Ciro il Grande, Gesù ed i Magi a Betlemme: l’Universalismo Cristiano al cospetto di altre genti

Antonio C. D. Panaino

Dipartimento di Beni Culturali

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Accademico Effettivo

Abstract

The interpretation of the historical role of Cyrus, the great king of Persia, presented as a “Messiah” in the Bible, and then as a Christos in the Greek version of the Septuaginta, suggested a num­ber of intercultural connections between Christianity and Zoroastrianism, in par­ti­cular within the process of evangelization of the Iranian lands. The anointment of Cyrus as other legendary ac­tions attributed to him played a strong influence in the Christian propaganda and had a certain rele­van­ce even in the political dialogue between the Christian authorities of the Church of Persia and the Sasanian kings of the 6th century CE.

Keywords

Zoroastrianism, Christianity, Conversion, Cyrus, Magi, Judaism.

© Antonio C. D. Panaino, 2023 / Doi: 10.30682/annalesm2301a

This is an open access article distributed under the terms of the CC BY 4.0 license

Tutti coloro che hanno un sufficiente background in storia antica potrebbero ri­ma­nere stupiti di fronte al singolare legame evocato nel titolo del presente contributo.1 Infatti, ci si potrebbe legitti­mamente domandare quale relazione possa mai sussistere tra Ciro il Grande, celebre re di Persia, fon­datore dell’Impero achemenide, vissuto nel VI secolo a.C., con la figura di Gesù, la sua nascita e la sua storia, visto che tali eventi sono avvenuti intorno alla fine del I secolo a.C., quindi più di cin­que­cento anni dopo. In realtà, un tale dubbio sorge da una serie di osservazioni solo apparentemente calzanti, le quali, se prese alla lettera, impedirebbero la giusta comprensione di alcune strane testimo­nian­ze relative alla presenza nelle nostre fonti di un legame diretto proprio tra Ciro e Gesù Cristo. In questo caso, un’osservazione obiettiva, anche se superficiale, finirebbe solo col produrre un terribile errore di interpretazione, in cui il crudo approccio letterale coprirebbe o devierebbe la scoperta di una più sottile motivazione di natura simbolica alla base di tale connessione diretta. Per questi motivi, passo dopo passo, seguiremo il sottile, ma ben chiaro fil rouge di una traiettoria antica e perfettamente al­li­neata, che lega queste due figure storiche, nonostante la totale mancanza di sincronismo tra le loro vicende umane.

Il primo punto dal quale si può partire riguarda il fatto che Ciro il Grande, quale liberatore del po­polo ebraico dalla cattività babilonese, precedentemente imposta da Nabucodonosor, e quale primo “promotore” del processo di ricostruzione del Tempio di Gerusalemme (operazione politico-religiosa poi confermata e sostenuta dai suoi successori sul trono persiano), fu chiamato in Deutero-Isaia 41,3, “l’Unto” del Signore. In altri termini, letteralmente e semplicemente, Ciro era un “Messia” (mašiaḥ), in­dipendentemente dal fatto che questa interpretazione fosse o meno nell’intenzione più stringente voluta dall’autore di questa frase biblica, e che tali righe fossero o meno presenti già nella prima re­dazione del capitolo in cui esse appaiono attestate.2 In effetti, la controversa discussione sul signi­fi­cato originario e sul contesto del passo in questione non ci riguarda strettamente in questa sede, perché a noi qui interessa soprattutto lo studio dell’effetto prodotto da tale tradizione nei secoli suc­cessivi sul­l’im­maginario cristiano ed ebraico di età tardo antica.

La corrispondente versione greca dei Settanta traduce senza esitazione tale titolo altamente quali­fi­cante come Χριστός (Οὕτος λέγει κύριος ὁ θεὸς τῷ χριστῷ μου Κύρῳ […]),3 ed in tale forma questa tradizione testuale è stata accolta e recepita nella cultura cristiana della tarda antichità.

Quindi, possiamo facilmente supporre che un primo legame tra Ciro e Gesù vada senza dubbio in­di­viduato nel fatto oggettivo che entrambi i personaggi sono definiti “Χριστοί”. Un ulteriore sviluppo di questa cruda osservazione ci porta a notare che, da un punto di vista cristiano, se il primo Χριστός, ossia Ciro, fu umano ed il suo potere storico e territoriale si estese su questo mondo terreno, il secon­do, Gesù, sarebbe invece un Χριστός di grado qualitativamente altro e certamente superiore, dato che il suo regno doveva essere con­si­derato come eterno ed uni­versale. Possiamo in definitiva affermare che tale corrispondenza ci pone in presenza di una va­riatio intorno al concetto di Translatio imperii, ov­vero del trasferimento del po­te­re imperiale al figlio di Dio da parte di un essere umano, unico con­dottiero nella storia dell’umanità, a cui fu mai conferito tale titolo nella Bibbia, nonostante il fatto che Ciro non fosse reputato di natura divina, né che addirittura egli fosse associato di­rettamente alla stir­pe ebraica, sebbene su questa tradizione troveremo, ma in epoca recenziore, delle interessanti spe­cu­lazioni.

Se perciò volessimo cercare ulteriori somiglianze biografiche, noteremo allora che i due perso­naggi (come anche nel caso di Mosè) condividevano storie avven­tu­rose riguardanti la loro infanzia, secondo un canovaccio narrativo non molto dissi­mile e che possiamo sintetizzare nel modo seguente: un potente sovrano, preoccupato per la potenziale ascesa di un neonato ad un ruolo da protagonista incontrastato, tenta invano di metterne in pericolo la vita.

Per Ciro la parte del cattivo di turno era impersonata da suo nonno Astyages,4 re dei Medi, men­tre per Mosè si trattava del faraone egiziano; a sua volta, per Gesù stesso, il malvagio di turno sarebbe stato Erode il Grande.

Questo motivo comune, ampiamente indagato anche in ambito psicoanalitico,5 era probabil­mente già confluito nella tradizione haggadica e mišnaica,6 in cui sarebbe stata elaborata la storia di Mosè,7 mentre parti del suo contenuto sarebbero poi state trasferite anche nel ciclo della vita di Cristo con particolare riferimento alla storia della sua prima persecuzione, secondo una tradizione sviluppata ed espressa soprattutto nel secondo capitolo del Vangelo di Matteo, ove compaiono quelle figure misteriose indicate come Magi.

Non possiamo dimenticare che sullo sfondo del materiale letterario formativo ri­guardante proprio il ciclo dei Magi a Betlemme, il Libro di Daniele ebbe in principio il ruolo più rilevante. La versione greca di questo testo non solo presentava per la prima volta nella redazione dei Settanta la parola μάγος, μάγοι, come tradu­zio­ne più appropriata per l’ebraico ̓āšăf/ ̓aššāp̄ (cfr. accadico āšipu, “onei­ro­mante”, “in­terprete di sogni”, “esorcista”),8 ma sarebbe stato lo stesso Daniele, una volta che costui fu am­messo nella cerchia più ristretta di tali indovini posti al servizio del re babi­lo­nese Nabu­chadnezzar (o Nabuco­donosor), e quindi assunto de facto come un membro del loro col­le­gio divinatorio, ovvero, secondo il testo greco dei Settanta, come μάγος, a prendere il nome esoterico di Bêlṭəša’ṣṣar ossia di Balthasar.9

Una successiva tradizione cristiana avrebbe poi trasferito proprio tale nome anche ad uno dei ben noti tre Magi (Bal­­tha­sar, Gaspare, Melchiorre)10 dei Vangeli apocrifi, che avrebbero adorato Gesù a Bet­lem­me. Secondo il Libro di Daniele I,21, Daniele sarebbe ri­masto in servizio con queste funzioni speciali sino al primo anno del regno di Ciro. Insomma, varie narrazioni che concernono sia Ciro sia Gesù si incrociano nuovamente, anche se non si tratta di vicende coeve.

Sembra evidente che il testo di Daniele abbia svolto un ruolo fondamentale nella stessa tra­di­zione dalla quale si sono poi sviluppate le successive storie sui Magi evangelici. Ma, al di là di queste stesse fonti, bisogna considerare che la tradizione greca bizantina, così come quella araba, co­no­scevano (e per­ciò condividevano) il nucleo di un’altra storia speciale riguardante un ulteriore particolare legame che avrebbe unito direttamente il re Ciro a Gesù Cristo. In un bel ciclo di miniature conservate in uno splendido Menologio (codice 14) del secolo XI, ora conservato ad Esphigmenou,11 come anche in un superbo codice del Monte Athos (Taphou 14),12 il re persiano è rappresentato mentre osserva dap­pri­ma l’apparizione miracolosa di una stella eccezionale e poi ordina ai suoi Magi di se­guirla. Così i Magi si sarebbero recati a Betlemme portando doni a Gesù, il quale, a sua volta, si sarebbe loro manifestato sotto tre diverse forme visibili, ciascuna corrispondente a distinte età della vita.13

Un’eco della tradizione che legava Ciro e Gesù si ritrova anche in un’importante fonte araba, Le Praterie d’Oro di Masʻūdī (XI secolo),14 ove la stessa storia è sostanzialmente ripetuta:

Quando il Messia venne nel mondo, il re Korech gli mandò tre messaggeri: il primo portava un sac­chet­to di incenso, il secondo un sacchetto di mirra e il terzo un sacchetto pieno d’oro. Essi par­ti­rono, gui­da­ti da una stella che il re aveva loro descritto, e così giunsero in Siria, presso il Messia e Maria, sua madre. Que­sto aned­doto dei tre re messaggeri è riportato dai cristiani con dettagli esa­ge­rati: si trova anche nei Van­geli. Così si dice che la stella sarebbe apparsa a Korech al momento della na­scita di Cristo; che essa pro­cedeva quando gli inviati del re erano in viaggio; che si fermava quando costoro si fermavano, etc. Ul­te­riori dettagli si troveranno nei nostri Annali Storici, dove abbiamo riportato le versioni degli Zoroastriani (Guebr) e dei Cristiani su questa leggenda. Ivi si vedrà che Maria diede una pagnotta tonda ai messaggeri del re, (e che) questi, dopo varie peripezie, l’avrebbero nascosta sotto un sasso; questo pane scomparve in fon­do alla terra, nella provincia del Fārs; poi fu scavato un pozzo in questo luogo e si videro spuntare due co­voni di fuoco che brillarono sulla su­per­ficie del suolo; insomma, tutto di questa leggenda si trova nei no­stri Annali.

Il testo fa riferimento all’idea che il segno celeste fosse stato rivelato solo ad un “vero” sovrano, pie­namente degno di accogliere il messaggio divino nella sua grandezza, per trasmetterlo ai Magi. In­somma, troviamo lo stesso motivo già identificato in precedenza: da un re (terrestre) ad un re (so­vru­mano e divino). Ma la fonte araba, inoltre, introduce una leggenda di natura esegetica dalla quale si deduce che i Cristiani avrebbero tentato di spiegare le origini del culto mazdaico del fuoco proprio con riferimento al pane donato da Maria ai Magi venuti ad adorare il bambino. Lo stesso concetto è at­testato nelle fonti uigure con riferimento, però, al dono di una pietra offerta da Gesù agli stessi Ma­gi. Tale pietra, durante il percorso dei tre Magi, sarebbe divenuta talmente pesante che i tre viag­gia­tori non sarebbero più stati in grado di trasportarla e, rassegnati, l’avrebbero gettata in un pozzo, dal quale sarebbe al fine emersa un’imponente colonna di fuoco.15

Ovviamente, dietro a tutte queste fonti ed alle loro profonde interconnessioni, si può identificare una complessa rete di tradizioni, più o meno leggendarie, provenienti dal contesto orientale ed elabo­ra­te nell’ambito di comunità cristiane emergenti, ma al contempo fortemente radicate all’interno di al­tre realtà spirituali, religiose ed etnoculturali. È in questo contesto che molti racconti hanno con­tri­buito alla produzione finale di gran parte della cosiddetta letteratura cristiana apocrifa e/o pseudo­epi­grafa. In particolare, a proposito del nostro argomento principale, alcuni cristiani, proprio attraverso l’im­magine dei Magi, avrebbero cercato di mostrare come in sostanza il Mazdeismo o Zo­ro­astrismo non fosse altro che una tradizione religiosa anticipatrice ed annunziatrice dello stesso Cri­stia­ne­simo. Un altro punto sorprendente del contatto tra Cristianesimo e Zoroastrismo riguardava in realtà la comune speranza in una futura resurrezione universale. Questa dottrina distingueva lo Zoroastrismo tra le altre religioni orientali in contatto con l’Ebraismo ed il Cristianesimo. Per questo, la stessa figura del futuro “salvatore” del mondo, tipica dell’escatologia collettiva zoroastriana, ovvero il Saošiiaṇt- (in pahlavi chiamato Sōšyans),16 offriva una stimolante associazione con il ruolo di Gesù, la cui pertinenza diven­tava tanto più evidente, se si considera che tale Saošiiaṇt sarebbe stato l’ultimo figlio postumo di Zo­ro­astro, nato da una vergine, il quale avrebbe scatenato la battaglia finale contro Ahreman an­nunciando ed operando la resurrezione di tutti i morti. Non è un caso che nel Vangelo Arabo dell’Infanzia di Gesù,17 preservato nel codice Laurenziano n. 387 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, l’opera si apra con una profezia in cui Zoroastro annuncia ai suoi discepoli la nascita del Sal­vatore, cioè di Gesù, creando così un chiaro legame tra l’attesa del suo figlio postumo e la figura mes­­sia­nica del Cristo.

In ogni caso, diverse fonti insistono sul fatto che alcuni Magi persiani sarebbero stati i veri custodi di una sorta di rivelazione derivante da Seth e tramandata attraverso un libro custodito tra loro in gran se­­greto. I Magi avrebbero preservato gelosamente questa tradizione in previsione della manifesta­zio­ne storica del Salvatore. Secondo il Vangelo armeno dell’Infanzia, 11,10-11,18 i Magi, giunti da Erode, avrebbero dichiarato, entrando in Israele, di aver soddisfatto un ordine divino, di cui avevano se­gre­ta­mente custodito una testimonianza scritta, trasmessa dal Signore ad Adamo proprio nel momento della nascita del figlio Seth. Altre fonti attribuiscono allo stesso Seth, in particolare, la redazione di un Libro dell’Apocalisse.19 Egli avrebbe consegnato ai suoi discendenti la lettera sigillata dal dito di Dio, e costoro l’avrebbero poi trasmessa a Noè, attraverso il quale, la missiva sarebbe arrivata via Sem ad Abramo e poi a Melchisedek. Grazie a Melchisedek, quindi al tempo di Ciro, re di Persia, la lettera divina sarebbe stata finalmente affidata ai Magi.

Dobbiamo, inoltre, ricordare che, secondo il Libro della Caverna dei Tesori,20 Adamo avrebbe na­scosto i tre doni dei Magi in una grotta e che questo segreto, a un certo punto, sarebbe stato tra­smes­so proprio a Seth, per poi essere fatto giungere, an­cora una volta, ai Magi.21 Altre fonti, come l’ Opus imperfectum in Matthaeum,22 in­sistono anche sul fatto che dodici Magi avrebbero osservato il cielo ogni notte sul Mons Victorialis, sino a quando non sarebbe finalmente apparsa la stella an­nun­zia­trice dell’atteso evento. Solo a partire da quel momento, essi avrebbero corag­gio­sa­mente intrapreso il tanto agognato cammino verso Betlemme. Altre tra­dizioni (dal Libro della Caverna dei Tesori alla Cro­naca di Zuqnin, et cetera) fanno ancora rife­ri­­men­to ad una predizione di Zoroastro riguardante la nascita di Gesù, evento che ine­vitabilmente doveva essere stato incrociato con la vicenda connessa alla figura mes­­sianica di Ciro e con il già citato tema del figlio postumo di Zoroastro. Ovvia­mente, come abbiamo visto, di tanto in tanto, in questo ciclo complesso ed etero­ge­neo, fa la sua comparsa anche Ciro il Grande, data la sua importanza per la storia di Israele e per il suo ruolo storicamente messianico.

Il forte legame tra Gesù e Ciro è ulteriormente sottolineato nel quadro della tarda letteratura greca e bizantina, dove troviamo un ciclo molto particolare che deve essere collegato con la tradizione ico­­nografica dei mss di Esphigmenu e Taphou,23 alla quale abbiamo, anche se solo brevemente, accennato in pre­­cedenza.

In una fonte greca, intitolata Africani Narratio de iis quae in Persia acciderunt,24 che, come si evin­ce dal titolo stesso, fu erroneamente attribuita a Giulio Africano,25 mentre, come è stato ac­cer­ta­to,26 si tratta certamente di un’opera composita (vedasi oltre), il cui nucleo centrale dovrebbe risalire ad un autore anonimo operante intorno al VI secolo d.C.,27 troviamo una narrazione molto curiosa, che però contribuisce ad illuminare la rete tematica in cui l’eredità persiana e la nascita di Cristo ve­nivano messe in stretta relazione al di fuori dello stesso mondo iranico. Questa in breve la sintesi di tale leggenda:

Nel tempio di Héra, fatto costruire da Ciro, re di Persia28, il sommo sacerdote avrebbe annunciato al re un evento miracoloso: infatti, la dea Héra, nel testo considerata come “Celeste” (Οὐρανία),29 dopo la sua unione con il Grande Hélios (Μέγας ῞Ηλιος), sarebbe stata rallegrata da un concepimento straor­dinario.

Notiamo subito che, secondo l’edizione classica di tale fonte stabilita da Eduard Bratke, il nome di Ciro non sarebbe ulterior­mente specificato o citato nel testo, mentre il re, protagonista della vicenda, seb­bene da associare certamente a Ciro, verrebbe poi chiamato nel contesto di un’unica e dubbia si­tua­zione come Μιθρο­­βάδης. Nella nuova edizione critica recentemente proposta da Pauline Bringel,30 però, il nome di Ciro31 ricorre almeno due volte, sia nella redazione breve sia in quella lun­ga; inoltre, la studiosa fran­cese legge diversamente l’occorrenza del nome del già citato sovrano Μιθροβάδης. Il testo prosegue descrivendo le statue delle divinità presenti nel tempio, che, per la fe­licità, avrebbero iniziato a dan­zare.32 Alla dea viene attribuito anche un ulteriore nome, quello di Pegé (Πηγή), ovvero di “fonte”.33 Si tratta indubbiamente di un riferimento metaforico a Maria (co­munque indicata nel testo come Μυρία), poiché si afferma che ella avrebbe sposato un “falegname”. L’essere una “sorgente”, come afferma la nostra fonte, avrebbe garantito un flusso perenne dello spirito, attraverso il quale poteva procedere un solo pesce34 (cioè Gesù). A quel punto, una stella splen­dente sarebbe scesa dal cielo, fermandosi sul pilastro della statua della dea “Sorgente” per ri­ve­lare al sovrano persiano (i.e. Ciro) la nascita verginale di un bam­bino, definito come “l’inizio della sal­vezza e la fine della distruzione”. Questo bambino sarebbe stato il figlio del grande Sole (Ἠέλιος), cioè il figlio di una divinità con tre nomi (τριώνυμος; chiaro il riferimento trinitario). A quel punto tutte le statue, tranne quella su cui si era fermata la stella, sa­reb­bero rovinate a terra. Noteremo che la stella si distingue non solo per il suo splendore, ma anche per il diadema (διάδημα βασιλικὸς),35 fatto che richiama implicitamente diversi motivi propri della regalità ira­nica. La voce celeste avrebbe poi ordinato al re persiano di inviare i suoi Magi a Gerusalemme, mentre la stella sarebbe rimasta ferma sulla statua fino alla loro partenza. Poi sarebbe comparso anche il dio Dioniso, per predire che il bambino avrebbe scacciato tutti i falsi dèi, e dichiarando che Pegé non sarebbe più stata una figura umana, bensì sovrumana, per aver concepito un essere generato dalla divina Fortuna.

Ma la fortuna di Ciro nella propaganda religiosa Cristiana non si limita a tale intrigante letteratura spirituale, che si snoda intorno al cammino dei Magi, ma appare addirittura in fonti di natura ufficiale. Mi riferisco al discorso di apertura della sinodo della Chiesa Cristiana di Persia, tenutosi nell’anno 544.36 In tale occasione, il katholikós Mār Ābā in­­vocava la benedizione di Dio sullo šāhān šāh persiano, il re Xusraw Anōširwān, che presenziava all’evento, di fatto presiedendolo. Proprio durante il solenne cerimoniale di apertura Mār Ābā rivolgeva al suo sovrano il seguente saluto, in cui lo omaggiava chiamandolo “nuovo Ciro”, quindi evocando in modo esplicito un inequivocabile riferimento al passo messianico di Deutero-Isaia 45,1:37

Per grazia di Dio, creatore, signore e governatore di tutte le cose e per la cura del nuovo Ciro, che è superiore a tutti i re, il gentile e misericordioso Cosroe, Re dei Re, al quale per la sua buona volontà Cristo, il redentore di tutte le creature, ha suggerito di effondere costantemente tutti i beni sulla sua santa Chiesa.

Una banale analisi intertestuale confermerebbe che questo preciso riferimento a Ciro che campeggia sugli altri re, evocava chiaramente la sottomissione degli altri poteri terresti (mǝlāḵîm/βασι­λέ­ων/­regum) alla stregua di quanto affermato all’inizio del passo biblico relativo al ruolo messianico di Ciro il Grande. Così, possiamo nuovamente osservare che proprio l’evocazione di Ciro veniva messa al servizio di una attualizzazione teologico-politica, in cui le funzioni liberatrici svolte dal sovrano ache­menide venivano proiettate sul re sasanide. Come ho notato anche in altri contesti, Mār Ābā non osava salutare esplicitamente il suo re Xusraw come “Χριστός”, ma si avvicinava, e di molto, a questo risultato, perché l’immagine di un nuovo Ciro, vincente su tutti gli altri re contemporanei, rifletteva il prestigio e le prerogative del Gran Re di Persia. La presente vicenda ci pone degli in­ter­ro­gativi a proposito del fatto che appare lecito chiedersi in quale misura le autorità cristiane (ma anche quelle ebraiche) più vicine al re sasanide ed alla sua famiglia potessero trasferirgli informazioni più pre­­cise rispetto all’epoca achemenide, così come tramandata nelle letterature classiche e siriaca. Si trat­ta di argomento controverso e dibattuto, ma certamente appare strano immaginare che i Cristiani non insistessero sugli elementi interculturali favorevoli a dimostrare la benevolenza persiana nei con­fron­­ti del progetto divino, che attraverso la protezione del popolo ebraico, avrebbe in fine favorito l’a­­sce­­sa del Cristianesimo. È ragionevolmente presumibile che le autorità cristiane, e soprattutto i per­­­sonaggi più raffinati sul piano intellettuale, avessero tutto l’interesse ad esaltare tali consonanze, soprattutto nel quadro di un programma politico che mirava a convertire i ceti più alti, nonché la stessa famiglia reale, alla fede cristiana, sulla stregua dell’esempio armeno. Tale argomento richie­de­rebbe una trattazione separata, a cui pertanto rimando,38 sebbene in questo contesto possiamo limi­tarci a sottolineare come la partita per la conquista spirituale dell’Oriente iranico fosse aperta e com­battuta anche a livelli intellettuali molto alti, e che in tale quadro operassero Mazdei, Cristiani, Ebrei, e membri di altre tradizioni religiose, che, alla fine del VII secolo dovranno però rinunciare alle pro­prie aspirazioni egemoniche a fronte della conquista arabo-islamica.

Prima di concludere, però, si osserverà in breve, rimandando la discussione a stu­di più specifici, che nel confronto tra Zoroastrismo e Cristianesimo, sarà il Cri­stia­nesimo a mostrare un’aggressività teo­­lo­gica ed evangelizzatrice molto spre­giu­dicata, in cui, al fianco della confutazione delle dottrine co­­­sid­dette “pa­gane”, ver­ran­no messi in campo tutti gli argomenti che si potevano sfruttare nel qua­dro di un’azione inclusiva. Ciro, i Magi, il Salvatore venturo, etc., mentre, al con­trario, gli Zo­roastriani non cercheranno mai di rintuzzare tali operazioni con una risposta al­tret­tanto aggressiva sul piano dei con­­tenuti. L’iniziativa della Chiesa maz­daica re­ste­rà piuttosto sulla difensiva, arroccata sul suo etno­cen­trismo e si limi­terà a per­se­gui­tare i con­vertiti, senza però mostrare alcun intento particolar­men­te uni­­ver­sa­li­stico. Paradossalmente, un at­teggiamento si­mile sarà fatto proprio an­che del­la co­mu­nità ebraica d’Iran, che, nonostante il suo ruolo intellettuale profondo, vedrà as­­sumere posizioni molto pru­­­denti nei confronti dell’universalismo del Deutero-Isaia, per mostrare un profondo scetticismo verso lo stesso ruolo messianico di Ciro.39 Insomma, una partita complessa, difficile e molto spinosa, in cui univer­sa­li­­smo, nazionalismo ed altre tendenze si incrociavano e combattevano senza tregua e con esiti imprevedibili, visto che la vittoria, almeno sula piano della pre­pon­de­ranza storico-sociale toc­cherà ad un’altra fede emergente.


1 Per ulteriori studi su tale tema, si veda А. Panaino, “Il βασιλεύς stella dei Magi ed altre nugae bizantino-iraniche”, in Po­li­do­ro. Studi offerti ad Antonio Carile, a cura di G. Vespignani, (Col­lec­ta­nea, 29), Spoleto, CISAM, 2013, 651-664; Id., “The Three Magi, the Stone of Christ and the Christian Origin of the Mazdean Fire Cult”, in Gnostica et Manichaica. Festschrift für Aloïs van Tongerloo. Anläßlich des 60. Geburtstages überreicht von Kollegen, Freunden und Schü­lern, hrsg. von M. Knüppel und L. Cirillo, (Studies in Oriental Religions, 65), Wiesbaden, Harrassowitz, 2012, 153-164; Id., “I Magi Evangelici, Ciro il Grande e il Messia”, in Ricercare la Sapienza di tutti gli Antichi” (Sir. 39,1). Studi in onore di Gian Luigi Prato, a cura di M. Milani e M. Zappella, Bologna, Dehoniane, 2013, 425-432. La rela­zio­ne tra Ciro e Gesù è oggetto di discussione approfondita in B. Melasecchi, “Il Messia re­gale di Matteo: ascendenze zoroa­stria­ne, 1”, in Il Salvatore del mondo. Prospettive di salvezza nell’Oriente antico, Roma, IsIAO, 2003, 63-105, in particolare pp. 69-90). Cfr. R.D. Aus, “The Magi at the Birth of Cyrus, and the Magi at Jesus’ Birth in Matt. 2:1-12”, in Barabbas and Esther and Other Studies in the Judaic Illumination of Earliest Christianity, ed. by R.D. Aus, Atlanta, Scholars Press, 1987, 95-111; si veda anche A. Panaino, I Magi evangelici. Storia e simbologia tra Oriente e Occidente, Ravenna, Longo, 2004, 17-18.

2 Su questo complesso argomento, si rimanda all’approfondita discussione offerta da L.S. Fried, “Cyrus the Messiah? The Historical Back­ground to Isaiah 45:1”, The Harvard Theological Review 95/4 (2002), 373-393.

3 Septuaginta, Id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes edidit Alfred Rahlfs, Duo vo­lumina in uno, Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft, 1979, vol. II, 627.

4 Cfr. J. Harmatta, “Herodot und die altpersische Novelle”, in Selected Writings. West and East in the Unity of the Ancient World, ed. by László Havas and Imre Tegyey, (ΑΓΑΘΑ. Studia ad Philo­lo­giam Classicam Pertinentia quae in Aedibus Universi­ta­tis De­breceniensis re­diguntur XII), De­bre­cen, Kossuth Egyetemy Kiadó, 2002, 192-206. A. Panaino, “A Mesopotamian Omen in the Cy­cle of Cyrus the Great, with an Appendix on Cuneiform Sources by Gian Pietro Basello”, in Of God(s), Trees, Kings, and Scholars. Neo-Assyrian and Re­­lated Studies in Honour of Simo Parpola, ed. by M. Luukko, S. Svärd and R. Mattila, Helsinki, Studia Orientalia published by the Finnish Oriental Society 106, 2009, 391-398.

5 Su tale tematica, si rimanda già allo studio pioneristico di O. Rank, Der Mythos von der Geburt des Helden. Versuch einer psychologischen Mythen­deu­tung, (Schriften zur an­ge­­wandten Seelen­kun­de, Heft 5), Wien-Leipzig, Internationaler Psychoana­ly­ti­scher Verlag, 2. We­sent­lich erweiterte Auf­lage, 1922 (Neudruck, Wien, Turia und Kant, 2000); Id., The Myth of the Birth of the Hero. A Psy­chological Ex­­plo­ra­tion of Myth, Expanded and updated edition. English trans­lation by G.C. Richter and E.J. Lieberman, with an Introductory Essay by R.A. Segal, Bal­ti­more-Lon­­don, The Johns Hopkins University, 2004.

6 Si veda A. Vögt, Messias und Gottessohn. Her­kunft und Sinn der matthäischen Geburts- und Kind­heitsgeschichte, Düs­seldorf, Pat­­mos-Verlag, 1971.

7 Si veda U. Luz, Matthew 1-7. A Continental Commentary, translated by W.C. Linss, Minneapolis, Fortress Press, 1992, 152-155, ove il lettore potrà trovare una tavola sinottica dei mo­ti­vi concernenti i diversi casi di persone perseguitate e poi salvate co­me Mosè, Abramo, Cipselo, Mi­tridate, Romolo e Remo, Au­gusto, Nerone, Gilgamesh, Sargon I, Ciro, Zoroastro, Frēdun e Kri­śna). Cfr. anche J. Gnilka, Das Matthäusevangelium, I. Teil, Freiburg im Breisgau, Herder, 1986, passim.

8 Si veda A. Panaino, I Magi e la loro stella. Storia, scienza e teologia di un racconto evan­ge­lico, (Parola di Dio, II serie), Cinisello Balsamo (MI), Edizioni San Paolo, 2012, 61-66, passim.

9 A. Panaino, “Daniel the Magus and the Magi of Bethlehem”, in From Source to His­to­ry, Stu­dies on Ancient Near Eastern World and Beyond. Dedicated to Gio­van­ni Lanfranchi on the Oc­ca­sion of His 65th Birthday on June 23, 2014, ed. by S. Gaspa, A. Greco, D. Mo­randi Bonacossi, S. Ponchia, R. Rollinger, (Alter Orient und Altes Testament, Band 412), München, Ugarit Verlag, 2014, 455-467.

10 Si veda A. Panaino, I Nomi dei Magi Evangelici. Un’indagine storico-religiosa, con contributi di A. Gariboldi, J. Kotyk, P. Ognibene e A. Zubani, (Iranica et Mediterranea 4), Milano, Mimesis, 2020. Di fatto, il nome Balthasar deriva, per intermediazione della forma greca Βαλτασάρ (esattamente così come attestata nel Libro di Daniele, I, 7, etc.) secondo la versione dei Sep­tuaginta), dal­l’e­brai­co Belša’ṣṣar (anche trasmesso come Bēlṭəša’ṣṣar, sempre in Daniele, pas­sim). A sua volta, tale forma ebraica sarebbe un palese prestito dall’accadico Bēl-šar-uṣur, il cui si­gnificato può essere interpretato come “(che) Bēl, protegga il re”.

11 Si vedano le riproduzioni delle splendide iconografie preservate nel codex Esphigmenou 14, e ri­prodotte in K. Heyden, Die “Erzählung des Aphroditian”: Thema und Variationen einer Le­gende im Spannungsfeld von Christentum und Heidentum, (Stu­di­en zur Antike und Christentum, 53), Tübingen, Mohr Siebeck, 2009, 67-93, passim; la riproduzione delle illustrazioni per­ti­nen­ti si tro­va alle pagine 329-341.

12 Si veda S.M. Pelekanidis, P.C. Christou, Ch. Tsioumis, S.N. Kadas, The Treasures of Mount Athos: Illuminated Manuscripts, vol. 2, The Monasteries of Iveron, St. Panteleimon, Esphig­me­nou, and Chilandari, Athens, The Patriarchal Institute for Patristic Studies, Ekdotike Athenon, 1975, 236-237; P. Huber, Die Kunstschätze der Heiligen Berge, Sinai. Athos. Golgota – Iko­nen. Fres­ken. Miniaturen, Pattloch, Benziger Verlag, 1987 (dritte Auflage), 225-231, con notevoli ri­pro­du­zioni dell’apparato ico­nografico. Cfr. anche R.C. Trexler, The Journey of the Magi. Mean­ings in History of a Christian Story, Princeton, Princeton University Press, 1997, 66, 256, n. 7; Id., Le voyage des mages à travers l’Histoire. Traduit de l’anglais par M. Groulez. Préface de J. Le Goff, Paris, Armand Colin, 2009, 66, 256, n. 7. Riguardo a tale tradizione manoscritta, si rimanda a K. Weitzmann, “Representations of Hellenic Oracles in Byzantine manuscripts”, in Mansel’e Armağan. Mélanges Mansel, vol. 1, (Türk Tarih Ku­ru­mu Yayinlari 7), Ankara, Türk Tarih Ku­rumu Basımevi, 1974, 397-410; J. Lafontaine-Dosogne, “Iconography of the Cycle of the Infancy of Christ”, in The Art of the Kariye Djami IV. Studies in the Art of Karye Djami and its Intel­lectual Back­ground, ed. by P.A. Underwood, Princeton, London, 1975, 208-218; Ead., “L’Illustration du cycle des Mages suivant l’homélie sur la nativité attribuée à Jean Damascéne”, Le Mu­séon 100 (1987), 211-224. Heyden (Die “Erzählung des Aphroditian”, cit., 67-93, passim) ha sug­­gerito importanti osservazioni su tale documentazione; a proposito delle illustrazioni di stretto in­te­res­se per la presente trattazione, si vedano le pagine 329-352.

13 Questo tema è oggetto di un’altra complessa tradizione, assai significativa per lo studio delle relazioni cristiano-mazdaiche, su cui si veda ancora Antonio Panaino, “Jesus’ trimorphisms and te­tra­morphisms in the meeting with the Ma­gi”, in From Aṣl to Zā’id: Es­­says in Honour of Éva M. Jeremiás, ed. by I. Szántó, (Acta et Studia XIII), Piliscsaba, The Avicen­na Institute of Middle Eastern Stu­dies, 2015, 167-209; Id., “The Esoteric Legacy of the Magi of Bethlehem in the Framework of the Iranian Speculations about Jesus, Zoroaster and His Three Posthumous Sons”, in Apo­cryphal and Esoteric Sources in the Development of Christianity and Judaism: The Eastern Me­diterranean, the Near East and Beyond, ed. by I. Dorfmann-Lazarev, (Texts and Studies in Eas­tern Christianity, XXI), Leiden, Brill, 2021, 368-382.

14 Si veda il capitolo 68 delle Praterie d’Oro, secondo l’edizione/traduzione di C. Barbier de Meynard, A. Pavet de Courteille, Maçoudi. Les prairies d’or, Tome 4, Texte et traduction par C. Bar­bier de Meynard, Paris, Société Asiatique, 1865, 79-80; tale capitolo è stato editato nuovamente, ma con diversa numerazione (1405) nella revisione della precedente traduzione realizzata da parte di C. Pellat, Masʻūdī, Les prairies d’or, Traduction fran­çaise de Barbier de Meynard et Pavet de Courteille, revue et corrigée par C. Pellat, Tome II, Paris, Société Asia­tique, Collection d’où­vrages orientaux, 1964, 542; cfr. anche A. van Tongerloo, “Ecce Magi ab Oriente ve­ne­runt”, Acta Orientalia Belgica 7 (1992), 57-74, in particolare p. 73.

15 Si rimanda ancora al mio studio, “The three Magi, the Stone of Christ and the Christian Origin of the Mazdean Fire Cult”, in Gnostica et Manichaica. Festschrift für Aloïs van Tongerloo. Anläßlich des 60. Geburtstages überreicht von Kollegen, Freunden und Schülern, hrsg. von M. Knüppel und L. Cirillo, (Studies in Oriental Religions, 65), Wiesbaden, Harrassowitz, 2012, 153-164.

16 G. Messina, I Magi a Betlemme ed una predizione di Zoroastro, (Sacra Scriptura Antiquitatibus Orien­ta­libus Illustrata, 30), Roma, apud Pontificium Institutum Biblicum, Scuola Ti­po­grafica Pio X, 1933, 84-85, passim.

17 M.E. Provera, Il Vangelo arabo dell’Infanzia secondo il ms. Laurenziano Orientale (n. 387), (Quaderni de “La Terra santa”), Gerusalemme, Franciscan Printing Press, 66-69.

18 P. Peeters, Évangiles Apocryphes, II, L’Évangile de l’enfance. Rédaction syriaque, arabe et ar­mé­niennes tra­duites et annotées, Paris, A. Picard Éditeur, 1914, 137-139. Cfr. I Vangeli apocrifi, a cu­ra di M. Craveri, con un saggio di G. Pampaloni, Torino, Einaudi, 2005, 168-169; cfr. an­cora Monneret de Villard, Le Leggende Orientali sui Magi Evangelici, cit., 76.

19 La tradizione concernente la trasmissione di un messaggio segreto da Adamo a Seth è attestata nel testo apocrifo in­titolato La Di­scesa all’Inferno, cap. 3, ed è noto anche all’interno dell’Opus Im­per­fec­tum in Matthaeum, hom. 2, 2 (vedi J.-P.l Migne, Pa­trologiae Cur­sus Completus […], Series Graeca, Tomus LVI, Lu­te­tiae Parisorum, 1862, coll. 637-638). Cfr. in particolare Messina, I Magi a Bet­lemme, cit., 65-66. Tale testo appartiene anche alla tradizione della biblioteca gnostica di Nag Hammadi. Si vedano I Vangeli apo­crifi, a cura di M. Craveri, cit., 168-169, n. 2, 353. Cfr. altresì L. Moraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Casale Mon­fer­ra­to, Piem­me, 20076, 692.

20 Si veda il capitolo V; cfr. Su-Min Ri, La Caverne des trésors: les deux recensions syriaques, édi­tées [et traduites], 2 voll., (CSCO, 581, Subsidia, 103), Lovanii, Peeters, 1987, 17-18; Id., Com­mentaire de la Caverne des Trésors. Étude sur l’histoire du texte et de ses sources, (CSCO 486-487), Lovanii, Peeters, 2000, 191-197.

21 C. Bezold, Die Schatzhöle aus dem syrischen Text dreier unedirten Handschriften in’s Deutsche übersetzt und mit Anmerkungen versehen, Erster Abteilung, Leipzig, Hinrichs, 1883, 7-9. Moraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, cit., 318 nella nota. Si veda anche L. Moraldi (a cura di), Vangelo arabo apocrifo dell’apostolo Giovanni da un manoscritto della Biblioteca Am­bro­sia­na, Milano, Jaca Book, 1991, 64-66.

22 Si veda U. Monneret de Villard, Le Leggende Orientali sui Magi Evangelici, (Studi e Testi, 163), Città del Va­ti­ca­­no, Biblioteca Apo­­sto­lica Vaticana, 1952, passim.

23 Sull’importanza di queste fonti iconografiche nel contesto del simbolismo proprio del tema del tri­morfismo e del tetramor­fi­smo di Gesù, si veda la specifica discussione in Panaino, “Jesus’ tri­mor­phisms and tetramorphisms in the meeting with the Ma­gi”, cit., 167-209.

24 Si veda ancora Migne, Patrologia Graecae, Tomus 10, cit., coll. 97-107.

25 Si veda la discussione già anticipata da M. Centini, I Re Magi. Religione, storia, astrologia, leg­genda nel cammino di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, Milano, Xenia Edizioni, 1992, 21-22, 30, n. 5. Cfr. Migne, Patrologia Graecae, Tomus 10, cit., coll. 97-107; U. Roberto, Le Chro­nographiae di Sesto Giulio Africano, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011; Monneret de Villard, Le Leggende Orientali sui Magi Evangelici, cit., 107-111.

26 Questo testo fu edito da E. Bratke, Das sogenannte Religionsgespräch am Hof der Sasaniden, (Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, 18. Bd., Heft 3), Leipzig, Hin­richs, 1899; cfr. A. Wirth, Aus orientalischen Chro­ni­ken, Frank­furt am Main, M. Diester­weg, 1894, 143-210. Si veda oggi l’edizione a cura di P. Bringel, Une polémique religieuse à la cour perse: le De gestis in Perside. Histoire du texte, Edition critique et traduction. Thèse pré­sentée par Pauline Bringel, sous la direction de Jean Gascou, Paris, Sorbonne, 2007. Molto importante risulta anche il lavoro di K. Heyden, Die “Erzählung des Aphroditian”: Thema und Varia­tio­­nen einer Legende im Spannungsfeld von Christentum und Heidentum, Stu­dien zur Antike und Chris­tentum 53, Tübingen, Mohr Siebeck, 2009. Preziosa, inoltre, la traduzione inglese di A. East­bourne, Religious Discussion at the Court of the Sassanids, tran­s­la­ted accor­ding to the Bratkes’ and Bringel’s editions. Made public domain on the 19th March 2011, at the web­site: http://archive.org. Cfr. ancora H. Usener, Religionsgeschichtliche Untersuchungen. E. Theil, Das Weihnachtfest, Bonn, Verlag von Max Cohen und Sohn, 1884; seconda edizione 1911.

27 Il problema della determinazione temporale di quest’opera è stato completamente rivisto dalla Brin­gel (Une polémique reli­gieu­se à la cour perse, cit., 2-5, passim). Sembrerebbe che tale fonte sia stata trasmessa secondo due diverse recensioni, una più lunga, l’altra più breve, e che contenga due parti ben distinguibili, la prima denominata come la “Storia di Cassandro” l’altra come la “Storia di Afro­­di­ziano”, che sono state tradizionalmente ascritte a (ovvero connesse con) Filippo di Side (in Panfilia); si veda in proposito K. Heyden, Die Christliche Geschichte des Philippos von Side: Mit einem kommentierten Katalog der Frag­mente, hrsg. von M. Wallraff, Julius Africanus und die christliche Weltchronistik, (Texte und Un­ter­suchungen zur Geschichte der alt­christlichen Literatur, 157), Berlin, W. de Gruyter, 2006, 209-243; Ead., Die Christliche Ge­schi­chte des Philippos von Side, cit., 171-225; cfr. Bringel, Une polémique religieuse à la cour perse, cit., 40-41) dal momento che esse ricorrono nella sua Historia Christiana, databile tra il 425 ed il 439. Mentre la recensione lunga menziona un pro-console di Palestina, un fatto che avrebbe dovuto im­plicare, come la stessa Bringel (Une polé­mique religieuse à la cour perse, cit., 2-5, 15-17, 20-25 passim) ha giustamente notato, un ancoraggio del terminus post quem all’anno 536, data della No­vel­la 103 di Giustiniano sulla riorganizzazione di quella regione (si veda in proposito Ph. Ma­yer­son, “Justinian’s Novel 103 and the Reorganization of Palestine”, in Id., Monks, Martyrs, Sol­diers and Saracens: papers on the Near East in late antiquity (1962-1993), Jerusalem, Published by the Israel Exploration Society in association with New York University, 1994, 294-300). In ogni caso, il materiale compositivo sembrerebbe risalire ad un periodo che potrebbe avere come limite in­­feriore il IV secolo (meglio gli inizi del V) ad il VI secolo d.C., mentre il capitolo narrativo, in par­­ticolare quello concernente i dialoghi con il filosofo Afrodiziano rivelerebbe un certo influsso da par­te di Filippo di Side, famoso, peraltro, per la sua polemica contro Giuliano l’Apostata.

28 A tale proposito, F. Kampers (Alexander der Große und die Idee des Weltimperiums in Prophetie und Sage. Grundlinien, Materialien und For­schun­gen, (Studien und Darstellungen aus den Gebieten der Ge­schi­chte 1/2.3), Freiburg, Herder, 1901, 116-135) suggerisce che la descrizione del tempio costruito da Ciro potrebbe essere stata influenzata dalla tradizione appartenente al Ro­man­zo d’Al­es­san­dro dello Pseudo-Callistene, ma la Heyden (Die “Erzählung des Aphroditian”, cit., 61, 262 e 271-275) esprime diversi dubbi ri­guardo a tale soluzione.

29 Cfr. ancora Heyden, Die “Erzählung des Aphroditian”, cit., 15, passim.

30 Une polémique religieuse à la cour perse, cit., 264-265, 276-277, 330-331, 372-373.

31 L’identificazione esatta di questo sovrano persiano proprio con Ciro è stata suggerita anche da Trex­ler, The Journey of the Magi. Meanings in History of a Christian Story, cit., 256, n. 7, sebbene con una certa esi­ta­zione.

32 A proposito dell’animazione delle statue, costume attestato in Siria ed Egitto, cfr. Bringel, Une po­lémique religieuse à la cour perse, cit., 46.

33 Si veda C.M. Kaufmann, “La Pegè du temple de Hierapolis. Contribution à la symbolique du christia­nis­me primitive”, RHR 2 (1901), 529-548 ; cfr. Bringel, Une polémique religieuse à la cour perse, cit., 264-267, 332-333, passim.

34 Riguardo all’immagine del pesce in questo testo, si veda ancora Heyden, Die “Erzählung des Aphro­ditian”, cit., 243-245, passim. Cfr. F.J. Dölger, ΙΧΘΥΣ. Der heilige Fisch in den an­tiken Religionen und im Christentum, Mün­ster, Aschendorff, 1922, I-III Bände, nonché Bringel, Une polémique religieuse à la cour perse, cit., 266-267, 335-336.

35 Bratke, Das sogenannte Religionsgespräch am Hof der Sasaniden, cit., 13, 21 e 14, 15; Bringel, Une polémique religieuse à la cour perse, cit., 268-269, 340-343.

36 J.-B. Chabod, Synodicon orientale ou recueil de synodes nestoriens, Paris, Imprimerie Na­tionale, 1902, 320.

37 Ibid.: «Par la grâce de Dieu, créateur, seigneur et gouverneur de toutes choses, et par les soins du nou­veau Cyrus, qui l’emporte sur tous les rois, le doux et mi­sé­ricordieux Kosrau, Roi des rois, auquel, à cause de sa bonne vo­lonté, le Christ rédempteur de toutes les créatures a suggéré de répandre constamment tous les biens sur sa sainte Église».

38 A. Panaino, “La contendibilità religiosa dell’Iran sasanide: Riflessioni sul ruolo della Chiesa Cri­stiana di Persia”, in In Memoriam Alba Maria Orselli. Ravenna, 8-9 giugno 2023, a cura di L. Ca­netti e R. Savigni, Spoleto, CISAM, in corso di stampa.

39 Tale problematica è stata ampiamente trattata sempre nell’articolo sopra citato.