impianto e l’esercizio di opifizii industriali, strade ferrate, coltivazioni minerarie, costruzioni metalliche, idrauliche e meccaniche, ed a sostenere l’ufficio di perito giudiziale nelle questioni relative. Gli studi obbligatorii pel conseguimento del diploma di ingegnere industriale durano tre anni. Materie d’obbligo sono […] l’arte mineraria e la metallurgia”. Trent’anni dopo, a partire dall’anno accademico 1908-1909, quando ormai la scuola si era trasformata nel Politecnico di Torino, fu attivato un corso di perfezionamento annuale in ingegneria mineraria, che aveva “lo scopo di dar modo agli ingegneri civili ed industriali meccanici di fare speciali studi teorici e pratici d’ingegneria mineraria (Regolamento Politecnico di Torino, 13 luglio 1908), e si avvaleva delle collezioni e delle attrezzature esistenti nel gabinetto di ingegneria mineraria esistente presso il Castello del Valentino (Procacci, 1998). Questo corso fu trasformato in una sottosezione mineraria solo nel 1917-18 (Brianta, 2007). Qui insegnò l’ingegnere e geologo Augusto Stella, già in servizio presso il Regio Ufficio Geologico di Roma. Nel 1908 Stella ottenne la cattedra di Scienze minerarie a Torino e diresse la Scuola di perfezionamento di ingegneria mineraria sino al 1925, anno in cui fu chiamato ad insegnare scienza delle miniere presso la Scuola d’Ingegneria di Roma (vedi sotto), dove ha insegnato sino al 1935. Nel 1926 vi fu il riordino degli statuti Scuole di Ingegneria, e il R.D. n. 2131 del 14 ott. 1926 approvò lo Statuto della Regia Scuola d’ingegneria di Torino, che definisce ed istituisce la laurea in ingegneria mineraria.

Roma e Palermo

Per venire incontro alle ispirazioni autarchiche del regime, nel 1926, anche in occasione della stesura del testo di riunificazione della legge mineraria (si veda il citato R.D. n. 1443, 1927), presso le scuole di applicazione di Roma e Palermo furono attivati due veri e propri corsi di Laurea in ingegneria mineraria. In particolare, il R.D. n. 2279 del 4 novembre 1926 definisce lo statuto della Regia Scuola d’ingegneria di Roma, stabilendo che “fa parte della R. Scuola d’ingegneria di Roma la Scuola di ingegneria mineraria che ha per fine di promuovere il progresso della scienza e dell’arte mineraria e di fornire la preparazione scientifica per la carriera del Corpo Reale delle miniere e per la professione di ingegnere minerario. Essa rilascia la laurea in ingegneria mineraria”.

Relativamente all’Ateneo palermitano, fu emanato un decreto simile al precedente (R.D. n. 2129 del 14 ott. 1926), che approva lo Statuto della Regia Scuola d’ingegneria di Palermo, istituendo per analogia la laurea in ingegneria mineraria. Il corso di Palermo non ebbe fortuna, e per difficoltà operative e burocratiche non entrò mai in funzione (Benfratello, 2006). Nel dopoguerra tornò da Roma il giovane Prof. Giuseppe Aprile, che istituì e operò all’interno dell’Istituto di Arte mineraria (Aprile, 1958). In seguito all’adeguamento dello Statuto della Facoltà di ingegneria di Palermo (D.P.R. n. 546 del 7 feb. 1961) la Laurea in ingegneria mineraria fu soppressa, che pure aveva una tradizione culturale nell’isola (Benfratello, 2006), e nonostante che la relativamente giovane amministrazione a statuto speciale della Regione Siciliana (R.D. 15 maggio 1946, n. 455) avesse assunto tra i propri ambiti di legislazione esclusiva anche tutti i beni del sottosuolo, ormai facenti parte del patrimonio indisponibile della Regione.

Cagliari

La Facoltà di Ingegneria dell’Università di Cagliari è stata costituita nell’anno 1939, con l’istituzione del solo corso di Laurea in ingegneria mineraria. Le prime lezioni si tennero presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, ma già nel 1940 la Facoltà di Ingegneria ebbe una sede propria. Solo nel 1950 fu aggiunto un secondo corso di laurea: Ingegneria Civile con indirizzo Edile. Proprio a Cagliari, un illustre studioso della Scuola di ingegneria bolognese, il Prof. Paolo Dore, in una sua memoria per il Congresso minerario italiano del 1948 ricorda che:

“A Bologna, ad esempio, la sezione mineraria sorse con il fine specifico di preparare degli ingegneri atti alla ricerca e alla coltivazione di giacimenti di idrocarburi, ma si è ben guardata dal limitare a questo specifico fine la preparazione degli ingegneri minerari che, se tali devono essere, devono avere gli elementi che li pongano in grado di sviluppare ogni attività professionale inerente all’ambito minerario” (Dore, 1950).

La direzione della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Cagliari, nonché del neonato Istituto di arte mineraria dell’Ateneo bolognese, istituito presso la nuova sede della Facoltà di Ingegneria, fu assegnata per incarico a Luigi Gerbella, già Direttore Generale delle miniere e della metallurgia nel governo Mussolini e uomo chiave dell’industria mineraria italiana nella prima metà del 1900. Tutti i tecnici, i periti e gli ingegneri minerari italiani conoscono Gerbella per il suo manuale tecnico “Arte mineraria”, pubblicato in tre volumi tra il 1937 e il 1938, e poi ristampato e aggiornato fino al 1960 (Gerbella, 1937).

Bologna

Nella nuova sede della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna (Fig. 5) nel 1941 fu istituita la “Sezione mineraria”, essendo stato fondato, nello stesso anno, l’Istituto di arte mineraria, che si affiancava ai già esistenti Istituti di Scienze delle costruzioni, Idraulica, Costruzioni idrauliche, Costruzioni stradali e ferroviarie, Macchine, Elettrotecnica, Meccanica applicata alle macchine, Tecnologie generali, Tecnologie speciali, Chimica applicata, Architettura tecnica, Fisica tecnica, Topografia, Geodesia e geofisica mineraria (Archivio Storico della Camera dei deputati, “Istituzione di una Sezione di ingegneria mineraria presso la Facoltà di ingegneria della regia Università di Bologna”. Atto C 1238, approvato dalla Commissione nella riunione del 23 gennaio 1941 (03.12.1940 – 23.01.1941), volume 1397, 884-903 cc. (20 cc.). Ministro dell’educazione nazionale, Bottai, Ministro delle finanze, Thaon di Revel).

L’istituzione di una scuola di ingegneria mineraria si affiancò quindi al già importante nucleo amministrativo del Distretto minerario di Bologna, che gestiva sia la produzione dei giacimenti solfiferi della Romagna e delle Marche, oltre a produzioni minori di minerali industriali, e nel cui territorio di competenza si stava affacciando una promettente attività nel campo degli idrocarburi, petrolio e gas naturale, la cui consistenza al tempo non era nota con precisione, e che si sarebbe rivelata strategica per il Paese solo nel primo dopoguerra. Numerosi furono i funzionari e i dirigenti del Distretto minerario che collaborarono alla didattica all’interno del nuovo corso di laurea.

Una svolta nell’indirizzo dei corsi di laurea in ingegneria mineraria si ebbe nell’anno 1958-59, quando la Facoltà di Ingegneria di Bologna decise di creare, primo in Italia, il settore idrocarburi attivando la disciplina “Meccanica dei giacimenti di idrocarburi” (Cocchi, 1988), tenuto dal Prof. Bruno Poggi (1919-2005), pioniere di tali studi in Italia. Non a caso, l’anno precedente era stata promulgata la legge 11 gennaio 1957, n. 6, che disciplina la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, e istituisce l’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi, con una sede a Bologna e competenza territoriale estesa a tutta l’Italia settentrionale. Altre due sedi furono istituite a Roma e Napoli, con competenze territoriali estese all’Italia centrale e meridionale, rispettivamente.

Epilogo

La presa di coscienza dell’importanza delle problematiche ambientali ai fini della tutela della qualità della vita favorì, alla fine degli anni 1980, l’istituzione nelle Università italiane dei Corsi di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio (D.P.R. 20 maggio 1989, concernente “Modificazioni all’Ordinamento Didattico delle Facoltà di Ingegneria”, G.U. 10 agosto 1989), con l’obiettivo precipuo di formare giovani professionisti con competenze multidisciplinari, in grado sia di analizzare le questioni riguardanti le complesse dinamiche che coinvolgono le componenti ambientali e le trasformazioni territoriali, sia di pianificare, progettare, gestire e manutenere le opere e gli interventi necessari a garantire lo sviluppo in armonia con la tutela dell’ambiente. In particolare, la base comune della preparazione del laureato specialista è la progettazione di opere e impianti compatibili con il territorio e l’ambiente, formando tecnici in grado di operare nella pianificazione, progettazione, realizzazione e gestione di sistemi ambientali anche complessi.

Con l’approvazione di questo nuovo ordinamento didattico, in Italia scompare formalmente il corso di Laurea in ingegneria mineraria, che viene ricompreso all’interno dei nuovi corsi di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, sotto forma di “indirizzo” nelle varie sedi che ancora conservavano il tradizionale corso di laurea in ingegneria mineraria (Bologna, Cagliari, Roma, Torino e Trieste). Venne così a svilupparsi un settore dell’ingegneria che riguardava lo sviluppo di tecnologie destinate a minimizzare l’impatto delle attività antropiche (agricoltura, industria, insediamenti urbani, trasporti, ecc.) sugli ecosistemi naturali e sulla salute pubblica, ma anche rivolte alla protezione delle risorse naturali: gestione integrata del ciclo dell’acqua, dalle opere di captazione al trattamento e smaltimento dei reflui e dei fanghi; gestione dei rifiuti, recupero di materie prime e di energia; protezione della qualità dell’aria, riduzione dell’inquinamento da emissioni industriali e da trasporti; sviluppo di tecnologie per rendere ecocompatibili le produzioni industriali di materie prime, agricole e zootecniche; risanamento di ambienti naturali compromessi, quali falde contaminate, suoli inquinati, laghi eutrofizzati, ecc.; monitoraggio; valutazione dell’impatto ambientale e promozione dello sviluppo sostenibile, nonché piani di Protezione Civile.

Fig. 5. La nuova Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, sita in Viale del Risorgimento, fu costruita su progetto dell’architetto Giovanni Vaccaro, e inaugurata il 28 ottobre 1935 (Alma Mater Studiorum Università di Bologna – ASUBo – Archivio fotografico, F. Ingegneria, Lastre negative 1930-1950, 54).

Tale organizzazione è rimasta integralmente in vigore fino all’anno accademico 2001-2002, quando, per effetto delle modifiche all’Ordinamento degli Studi Universitari introdotte dal Decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica n. 509 del 3 novembre 1999, fu avviato, progressivamente nel tempo, il passaggio all’articolazione su due livelli del percorso degli studi di Ingegneria, con esito finale il conseguimento dapprima della Laurea, di durata triennale, e, quindi, in successione della Laurea Specialistica, di durata biennale. L’organizzazione degli studi è stata poi nuovamente modificata da un ulteriore Decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (Decreto n. 270 del 22 ottobre 2004), che ha mantenuto l’articolazione degli studi di Ingegneria in due livelli, denominandoli “Laurea” (o Laurea di primo livello, di durata triennale) e, posta in successione, “Laurea Magistrale”, di durata biennale.

Bibliografia

1. Aprile, Giuseppe. 1958. Arte mineraria: compendio del corso di lezioni. Edizioni Delf, G. Denaro: Palermo.

2. Annali [gli] della Università d’Italia. Legislazione e amministrazione. 1940. Borse per studi minerari e geologici, 1(3), 31. Bonanni: Roma.

3. Benfratello, Guglielmo. 2006. Profilo storico della Facoltà di Ingegneria di Palermo. In Contributi per una Storia della Facoltà di Ingegneria di Palermo, a cura di La Mantia, F.P. Fotograf: Palermo, pp. 9-121.

4. Brianta, Donata.1977. Industria mineraria e professione dell’ingegnere in Piemonte e Savoia tra Sette e Ottocento: l’apporto del modello franco-tedesco. In Avvocati, medici e Ingegneri, a cura di Betri, M.L., Pastore, A. CLUEB: Bologna, pp. 255-278.

5. Brianta, Donata. 2000, 2001. Trasmissione del sapere tecnico nell’industria dei “non ferrosi” e circolazione dell’ingegnere minerario in Europa e in America Latina, 1750-1850. Ricerche di storia sociale e religiosa, parte I, 2000, 29(58), 127-159; parte II, 2001, 30(59), 195-246.

6. Brianta, Donata. 2000. Stato moderno, corpi tecnici e accademie minerarie: influenze e scambi nell’età dei Lumi e in età napoleonica. In Amministrazione, formazione e professione: gli ingegneri in Italia tra Sette e Ottocento, a cura di Blanco, L. Il Mulino: Bologna.

7. Brianta, Donata. 2007. Europa mineraria. Circolazione delle élites e trasferimento tecnologico (secoli XVIII-XIX). Franco Angeli: Milano.

8. Bulferetti, Luigi. 1980. La siderurgia piemontese e valdostana nel sec. XVIII. Ricerche storiche, 10(3), 519-556.

9. Calcagno, Gian Carlo. 1997. La Scuola per gli ingegneri dell’Università di Bologna tra Otto e Novecento. Annali di storia delle università italiane, 1, 149-163.

10. Cocchi, Giovanni. 1988. Cento anni di Scuola di Ingegneria a Bologna. In L’Università a Bologna. Maestri, studenti e luoghi dal XVI al XX secolo, a cura di Brizzi, G.P., Marini, L., Pombeni, P. Silvana editoriale: Bologna, pp. 195-205.

11. Diotallevi, P.P. 2012. Una Facoltà tra due Scuole: la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna (1935-2012). In Scienza e tecnica nel Settecento e nell’Ottocento: la rivoluzione industriale vista dagli ingegneri, a cura di Mesini, E., Mirri, D. CLUEB: Bologna, pp. 573-596.

12. Dore, Paolo. 1950. Osservazioni sulla preparazione degli ingegneri minerari. Atti del congresso minerario italiano, Cagliari 1948. Associazione Mineraria Sarda: Iglesias, pp. 3-4.

13. Ferrari, Antonio. 1926. Arte mineraria: Lezioni date nella Regia Scuola d’ingegneria di Milano. Hoepli: Milano.

14. Garuzzo, Valeria. 2001. Viaggi mineralogici di Spirito Benedetto Nicolis di Robilant; Olschki: Firenze.

15. Gerbella, Luigi. 1937. Arte mineraria, 3 voll.; Hoepli: Milano.

16. Girolami, Giovanni. 1960. L’istruzione tecnica per la formazione dei periti industriali minerari. In 1860-1960, Centenario del corpo delle miniere; Collegio sindacato nazionale ingegneri del Ministero per l’industria e il commercio. ANIAI: Roma, pp. 75-80.

17. Hue, Otto. 1910. Die Bergarbeiter. Historische Darstellung der Bergarbeiter-Verhältnisse von der ältesten bis in die neueste Zeit. Dietz: Stuttgart.

18. Macini, P., Mesini, E. (a cura di). Georgius Agricola De re metallica, con in appendice il De animantibus subterraneis – Bermannus, ovvero un dialogo sul mondo minerale. CLUEB: Bologna, 2003.

19. Macini, Paolo, Mesini, Ezio. 2004. Hydraulic Pumps of Agricola’s De Re Metallica (1556). J. of Hydraulic Eng., 130(11), 1051-1054.

20. Maiocchi, Roberto. 2013. L’Italia e l’autarchia. In Il Contributo italiano alla storia del Pensiero. Tecnica, a cura di Clericuzio, A., Ricci, S. Treccani: Roma, pp. 548-555.

21. Marsili, Luigi Ferdinando.1726. Danubius Pannonico-Mysicus. Hagae Comitum, Apud P. Gosse, R. Chr. Alberts, P. de Hondt: Amstelodami.

22. Melograni, Giuseppe. 1809. Compendio geologico di Giuseppe Melograni, membro del Reale Instituto d’Incoraggiamento. Stamperia del Corriere: Napoli.

23. Minesso, Michela.1996. L’ingegnere dall’età napoleonica al fascismo. In Storia d’Italia Annali, I Professionisti, a cura di Malatesta, M. Einaudi: Torino, pp. 257-302.

24. Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio. 1881. Notizie statistiche sull’industria mineraria in Italia dal 1860 al 1880. Regio Corpo delle Miniere: Roma.

25. Pepoli, Gioacchino. 1862. Relazione del Ministro di agricoltura, industria e commercio (Pepoli) sopra gli istituti tecnici, le scuole di arti e mestieri, le scuole di nautica, le scuole delle miniere e le scuole agrarie presentata alla camera dei Deputati nella tornata del 4 luglio 1862. Eredi Botta: Torino.

26. Procacci, Paola (a cura di). 1998. La “Scuola d’applicazione per gl’ingegneri” e il “Reale Museo Industriale Italiano”. Raccolta di Leggi e Reali Decreti dal 1859 al 1906; Memorie Politecniche 1. Politecnico di Torino – Centro Museo e Documentazione Storica: Torino.

27. Sella, Quintino. 1871. Sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna, relazione alla commissione parlamentare d’inchiesta, presentata alla Camera il 3 maggio 1871. Eredi Botta: Firenze.

28. Stoppani, Antonio. 1866. Note ad un corso annuale di Geologia dettate per uso degli ingegneri allievi del Reale istituto tecnico di Milano. Bernardoni: Milano.

29. Zoppetti, Vittore. 1882. Arte mineraria: Nozioni sulla coltivazione delle miniere desunte dal corso annuale d’arte mineraria tenuto nel Regio Istituto tecnico superiore di Milano. Hoepli: Milano.