Teologia e storia in alcune fonti armene sui Re Magi

Riccardo Pane

Accademia Ambrosiana, Milano

Contributo presentato da Antonio C. D. Panaino

Abstract

The article analyzes the traditions on the Magi starting from some Armenian historical, exegetical sources and illuminated manuscripts. It focuses on a long text by Pseudo-Epiphanius, which presents aspects of extreme originality. First, the chronology of events: on the 10th of Nisan / 6th of April the Annunciation takes place and the decree of Caesar Augustus relating to the census is promulgated; at the end of the ninth month from the Annunciation the Roman messengers present themselves to the king of Gog Zahtown and give him the edict of Caesar Augustus and at that moment the star also shines at sunrise and at that same moment Jesus is born in Bethlehem; the Magi arrive in Jerusalem on the Sunday after the seven days of Unleavened Bread, at the completion of Passover, on the 22nd of the month of Nisan, when Jesus is one year and three months old. The second theologically relevant element is the connection of the Magi with the people of Israel and with the messianic vocation through their descent from Abraham. In our text, in fact, the Magi descend directly from the six sons that Abraham had by Keturah (Gen 25, 2).

Keywords

Pseudo-Epiphanius, Magi, Armenian sources, Chronology, Abraham, Miniature.

© Riccardo Pane, 2023 / Doi: 10.30682/annalesm2301b

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L’episodio evangelico dell’adorazione dei Magi (Mt 2, 1-12) riveste una particolare importanza nella letteratura e nell’iconografia miniaturistica armena. È ben noto che una delle fonti apocrife più articolate sui Magi è proprio il Vangelo armeno dell’Infanzia, che rispecchia quasi certamente una tradizione nestoriana: introdotto in Armenia alla fine del VI secolo, subì numerosi rimaneggiamenti da parte della tradizione teologica armena di stampo miafisita fino al Medioevo. Tale testo, trasmesso in più redazioni, ha nel ms. M7574 del Matenadaran di Yerevan il testimone più antico (1239-40), e ha riscosso un ampio interesse presso gli studiosi.1 Tuttavia, la letteratura armena presenta numerose altre fonti interessanti sull’episodio evangelico, parte delle quali ancora inedite o comunque scarsamente note, che vale la pena portare alla luce. Se fino al IX secolo gli autori sembrano limitarsi a restituire il dettato matteano, azzardando al più un’interpretazione simbolica dei tre doni,2 a partire dal IX secolo le tradizioni apocrife e intertestamentarie iniziano a circolare con maggiore frequenza nella letteratura armena.

Più di un secolo fa, il mechitarista Barseł Sargisean pubblicava un ricco studio sulle fonti armene del racconto dei Magi,3 segnalando diverse redazioni inedite del Vangelo apocrifo dell’Infanzia presenti nei codici del monastero di San Lazzaro a Venezia, e soffermandosi in particolare sulle innumerevoli varianti dei nomi dei Magi. Se le considerazioni linguistiche e antropologiche dello studioso mechitarista sono oggi in parte superate, a lui va il merito di aver richiamato l’attenzione sul discorso XV dello Pseudo-Epifanio, di cui riporta ampi stralci, e che si rivela essere una fonte di straordinario interesse per lo studio delle tradizioni sui Magi. L’auspicio del Padre Sargisean, cioè che tale testo ricevesse un’adeguata attenzione da parte dei ricercatori europei,4 è rimasto inascoltato fino ad anni recentissimi. Solo nel 2013, infatti, è stata data alle stampe in Armenia un’edizione del corpus dei Discorsi (Čaṙk‛) attribuiti dalla tradizione armena a Epifanio di Cipro o di Salamina,5 ed è merito di Igor Dorfmann-Lazarev aver riportato l’attenzione degli studiosi occidentali sulla ricchezza di informazioni apocrife presenti in questa raccolta, toccando anche alcuni aspetti del discorso XV sui Magi,6 che merita, tuttavia, di essere maggiormente approfondito. Il corpus dello Pseudo-Epifanio, composto da oltre cinquanta scritti, si rivela una raccolta molto complessa: l’originale greco è perduto, e quella armena ben difficilmente può essere considerata una semplice traduzione.7 Come già intuito da Conybeare,8 che del corpus conosceva solo una piccola parte, i continui riferimenti alle tradizioni giudaiche e alla lingua ebraica fanno pensare alla presenza di un nucleo autentico, che, tuttavia, ha indubitabilmente subito rimaneggiamenti e interpolazioni in sede di traduzione armena, almeno fino al XII secolo.9 Ne sono testimonianza i continui riferimenti all’ambiente storico-geografico dell’Armenia, le spiegazioni lessicali destinate agli armenofoni, l’armonizzazione con le peculiarità della traduzione armena dei Vangeli, le concordanze con alcuni passi di Agatangelo e di Mosè di Corene, e soprattutto gli adattamenti alle formule teologiche alessandrine peculiari della Chiesa armena, incompatibili con un’attribuzione a Epifanio.

Il discorso XV si presenta come un racconto molto lungo, romanzato, eclettico, della nascita di Gesù e della venuta dei Magi. I frequenti salti cronologici e le ripetizioni ridondanti e prolisse indicano che si tratta di una composizione rapsodica di fonti diverse e mal armonizzate tra loro. Le stesse indicazioni cronologiche rivelano una coesistenza di differenti tradizioni: all’inizio del testo la nascita di Gesù riflette sostanzialmente la tradizione armena: «Nel 39° anno [di Erode],10 nel 46° anno di Augusto Cesare a Roma, nel primo anno di Abgar re dell’Armenia Maggiore e nel 20° anno di Aršawir re dei Persiani» (p. 255). A parte la cronologia del regno di Augusto, che presenta lo stesso errore che si riscontra anche nel Sinassario armeno,11 gli altri dati convergono sul 4 a.C. e dipendono probabilmente da Mosè di Corene, Hist. 2, 26, compreso il riferimento al fantomatico re di Persia Aršawir. Più avanti, invece, la partenza dei Magi da oriente è datata secondo il computo delle olimpiadi (167a), compatibile con la tradizione greca, ma ben poco con quella armena.12 Anche in questo caso si registra un evidente errore (il 4 a.C. corrisponderebbe in realtà alla 193a olimpiade), che potrebbe essere imputato a un’erronea lettura del greco ΡϞΓ (193) in ΡΞΖ (167). Ma ciò che è più sorprendente è quanto l’autore anticipa fin dall’inizio e poi sviluppa in seguito: «Credettero alcuni dei santi dottori che la venuta dei Magi fosse prossima alla divina natività, […] perché in quella notte salvifica e splendida e nell’ora terza di quella stessa notte è nato il Dio Verbo, incarnato dalla santa Vergine. E nella stessa ora anche quella nuova stella splendente e luminosa come potenza di Dio apparve in oriente e al levarsi del sole al grado superiore13 nelle parti settentrionali, non nel firmamento del cielo come le altre stelle, poiché non viene da quelle, ma in basso (երեւեցաւ յարեւելս եւ ըստ բարձրանալոյ արեգական յաշտիճանն վերին ի կողմունս հիւսիսի ոչ ի հաստատութիւն երկնից որպէս զայլ աստեղս, զի ոչ ի նոցաէ, այլ ի խոնարհ), affinché la visione possente e splendida non fosse vista insieme da tutti, ma da coloro che erano stati comandati dal Signore» (p. 256).

Lo Pseudo-Epifanio inserisce gli eventi relativi all’Incarnazione all’interno di un quadro cronologico provvidenziale ben strutturato secondo delle coincidenze precise:

– Il 10 di Nisan / 6 di Aprile14 avviene l’Annunciazione ed è promulgato il decreto di Cesare Augusto relativo al censimento, che l’imperatore invia anche ai re di oriente tramite i propri messi (p. 257).

– Al compimento del nono mese dall’Annunciazione, nella notte tra il mercoledì e il giovedì i messi romani si presentano al re di Gog Zahtown e gli consegnano l’editto di Cesare Augusto e in quel momento appare una luce “simile a una stella” (աստղնման), più splendente del sole, non nel firmamento del cielo, ma in basso. La stella brilla anche al sorgere del sole, ma a differenza di quello, la sua vista non abbaglia gli occhi. In quello stesso momento nasce Gesù a Betlemme (pp. 274-276).

– Nell’anno della 167a olimpiade, di domenica, nell’equinozio di primavera i Re Magi si mettono in viaggio verso la Palestina (p. 280).

– Giungono a Gerusalemme la domenica dopo i sette giorni degli Azzimi, al compimento della Pasqua, il 22 del mese di Nisan, quando Gesù ha un anno e tre mesi (p. 285).

– Ripartono per le loro terre dopo 18 giorni e il 10 maggio attraversano l’Eufrate (p. 296).

La scansione temporale è già di per sé un elemento di originalità teologicamente rilevante, perché va a sovrapporre in modo esplicito il mistero dell’Epifania con quello della Pasqua,15 e pone il censimento romano nell’ordine provvidenziale delle cose. La stella, inoltre, viene di fatto identificata col Cristo stesso: «Con il giudizio della mente presagiscono di vedere in essa Cristo Gesù (ուստի եւ մտացն դատմամբ զՔրիստոս Յիսուս ի նմա գուշակեն տեսանել, p. 277), secondo la parola del Vangelo: “Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui” (Lc 4, 20)», e con la stessa ipostasi divina (ինքն էր զաւրութիւն Աստուծոյ, pp. 256, 284). Il significante e il Significato si sovrappongono, anche visivamente, all’arrivo dei Magi alla grotta, quando essi vedono la stella abbassarsi a tal punto da poterla quasi toccare, e guardando bene, vedono in mezzo al suo bagliore una ragazza assisa (il termine usato è quello siriaco talit‛ay) che tiene sollevato sul proprio grembo un fanciullo (եւ խոնարհեալ աստուածատեսիլ աստղն մերձ առ նոսա մինչեւ կարծէին ձեռամբ հասանել ի նա, եւ քաջապէս նկատեալ տեսին բազմեալ ի միջի նորա տալիթայ, որ բարձրեալ ունէր մանուկ տղայ ի գիրկս իւր, p. 289). In tal senso la stella viene identificata anche dall’autore con quella contemplata da Balaam in Nm 24, 17 (p. 278). L’età del Bambino, poi, di un anno e tre mesi, differenzia il testo dalla gran parte delle altre tradizioni.

Il secondo elemento teologicamente rilevante, messo in risalto anche da Dorfmann,16 è la connessione dei Magi con il popolo di Israele e con la vocazione messianica tramite la loro discendenza da Abramo. In tal senso rimane indebolita, per quanto non del tutto assente, come si vedrà in seguito, una delle più tradizionali chiavi esegetiche antiche, che vede nell’episodio evangelico il segno della chiamata universale alla salvezza, che dal popolo eletto si estende ai pagani.17 Nel nostro testo, infatti, i Re Magi discendono direttamente dai sei figli che Abramo ebbe da Chetura (Gen 25, 2),18 ai quali egli insegnò l’arte dell’astronomia, appresa dai Caldei,19 e a riconoscere il Creatore a partire dalle cose create (cfr. Rm 1, 20) sotto la guida dello Spirito Santo (հոգւոյն սրբոյ առաջնորդութեամբ, p. 260), consegnando loro il segno della venuta dell’Unto in questo mondo (ետ նոցա նշան վասն գալստեան Աւծելոյն) attraverso una nascita verginale e il segno dell’apparizione della stella. Li inviò, poi, in oriente con un deposito orale ma anche scritto (աւանդապահ բանիւ այլ եւ գրով)20 con l’ordine di custodire e trasmettere quanto appreso, attendendo la progenie salvifica (փրկարան զաւակ). E i loro discendenti avrebbero dovuto prostrarsi all’Unto, l’Emmanuele, erede del loro fratello Isacco, loro vero cugino (իսկապէս եղբօրորդւոյն Եմմանուէլի). A tal proposito, l’autore fa riferimento a Ct 5, 4-5 (p. 261), e in particolare alla traduzione armena del passo, dove il Diletto che introduce la mano nella serratura della porta della Sposa è tradotto con il termine ełbordi, “cugino”. In questo modo lo Pseudo-Epifanio allude alla “porta” della salvezza che si apre per i Magi.

Il nostro testo prosegue narrando con dovizia di particolari e di aneddoti le peripezie dei figli di Abramo e dei loro discendenti. Essi si dirigono prima a Xaṙan, terra nativa di Abramo, per poi stanziarsi in Mesopotamia, dopo aver attraversato l’Eufrate (p. 262). Da uno di essi, Emran, avrà origine la dinastia armena arsacide e lo stesso Gregorio Illuminatore.21 In questo modo, l’autore colloca anche il popolo armeno all’interno di questo piano provvidenziale pensato da Dio in Abramo e pone in relazione il ritorno alla propria terra di origine, dettato dal decreto di Cesare Augusto relativo al censimento, con il ritorno all’eredità paradisiaca dettata dal decreto divino dell’incarnazione. Il tentativo armeno di rileggere la propria storia, inserendola in quella sacra, non è un caso isolato del nostro testo, ma lo si trova già in alcune delle fonti più antiche e autorevoli, quali la Vita di Mesrop Maštoc‛, scritta dal discepolo Koriwn,22 e soprattutto la Storia di Ełišē.23

Poi i discendenti di Chetura si stanziano nei regni di Gog e Mog24 che avevano soggiogato i Persiani, i Parti, la Siria, il Xowžastan, Babilonia, nella regione in cui predicò Addai, discepolo di Taddeo, apostolo dell’Armenia (զոր ի գիրս Կանոնաց յիշատակէ զԱդդէ լինել հրամատար եւ քարոզ նոցա զաշակերտն Թադէոսի առաքելոյ Հայոց Մեծաց, p. 269).25

Anche Balaam e Ciro vengono inseriti nella discendenza abramitica, a conferma del tentativo dell’autore (o della tradizione apocrifa a cui si riferisce) di ricondurre al popolo di Israele tutte le figure chiave della rivelazione e dell’attesa messianica, sottraendole allo status di “pagani”. Beor, padre di Balaam, è definito figlio di Esaù (Եւ էր նա յորդւոցն Եսաւայ, p. 264), confondendolo con il Beor re di Edom di Gen 36, 32. Dotato della Sapienza divina e guidato dallo Spirito Santo (ինքն Բաղաամ հմուտ եղեալ գիտութեամ Բարձրելոյն ըստ տուեցելոյ նմա ի Հոգւոյն Սրբոյ, p. 264), dopo aver benedetto Israele, Balaam si reca in Mesopotamia, in Armenia e in Persia, insegnando quello che l’Altissimo gli aveva rivelato riguardo alla venuta del Figlio della Vergine. Quanto a Ciro, non solo egli pure appartiene alla discendenza di Chetura, ma viene addirittura posto in relazione tipologica con Cristo: come Ciro ha ricondotto gli Ebrei dall’esilio babilonese alla Gerusalemme terrena, così Cristo ci introduce nella Gerusalemme celeste. A lui si rivolgono i figli di Abramo stabilitisi in oriente, chiedendo di comportarsi con loro benevolmente, «e poiché era loro fratello e consanguineo, come attestato da Dio, “Io ho chiamato il tuo nome e ti ho accolto per Giacobbe mio servo e Israele mio eletto, ti ho elevato a re di giustizia”, accolto il loro editto (հրովարտակ)26 e ossequiati gli inviati e offerti grandissimi doni, trattò con perfetto amore i dodici re che erano stati scelti tra i figli di Abramo, come anche il Signore Gesù con i dodici discepoli, giacché in lui era prefigurato il mistero della nascosta divina economia (յայն իսկ տպաւորեցաւ խորհուրդ աստւածային տնտեսութեանն ծածկեցելոյ, pp. 272-273)».

Il rapporto dei dodici re, progenie di Abramo, con il re persiano Ciro permette allo Pseudo-Epifanio di combinare la tradizione dei re con quella dei Magi. I loro discendenti, infatti, imparano la divinazione (ըղձութիւն) e l’arte dei presagi (հմայք), come i Caldei e gli Egiziani, ma anche quelle di Mosè e di Giuseppe e anche la visione di Daniele riguardo all’Unto e ai tre fanciulli nella fornace (Dn 3), testimoni oculari dell’Unigenito Verbo in forma umana. A Babilonia, poi, dagli esiliati, apprendono le profezie; perciò, erano esperti nella Legge di Dio, ma anche «nell’arte dell’astronomia che i figli della santa Chiesa reputano estranea (զարուեստ աստեղաբաշխութեան զոր արտաքին համարին մանկունք եկեղեցւոյ սրբոյ, p. 274)».27 Depositari della divina Sapienza, essi la trasmettono di generazione in generazione, aspettando la salvezza del mondo, confidando veramente in ciò che avevano appreso, cioè il segno di salvezza (նշան փրկութեան). Si noti che nella teologia armena il “santo segno” è per antonomasia la croce. La conoscenza dei Magi, pertanto, è connotata in maniera chiaramente cristologica, secondo un disegno salvifico che ha al centro il mistero della croce, strettamente connesso con quello dell’incarnazione, come confermato dall’esegesi di Nm 24, 17: «Un uomo sorgerà da Israele, dice il corpo che viene dalla santa Vergine, e spezzerà il dominio di Moab, satana insieme con tutti i suoi eserciti, come avvenne proprio quando fu innalzato sulla santa Croce con la natura divina e il corpo che prese dalla santa Vergine con un’unione indivisibile delle nature (յորժամ բարձրացաւն ի վերայ սուրբ Խաչին աստուածային բնութեամբն եւ մարմնով, զոր առ ի սրբոյ Կուսէն անբաժ միաւորութեամբ բնութեանցն, p. 278)».28

Il numero di dodici Re Magi costituisce un ulteriore elemento di analogia e al contempo di differenziazione rispetto al Vangelo armeno dell’Infanzia, dove, accanto ai tre Magi, Melk‛on, re dei Persiani, Gaspar, re degli Indiani e Bałdasar, re degli Arabi, tra loro fratelli, compaiono dodici comandanti a capo di 12.000 soldati (cfr. Fig. 1).29

Fig. 1. T‛oros Roslin, Il ritorno dei Magi, 1262, Baltimora, The Walters Art Museum, ms. W539, c. 19r. (https://art.thewalters.org/detail/12905/return-of-the-magi-2/).

 

Nello Pseudo-Epifanio i re sono dodici e hanno i seguenti nomi (con alcune piccole varianti nei diversi testimoni): Zahtown, figlio di Atown (Artown, Artawn), re di Gog e Ašt‛aw re di Mog, della stirpe di Emran, primogenito di Chetura; Arew e Zowaz, rispettivamente re dei Persiani e dei Medi, discendenti di Ek‛san; Zarihow (Zarehow) e Artašes (Artašiz), re dei Parti e dei Siri, discendenti di Madown (Modon); Ašt‛aw (Ašt‛an) e Mak‛az, re del Xowžastan, discendenti di Modown (Modon); Ahišrax e Tartnah (Tartnay), re di T‛arsis e delle isole, discendenti di Esbok (Ełbok); Maxri (Marewi, Marxi) e Awšir re degli Arabi e di Saba, discendenti di Sovimb (pp. 280-281).30 I nomi sono del tutto diversi da quelli dei dodici comandanti del Vangelo apocrifo dell’Infanzia. Tuttavia, all’interno del gruppo, tre di essi hanno una chiara preminenza: il re di Gog Zahtown, quello di Mog Ašt‛aw e quello dei Persiani Arew. Questi sono i primi tre a entrare nella grotta ad adorare il Bambino (p. 290). Essi hanno età molto diverse tra loro, secondo una tradizione consolidata nei racconti apocrifi relativi ai Magi: Zahtown ha sessant’anni; Ašt‛aw trenta, e Arew solo quindici.31 In questo modo si crea una sorta di raccordo tra la tradizione dei tre Re Magi e quella dei dodici.32 Un testo interessante, che sembra attestare una versione intermedia, è quello del ms. V244 (176), conservato presso il monastero mechitarista di San Lazzaro a Venezia, risalente al XIV-XV sec., c. 290v, che riconduce anch’esso i tre Magi alla discendenza di Chetura e presenta come nomi delle varianti alternative nelle diverse lingue: in persiano Yovak‛, Tatmak‛, Ormist; in arabo Baradat, Bagadiš, Miay; in caldeo Kašba, Badadišma, Badadixowrida; in “un’altra lingua” Melk‛on, Gaspar, Bałtasar.33 Dodici nomi in tutto, dovuti al replicarsi in quattro lingue dei nomi dei tre Magi. Si tratta, comunque, di nomi del tutto differenti da quelli dello Pseudo-Epifanio, ma in gran parte anche da quelli del Vangelo dell’Infanzia.34

La vicenda dei dodici Magi si intreccia anche con quella di Abgar V di Edessa, che non compare nel Vangelo dell’Infanzia, ma ha un ruolo fondamentale nella già citata Didascalia di Addai. Un giovanissimo Abgar, che proprio in quell’anno aveva ricevuto la corona di Armenia (p. 282), va loro incontro a Xaṙan e li accompagna fino alle rive dell’Eufrate, presso la città di Zowłmaw (Zeugma) che sarebbe, secondo l’autore, la città di Davide (p. 283), dove attraversano il fiume su un ponte di barche, e qui si congeda da loro, lasciando molti tesori per il neonato re. Giunti in Palestina, la stella conduce i Magi alla porta orientale di Gerusalemme o “porta della Misericordia” (դուռն ողորմութեան, p. 288),35 dove la stella scompare «affinché i sacerdoti e gli scribi del popolo testimoniassero con le loro bocche riguardo alla venuta dell’Unto». Tra di essi l’autore colloca anche Anna e Caifa, che avrebbero condannato a morte Gesù. I Magi aggirano la città e si portano dalla parte della porta di Sion per incamminarsi verso Betlemme, finché non arrivano alla grotta anticamente chiamata casa di Efron36 (որ ի նախնումն տուն Եփրոնի կոչեցաւ). Scesi dalle loro cavalcature, a capo scoperto (cfr. Fig. 2)37 e scalzi, fanno dapprima visita al «monumento a forma di cupola (արձան գմբեթաձեւ)» dove si trova il sepolcro di Rachele (p. 289),38 per poi procedere al suono delle trombe verso il padiglione (հովանոց) e la casa costruita da Giuseppe per i suoi figli presso la grotta.39 Il fragore delle trombe e la moltitudine di soldati crea grande turbamento negli abitanti di Betlemme e soprattutto in Maria, che si rifugia col bambino all’interno della grotta (p. 290).40 Qui i Magi trovano Gesù seduto nella mangiatoia, con la stella sopra il suo capo, mentre un dolce profumo avvolge tutta la grotta.41 Il re di Gog Zahtown, primus inter pares, dispone che il primo posto di onore fosse del re di T‛arsis e del re degli Arabi e di Saba, per compiere la profezia di Sal 71, 10 e quella del loro parente Balaam: «Il suo regno sarà più grande di Gog» (Nm 24, 7).

Fig. 2. Sargis Picak, Adorazione dei Magi, 1336, Yerevan, Matenadaran, ms. M5786, c. 17r.

 

I Magi, quindi, si rivolgono al Bambino (p. 291) chiedendo di essere benedetti secondo la promessa fatta ad Abramo loro padre: «Nella tua discendenza saranno benedette tutte le stirpi della terra» (Gen 22, 17-18) e il Bambino ricambia i doni con grandi manifestazioni di affetto, e gli atti di adorazione si protraggono per diversi giorni (p. 292). Infine, il 10 maggio attraversano il Giordano, puntano verso Damasco, attraversano l’Eufrate e giungono a Babilonia (p. 296), dove portano a frutto (պտղաբերեցին) la conoscenza di Dio seminata da Anania, Azaria, Misaele e Daniele, annunciando Gesù Cristo Dio, dando così compimento alla profezia di Is 66, 19 (p. 297). Fanno poi ritorno ai loro paesi annunciando l’Unto fino all’arrivo degli apostoli e di Addai, discepolo di Taddeo, il quale battezza Zahtown re di Gog e Ašt‛aw re di Mog e Arew re dei Persiani e i loro compagni, stabilendo la prima gerarchia ecclesiastica (p. 299).

Vorremmo a questo punto soffermarci su una miniatura particolarmente originale del più celebre e talentuoso dei miniaturisti armeni di area ciliciana, T‛oros Roslin (XIII sec.) (cfr. Fig. 3).

Fig. 3. T‛oros Roslin, Adorazione dei Magi, 1260, Gerusalemme, Patriarcato armeno, ms. J251, c. 15v.

 

La miniatura ha attirato l’attenzione degli studiosi per l’insolita iconografia dell’episodio dei Magi. Sopra i tre Magi, infatti sono raffigurati cinque personaggi, che Sirapie Der Nersessian aveva interpretato come soldati al seguito, secondo il dettato del Vangelo apocrifo dell’Infanzia, e rappresentati da T‛oros Roslin in fattezze mongole: «the Oriental people best known to him, namely the Mongols, the allies of the king of Cilicia».42 Senonché, l’iscrizione sovrastante le cinque figure non lascia adito a dubbi: «il Tataro è giunto oggi» (թաթարն երեկ այսաւր). Si tratta effettivamente di Mongoli. Come è stato osservato,43 questa particolarità iconografica, non presente in altre miniature di T‛oros Roslin sullo stesso soggetto, si spiega con la concomitanza storica: la miniatura risale al 126044 e proprio in quel periodo l’ilkhan mongolo Hülegü attraversava l’Eufrate con un esercito di 400.000 cavalieri e metteva a ferro e fuoco Aleppo e la Siria. L’alleanza stretta con lui pochi anni prima dal re armeno Het‛um e l’appartenenza della moglie di Hülegü, Doquz Khatun, alla religione cristiana nestoriana, apportarono agli Armeni notevoli benefici, tanto da suscitare appellativi entusiastici (e oggettivamente sproporzionati) da parte dello storico contemporaneo Step‛annos Orbēlean: «grande e pio sovrano», «speranza e provvidenza dei cristiani», «per nulla inferiore in pietà a Costantino e a sua madre Elena».45 Al suo arrivo, il kat‛ołikos Constantin I scese dalla fortezza di Hṙomkla per benedirlo,46 evento a cui presumibilmente prese parte lo stesso miniaturista. L’irruzione dei Mongoli, che per la sua devastante furia distruttiva assume tratti apocalittici anche nella narrazione di molte fonti armene,47 in questo breve lasso di tempo di malriposta fiducia da parte degli Armeni venne riletta in chiave provvidenziale: inserita all’interno dell’episodio dei Magi, la vicenda di Hülegü e della moglie cristiana manifesta l’illusione armena di un nuovo defensor christianorum contro la dilagante presenza islamica che accerchia il piccolo regno armeno di Cilicia.48

La descrizione fatta dallo Pseudo-Epifanio dell’arrivo dei Magi con il loro esercito, con il quale varcano l’Eufrate per entrare a Damasco e poi in Terra Santa, ha delle innegabili analogie con l’arrivo di Hülegü e delle sue truppe, così come descritto dalle fonti cristiane.49 Una delle principali fonti armene relative alla storia delle invasioni mongole,50 Grigor Akanc‛i, si spinge addirittura a riferire che Hülegü, giunto a Gerusalemme, entrò ad adorare il santo Sepolcro.51 È ipotizzabile che nel XIII secolo la riscoperta tradizione apocrifa armena sulla venuta dei Magi, e in particolare quella trasmessa dallo Pseudo-Epifanio, abbia fornito il substrato teologico per una rilettura delle vicende contemporanee, e a loro volta queste abbiano contribuito a un rinnovato successo e alla diffusione di quelle fonti extracanoniche. Un ulteriore indizio di questa osmosi, finora non osservato, lo si trova nel capitolo di Grigor Akanc‛i appena citato: l’apparizione di una stella (cometa) visibile anche in pieno giorno, che Hülegü interpreta come un presagio riferito a sé stesso e davanti al quale si prostra fino a terra ad adorare Dio (անկեալ ի վերայ երեսաց իւրոց երկիր եպագ Աստուծոյ). Grigor emigrò in Cilicia, nel monastero di Akner, presso Adana, intorno al 1265, cioè cinque anni dopo la composizione della miniatura di T‛oros Roslin con il misterioso personaggio mongolo intento a indicare la stella. È pertanto difficile che il miniatore si sia ispirato direttamente a Grigor per il suo ritratto. Disponeva, tuttavia, del resoconto di Kirakos Ganjakec‛i, che riporta anch’esso l’apparizione della cometa.52 È invece più verisimile pensare che Grigor abbia potuto prendere visione della miniatura di T‛oros Roslin e che questa abbia a sua volta condizionato la sua rilettura teologica della storia contemporanea. L’incerta cronologia e gerarchia delle fonti storiche impedisce al momento di verificare questa ipotesi, che rimane pertanto una suggestione non inverisimile. Certo è che se questa ipotesi fosse vera, l’interpretazione di Der Nersessian, esclusa da Mutafian sulla base della didascalia apposta, riacquista valore: all’archetipo evangelico (rivisitato secondo le tradizioni apocrife dell’esercito al seguito) si sovrappone come in filigrana l’attualità del miniaturista, segnata dall’arrivo da oriente di queste popolazioni straniere, che per il loro favore mostrato nei confronti dei cristiani hanno suscitato la speranza negli Armeni di vedere allentato il giogo islamico; speranza che da lì a breve verrà spazzata via dall’arrivo dei Mamelucchi.

Dopo aver dedicato ampio spazio al lungo testo dello Pseudo-Epifanio, che si distingue per la sua originalità e dovizia di informazioni, è opportuno passare in rassegna alcune altre fonti armene.53 Una delle prime a prestare attenzione adeguata alle figure dei Magi è un’omelia Sulla nascita di Nostro Signore Gesù Cristo del kat‛ołikos Zak‛aria (IX sec.),54 che presenta una lunga parafrasi ampliata del dettato evangelico. La nascita di Gesù viene collocata nel 33° anno del regno di Erode, cioè il 4 a.C., calcolando correttamente l’inizio del regno a partire dal 37 a.C. I Magi, di stirpe persiana,55 sarebbero i discendenti dei discepoli di Balaam56 e da lui avrebbero appreso l’astronomia e la divinazione e l’arte dei presagi (աստեղաբաշխութիւն, ըղձութիւն, հմայք), come i Caldei e gli Egiziani. Alla nascita di Gesù, la stella appare in oriente, e i Magi si affrettano a esaminarne la traiettoria e la levata (դիտէին զգնացս եւ զծագումն աստեղն). Esperti delle settantadue costellazioni, dei dodici segni zodiacali, delle sette sfere e dei cinque pianeti, essi si accorgono dell’andamento insolito e irregolare di tale stella e del suo apparire anche in pieno giorno. Tutto il passo relativo alle competenze dei Magi e all’orbita innaturale della stella (p. 35) presenta delle corrispondenze anche letterali con lo Pseudo-Epifanio (p. 273), ma a causa dell’incerta cronologia di quest’ultimo, non è dato sapere chi dei due sia debitore dell’altro. Inoltre, tutto il passo riflette sostanzialmente le omelie VI e VII In Mat. di Giovanni Crisostomo, da cui entrambi gli autori hanno certamente attinto. In ogni caso, il kat‛ołikos non restituisce nessun dato che non sia compatibile con il dettato biblico, evitando ogni tradizione apocrifa. Egli identifica la stella con una creatura angelica, come già Giovanni Crisostomo e Step‛annos Siwnec‛i prima di lui:57 «È chiaro che non era una stella, ma uno dell’esercito incorporeo e celeste, assumendo forma e figura di stella secondo la loro ricerca e il loro talento, li conduceva e li portava presso il re di tutti» (p. 35). I Magi, avendo appreso dal loro predecessore Balaam che «il suo regno è superiore a quello di Gog» (Nm 24, 7) ne deducono la regalità; dal versetto: «Spunterà la stella di Giacobbe» (ibidem) ne deducono la divinità, e dal versetto: «si è accovacciato come un cucciolo di leone» (Nm 24, 9) ne deducono la sepoltura,58 e a queste tre intuizioni sono correlati i tre doni dell’oro, dell’incenso e della mirra (p. 36).59

Sulla stessa linea si pone un testo dello Pseudo-Teofilo di Alessandria. La tradizione manoscritta armena ci ha restituito un ricco corpus di omelie, attribuite ora a “Teofilo, discepolo di Giovanni Crisostomo”, ora a “Teofilo il teologo”, ora a “Teofilo di Alessandria”. Presentando la raccolta, Sirapie Der Nersessian evidenziava passaggi incompatibili con l’attribuzione all’autore alessandrino del IV-V secolo, certamente seriori, e poneva l’interrogativo se si trattasse in gran parte di un nucleo originale, perduto in greco, e interpolato dal traduttore armeno.60 Un dubbio analogo – si è visto sopra – riguarda il corpus dello Pseudo-Epifanio. Da allora non sono stati compiuti passi significativi nello studio delle omelie attribuite a Teofilo. Recentemente esse sono state pubblicate nella serie del Matenagirk‛ Hayoc‛, che non tratta opere di traduzione, e pertanto vengono considerate omelie nativamente armene.61 Il discorso Sulla santa e tremenda nascita del Salvatore e sui Magi, la stella e la gloria nell’alto dei cieli (CPG 2653, MH 9, 773-787) presenta i caratteri tipici dell’omiletica, quali ad esempio la ripetizione di այսօր (“oggi”), l’uso frequente dell’esclamazione, l’incipit con l’allusione alla festa e l’allocuzione all’assemblea («Venite oggi, risplendete nella festa di Cristo, popolo amante di Cristo»). La sezione relativa ai Magi propone un dialogo fittizio tra i Giudei e i re venuti dall’oriente, esperti della consuetudine delle stelle e della levata dei corpi celesti (գիտեմք ըստ սովորութեան աստեղաց եւ զծննդենէ երկնաւորաց), riguardo alla natura della stella, che i Magi definiscono “potenza (o anche “ipostasi”) di Dio” (զօրութիւն Աստուծոյ), mentre i Giudei ribattano essere semplicemente una creatura (p. 781). Mentre le stelle hanno un corso inesorabile da oriente a occidente, quella che ha guidato i Magi si adegua al loro cammino e procede da nord a sud, nascondendosi di notte e risplendendo più del “sole creatore” (արարօղին արեգական) durante il giorno (p. 782). Per questi motivi essi deducono trattarsi di una “potenza (o anche “ipostasi”) in forma di stella” (զօրութիւն յօրինակ աստեղ) e si recano ad adorare il “Re dei re” nato a Betlemme. Anche in questo caso la dipendenza dal Crisostomo è evidente. Benché non sia detto esplicitamente, l’allusione al “sole creatore” e al titolo di “Re dei re” fa pensare a una provenienza persiana dei Magi. Il significato dei tre doni viene così spiegato dall’autore: l’oro, in quanto re della discendenza di Davide; l’incenso, in quanto discendenza di Aronne, secondo l’ordine di Melchisedek (Sal 109, 4) e in quanto Dio; la mirra, in quanto destinato al sepolcro (Sal 87, 6-7). I Magi sono presentati, secondo la più classica esegesi, come esempio della vocazione alla salvezza mediante la fede. Come nel caso di Zak‛aria, nulla in questo testo esula dal dettato evangelico e non vi è traccia del ricorso a fonti apocrife.

I commentatori successivi ripropongono e sviluppano le stesse argomentazioni, e sembrano dipendere strettamente dal Crisostomo, come nel caso del kat‛ołikos Nersēs Šnorhali (XII sec.), il quale, nel suo ampio commento a Matteo, fa riferimento alla tradizione secondo la quale Betlemme sarebbe il luogo della sepoltura di Eva (p. 38) e colloca la nascita di Gesù nel 34° anno di Erode, connettendo tale data con la profezia di Dn 9, 25-26.62 Il commentario sviluppa una netta contrapposizione tra l’incredulità dei Giudei e la fede dei Magi. Nersēs rivela un malcelato imbarazzo davanti alle competenze astronomiche dei Magi e si premura di sottolineare che essi si piegarono all’ascolto della profezia e che sotto la figura della stella si celava Dio stesso, che chiamava i pagani dai culti idolatrici.63 Alla consolidata esegesi allegorica dei tre doni, derivata da Iraen., Adv. Haer. 9, 2, e non presente nel Crisostomo, Nersēs ne aggiunge una seconda, derivata certamente da Anania Sanahnec‛i: l’oro, che indebitamente era stato offerto agli idoli, da parte dei Magi pagani viene restituito al culto del Creatore della materia; l’incenso, dal buon profumo, per profumare il fetore della morte proveniente dal serpente; la mirra, per le sue proprietà curative, per lenire la ferita di Adamo (p. 44).

Se l’omiletica, vincolata ai testi canonici, sembra se non ignorare, almeno non considerare le tradizioni apocrife sui Magi, altre tipologie di fonte si rivelano più libere. Ne segnaliamo in particolare due, per la loro importanza. La prima è lo storico Vardan Arewelc‛i (XIII sec.), che nella sua opera fa riferimento alla tradizione del Vangelo apocrifo dell’Infanzia: i tre Magi – il persiano Melk‛on, l’indiano Gaspar e l’arabo Bałtasar ‒ giunsero in Palestina con 12.000 soldati a cavallo, e a causa di una carestia nel paese, lasciarono i soldati presso re Abgar, entrando con soli dodici principi e mille cavalieri, portando con sé oro, incenso e mirra. Vardan riporta altresì, sulla scorta probabilmente della Cronaca di Matteo di Edessa, una lettera di un certo Luciano, un franco (scil. un latino) che era in Siria, a Cesare Augusto, nella quale lo informava della venuta dei Magi.64 La seconda fonte è il Sinassario armeno, che per la data del 29 del mese di K‛ałoc‛ [6 gennaio] riporta una tradizione analoga, pur con alcune differenze: i Magi partono dalla Persia con 12.000 uomini e sei comandanti e giunti a Ṙałay dopo più di un anno, a causa della carestia lasciano là i soldati ed entrano in Giudea con tremila uomini. Entrati nella grotta, hanno la possibilità di prendere in braccio il Bambino e di offrirgli oro, come a un re, incenso, come a Dio, e mirra come a uno che dovrà morire.65

Un commento che si distingue in parte dai precedenti, sia per epoca di composizione, che per le fonti a cui attinge (il gesuita fiammingo Cornelio a Lapide in primis)66 è quello di Mechitar di Sebaste, pubblicato a Venezia nel 1737.67 Proprio il diverso contesto cronologico e culturale porta il fondatore della Congregazione mechitarista a dover precisare che con il termine “Magi” non si intendono fattucchieri dediti ad arti occulte, ma sapienti, filosofi, esperti di astronomia (pp. 26-27). Egli nega che possano essere giunti dall’India o dalla Persia o dalla Mesopotamia, troppo lontane dalla Terra Santa, ma dall’Arabia e da Saba, dove Abramo inviò i discendenti della propria schiava (Gen 25, 6), ipotesi che sarebbe confermata dalla profezia di Is 60, 6 e da Sal 71, 10. Uno di loro sarebbe stato nero, e gli altri bianchi. Mechitar chiarisce subito che il numero di tre lo si desume dal numero dei doni. Riporta i nomi consueti dei tre, specificando che essi provengono dalla tradizione e non dal dettato evangelico, e si rifà a Giovanni Crisostomo riferendo del battesimo che i Magi avrebbero ricevuto in seguito dall’apostolo Tommaso. Riporta anche la tradizione relativa al viaggio delle loro reliquie da Costantinopoli a Milano e poi a Colonia (p. 28). Proprio in virtù delle loro competenze astronomiche, i Magi sono in grado di riconoscere che la stella loro apparsa non appartiene all’ordine della natura, ma a quello soprannaturale, segno del Signore della natura e del creato. Essi collegano questo segno celeste con la profezia di Balaam (Nm 24, 17). Unico, tra i commentatori armeni, oltre a riportare diverse interpretazioni allegoriche dei tre doni, Mechitar osserva che tra i Magi e il Bambino vi fu uno scambio di doni: in cambio dell’oro ottennero un incremento della sapienza e l’infiammarsi del cuore nell’amore di Dio; in cambio dell’incenso il dono della preghiera; in cambio della mirra l’impegno puro e incorrotto della vita (p. 34). Mechitar, in ossequio alla sua ampia e lungimirante visione della cultura, al suo approccio letteralmente cattolico alla realtà, capace di spaziare dalle scienze naturali alla teologia,68 come attestato dallo spettro di competenze delle pubblicazioni mechitariste e dalla rivista Bazmavep,69 vede sostanzialmente nei Magi l’incontro tra la scienza, la sapienza umana, e quella divina derivante dalla rivelazione e dalla fede, a cui essi sono chiamati come primizia dei pagani (p. 30).

Questo breve percorso attraverso alcune fonti armene ci ha permesso di apprezzare la ricchezza, ancora in parte inesplorata, della tradizione armena sui Re Magi, che va oltre il più noto Vangelo apocrifo dell’Infanzia. Altri testi inediti rimangono da scandagliare, come le Quaestiones et responsiones in Matthaeum di Grigor Tat‛ewac‛i, gli innumerevoli omeliari miscellanei, nonché alcune varianti del Vangelo apocrifo dell’Infanzia, solo in parte segnalate da Sargisean.70 Se le fonti più strettamente liturgiche o esegetiche rimangono tendenzialmente ancorate al dettato evangelico, altri testi non vincolati dal magistero ecclesiale si fanno collettori di tradizioni complesse e stratificate, le cui origini non è sempre facile ricostruire. È a partire soprattutto dal XII-XIII secolo che tali tradizioni riemergono e vengono valorizzate, anche se per molte di esse le radici affondano in epoca ben più remota e in aree geografiche esterne al mondo armeno. Tali tradizioni entrano in dialogo con le vicende storiche contemporanee e diventano una chiave di lettura della storia, favorendo quella innata attitudine della cultura e della spiritualità armena a rileggere la storia alla luce della teologia.


1 Tra gli studi più recenti segnalo: A. Terian, The Armenian Gospel of the Infancy, with three early versions of the Protoevangelium of James, Oxford, Oxford University Press, 2008; I. Dorfmann-Lazarev, La transmission de l’apocryphe de l’Enfance de Jésus en Arménie, in Jesus in apokryphen Evangelienüberlieferungen, hrsg. von J. Frey und J. Schröter, Tübingen 2010, 557-582; Id., The Cave of the Nativity Revisited: Memory of the Primæval Beings in the Armenian Lord’s Infancy and Cognate Sources, in Mélanges Jean-Pierre Mahé, édités par A. Mardirossian, A. Ouzounian, C. Zuckerman, Paris, Association des Amis du Centre d’Histoire et Civilisation de Byzance, 2014, 285-334; Id., Changing Colours and Forms. Theophanies in the Armenian Script of the Lord’s Infancy, “Journal of Eastern Christian Studies”, 68 (2016), 349-381; J.K. Elliott, A Synopsis of the Apocryphal Nativity and Infancy Narratives, Leiden, Brill, 2006.

2 Nell’VIII secolo, ad esempio, Step‛annos Siwnec‛i interpreta i doni così: «L’oro, perché sapevano che era re; l’incenso perché è Dio; la mirra perché prefigura la morte che avrebbe subito per la nostra salvezza», e suggerisce l’ipotesi che la stella sia un angelo apparso sotto le sembianze di un astro, cfr. Matenagirk‛ Hayoc‛ [Armenian Classical Authors], VI, Antelias-Lebanon, Armenian Catholicosate of Cilicia, 2007, 157. Tale esegesi allegorica dei tre doni è antichissima, ed è attestata già nel II sec. da Iraen., Adv. Haer. 9, 2.

3 H.B. Sargisean, Erek‛ t‛agawor mogerow zroyc‛n haykakan matenagrowt‛ean mēǰ ew anor kareworowt‛iwnn [Il racconto dei tre re magi nella letteratura armena e la sua importanza], Venezia, San Lazzaro, 1910.

4 Ivi, 32.

5 Sowrb Epip‛an Kiprac‛i, Čaṙk‛, a cura di H. K‛yoseyan, Ēǰmiacin, Mayr At‛oṙ, 2013. Il discorso XV si trova alle pp. 255-299.

6 I. Dorfmann-Lazarev, “Eve, Melchizedek and the Magi in the Cave of the Nativity According to the Armenian Corpus of Homilies Attributed to Epiphanius of Salamis”, in The Protoevangelium of James, (Studies on Early Christian Apocrypha; 16), eds. J.N. Bremmer et al., Leuven, Peeters, 2020, 264-311.

7 Per una rassegna della complessa tradizione manoscritta di questo corpus si veda: The Armenian Texts of Epiphanius of Salamis De mensuris et ponderibus, eds. M.E. Stone, R.R. Ervine, Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium 583, Subsidia 105, Lovanii, Peeters 2000, 109-126.

8 F.C. Conybeare, “The Gospel Commentary of Epiphanius”, Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft, 7 (1906), 318-332.

9 Il testimone più antico è del 1187 (Yerevan, Matenadaran, ms. M949).

10 L’autore calcola presumibilmente il regno di Erode a partire dal 44-43 a.C., anno della morte del padre Erode Antipatro, anche se in realtà fu re della Giudea solo a partire dal 37 a.C.

11 29 K‛ałoc‛ [6 gennaio], cfr. On This Day. The Armenian Church Synaxarion. January, translated and edited by E.G. Mathews Jr., Provo, Brigham Young University Press, 2014, 66-67.

12 Աստանաւր թիւ ողոմպիադին, զոր կարգեալ էր եբրայեցւոցն, զոր իմաստունքն յունաց Բէստէքեստոն անուանեն եւ Հայոց Մեծաց վարդապետք եկեղեցւոյ Նահանջ կոչեն, էր հարիւր եւ վաթսուն եւ եւթն եւ գարնանային հասարակածն եւ պատկերաւուրն կիւրակէ ելին զճանապարհ այն (p. 280). Un complesso computo basato sulla profezia di Dn 9, 25-26 e sulle olimpiadi ricorre anche in Anania Sanahnec‛i, Meknowt‛iwn Matt‛ēi Awetarani [Commento al Vangelo di Matteo], Eǰmiacin, Publishing Office of Mother See, 2007, 56.

13 Il riferimento sembra essere alle meridiane solari, che erano molto diffuse anche nell’Armenia medievale.

14 Si noti che in questo caso la data viene indicata secondo il mese ebraico e quello romano e non secondo quello armeno.

15 In ambito armeno tale prossimità è ravvisabile anche in alcune croci di pietra (xač‛k‛ar) che rappresentano, insieme con la croce, anche le scene del Natale, cfr. R. Pane, “La natività e l’adorazione dei magi nel programma iconologico di tre croci di pietra armene”, in Studi Iranici Ravennati, IV. Indo-Iranica et Orientalia. Series Lazur, 25, a cura di A. Panaino, A. Piras e P. Ognibene, Milano, Mimesis, 2022, 369-383.

16 Cfr. Dorfmann-Lazarev, Eve, Melchizedek and the Magi, cit.

17 Un esempio di tale esegesi è offerto da alcune omelie attribuite ad Antipatro di Bostra e conservate solo in armeno: CPG 6695 e 6696, cfr. Y.Y. K‛eosēean, “Yownarēn bnagrov anyayt čaṙer Antipatros Bostrac‛ow anowamb” [“Omelie sconosciute nell’originare greco, sotto il nome di Antipatro di Bostra”], Ganjasar 1 (1992), 7-48. Qui i Magi, definiti “barbari” secondo l’uso greco, sono chiamati dal movimento sconosciuto (օտար շարժմամբ) della stella ad adorare il Dio del cielo e a cessare di chiamare dèi gli elementi dell’etere e del fuoco. Contrapposti agli increduli Ebrei, essi, che un tempo adoravano le stelle, sono condotti da Dio alla terra promessa grazie alla loro fede (pp. 18-19) e sono costituiti come ministri del Creatore (զաստեղացն պաշտօնատարս Ստեղծչին սպասաւորս յարդարեաց, p. 27). Anche il Commento al Diatessaron di Efrem, conservato in traduzione armena, contrappone la fede dei Magi all’incredulità degli Ebrei. L’andamento irregolare della stella, che non è legata al firmamento, e il suo continuo apparire e nascondersi costringe i Magi a recarsi a Gerusalemme, dove ricevono la testimonianza dei profeti e dei sacerdoti, affinché credessero che non vi è altra potenza al di fuori di quella che abita in Gerusalemme. Mentre gli uomini d’oriente sono stati rischiarati dalla stella, gli Israeliti sono divenuti ciechi al levarsi del sole di Cristo. La stella attirò il loro amore, legato a una luce passeggera, verso la luce che non tramonta, e apparve affinché tutte le regioni conoscessero il Figlio di Dio (2, 18-23, cfr. Éphrem de Nisibe, Commentaire de l’Évangile concordant ou Diatessaron, Introduction, traduction et notes par L. Leloir, Paris, Éditions du Cerf, 1966, 76-79). L’episodio dei Magi come primizia della vocazione dei pagani alla fede è comune anche nell’innografia, si veda ad esempio un testo paracanonico sull’incarnazione: «Levato in alto un segno tra i pagani mediante la stella hai chiamato le nazioni lontane; veduta una luce da oriente nei cieli, oggi hanno rivelato la tua nascita», cfr. Matenagirk‛ Hayoc‛ [Armenian Classical Authors], VIII, Antelias-Libanon, Armenian Catholicosate of Cilicia, 2007, 478, strofa 11.

18 Tale discendenza è presente in un trattato autentico di Epifanio, Panarion, De fide, 8, 1: «I figli di Abramo avuti da Chettura furono dunque scacciati da Abramo e se ne andarono ad abitare nella parte dell’Arabia che forma la regione di Magodia (τῆς Μαγωδίας χώρας). Ma alla venuta di Cristo, <attraverso> i magi che venivano per successione da quella stirpe (ἀπὸ τῆς διαδοχῆς τῶν σπερμάτων ἐκείνων) e portarono i doni ereditati, per partecipazione alla stessa speranza, <furono portati> a Cristo in Betlemme gli stessi doni, quando i magi giunsero, avendo visto la stella», cfr. Epifanio di Salamina, Panarion, Libro terzo, a cura di G. Pini, Brescia, Morcelliana, 2017, 518-519.

19 Cfr. Libro dei Giubilei, 12, 16, in Apocrifi dell’Antico Testamento, a cura di P. Sacchi, I, Torino, UTET, 2006, 276-277. Un altro testo armeno, composto intorno al XII secolo, e attribuito erroneamente a Epifanio dalla tradizione, fa riferimento alla discendenza dei Magi da Abramo: Pseudo-Epiphanii Sermo de Antichristo, a cura di G. Frasson, Venezia, San Lazzaro, 1975, 16-18; cfr. J.R. Russel, “Our Father Abraham and the Magi”, Journal of the K.R. Cama Oriental Institute 54 (1987), 56-73; ripubblicato in Id., Armenian and Iranian Studies, Harvard Armenian Texts and Studies 9, Cambridge MA, Harvard University Press, 2004, 219-236.

20 L’accenno a questo scritto, non meglio specificato, ha delle analogie con il Vangelo armeno dell’Infanzia 11, 11, e in particolare con il “chirografo” relativo al Messia dato da Dio stesso ad Adamo, e da questi trasmesso al figlio Seth, e giunto fino ai Magi passando per le mani di Melchisedek e del re Ciro, cfr. Terian, The Armenian Gospel, cit., 52. Un’allusione a questo deposito scritto tramandato di generazione in generazione dai discendenti di Adamo ricorre anche più avanti (pp. 272 e 274) proprio in riferimento a Ciro. Tra il Vangelo armeno dell’Infanzia e lo Pseudo-Epifanio sembrano contrapporsi due visioni ecclesiologiche ben note in epoca patristica: quella dell’Ecclesia ab Abel (nel primo caso) e quella dell’Ecclesia ab Abraham (nel secondo caso), cfr. Y. Congar, Ecclesia ab Abel, in M. Reding (hrsg.), Abhandlungen über Theologie und Kirche. Festschrift für Karl Adam, Düsseldorf 1952, 79-108.

21 La tradizione relativa all’origine abramitica della dinastica arsacide è molto antica ed è attestata anche in Mosè di Corene, Hist. 2, 1, e nel XX discorso dell’Yačaxapatum, cfr. Moralia et Ascetica Armeniaca. The Oft-Repeated Discourses, translated by A. Terian, Washington DC, The Catholic University of America Press, 2021, 263.

22 Nel momento in cui la Bibbia viene tradotta in armeno, Mosè, i profeti, Paolo e gli apostoli è come se cominciassero a parlare armeno, cfr. C. Gugerotti, “L’invenzione dell’alfabeto in Armenia. Teologia della storia nella Vita di Maštoc‛ di Koriwn”, in La traduzione dei testi religiosi, a cura di C. Moreschini, G. Menestrina, Trento-Brescia, Istituto di Scienze Religiose, 1994, 101-126, ripubblicato in Id., Caucaso e Dintorni. Viaggio in una cristianità di frontiera, Roma, Lipa, 2012, 3-39.

23 La vicenda della resistenza armena ai tentativi persiani di imporre lo zoroastrianesimo viene riletta alla luce dei libri dei Maccabei, cfr. R.W. Thomson, “The Maccabees in Early Armenian Historiography”, Journal of Theological Studies 26 (1975), 329-341, ripubblicato in Id., Studies in Armenian Literature and Christianity, Variorum, 1994.

24 Sargisean, Erek‛ t‛agawor, cit., 24, riconduce il toponimo Mog alla regione armena di Mokk‛, a sud del lago di Van. Cfr. anche S. Harut‘yunyan, “«Moger», «Moks», «Mokac‛iner». Anvanabanakan aṙnč‛owt‛yownneri ew gorcaṙowt‛ayin ǝndhanrowt‛yownneri masin”, Ēǰmiacin 72 (2015), 53-63.

25 Cfr. Didascalia di Addai, 4, 10, in W. Cureton, Ancient Syriac Documents, London-Edinburgh, Williams and Norgate, 1864, 34. La confusione tra Aggai e Addai è presente anche in Mosè di Corene, Hist. 2, 33. Sulla traduzione armena della Didascalia, risalente al V secolo, si veda: Les Apôtres Thaddée et Barthélemy. Aux origines du christianisme arménien, Introduction, traduction et notes par V. Calzolari, [Turnhout], Brepols, 32-41; Ead., The Apcryphal Acts of the Apostles in Armenian, Leuven-Paris-Bristol, Peeters, 2022, 33-41.

26 Anche in questo caso sembra esserci un’analogia con la tradizione del Vangelo armeno dell’Infanzia relativa al chirografo messianico, passato per le mani di Ciro, cfr. supra. Si noti che il termine hrovartak è lo stesso usato per il decreto di Cesare Augusto, confermando la relazione provvidenziale tra l’editto messianico di Dio e quello imperiale al servizio del primo.

27 È possibile che si tratti di una glossa, una sorta di caveat riguardo al ricorso alla scienza degli astri e alla magia, conformemente ai canoni ecclesiastici. Sulla vexata quaestio della locuzione “figli (ragazzi) della Chiesa”, sulle sue ascendenze siriache, sulla possibile connessione con la gerarchia ecclesiastica o l’ambiente monastico, si veda: M. Širinyan, “’Owxti mankownk‛’ ew ‘mankownk‛ Ekełec‛woy’” [“‘Figli del patto’ e ‘Figli della Chiesa’”], Ēǰmiacin 58/8 (2002), 90-110; B.L. Zekiyan, “Ełišē as Witness of the Ecclesiology of the Early Armenian Church”, in N. Garsoian, Th.F. Mathews, R.W. Thomson (eds.), East of Byzantium: Syria and Armenia in the Formative Period, Washington DC, Dumbarton Oaks Center for Byzantine Studies, 1982, 187-197.

28 Sulla formula cristologica, di chiaro stampo armeno, si veda ad es. Grigor Tat‛ewac‛i, Girk‛ harc‛manc‛, p. 8, a. 17: Բանին Աստուծոյ քաջ սիրով եռացումն ընդ մարմնոյ անբաժ եւ անորոշ գործեաց միաւորութիւն; cfr. G. Winkler, Über die Entwicklungsgeschichte des armenischen Symbolums. Ein Vergleich mit dem syrischen und griechischen Formelgut unter Einbezung der relevanten georgischen und äthiopischen Quellen, Roma, Pontificio Istituto Orientale, 2000, in particolare le pagine 400-402; 426-427; I. Dorfmann-Lazarev, “Christ’s ‘Being’ and ‘Activity’. Some Aspects of the Development of Armenian Christological Vocabulary from its Origins to the Tenth Century”, Journal of Eastern Christian Studies 68 (2016), 231-254.

29 Terian, The Armenian Gospel, cit., 48-49. I nomi dei dodici comandanti, che variano leggermente nei diversi testimoni, sono i seguenti: Barxowriday (Barhowriday), Dadmowšay (Dadimišay), Bardimšay (Bardimišay), Šahabanay (Šahaypanay), Xorinay, Ddmišay, Dišboułay (Dišpowłay), Xamaṙay (Xowmaray), Šawowršay (Šarowray), Ak‛širay (Ispanay), Šahowray, Šamiram. Una traccia della tradizione apocrifa del Vangelo dell’Infanzia si trova in un testo poetico dell’ottavo giorno della Natività, trasmesso dal Ganjaran, una raccolta di composizioni litaniche, spesso acrostiche, parallele a quelle recitate nella liturgia delle ore: «I re, che vennero alla porta santa della grotta, portarono mirra e aloè, adorarono il re. Una moltitudine di soldati, dodici coorti di mille, suonarono le trombe e i cembali, tornarono alla terra da cui ero venuti», cfr. Matenagirk‛ Hayoc‛ [Armenian Classical Authors], XIII, Antelias-Lebanon, Armenian Catholicosate of Cilicia, 2008, p. 194. Il ritorno dei Magi, accompagnati dal loro esercito, è rappresentato in una splendida miniatura del più celebre dei miniatori armeni, T‛oros Roslin. Il manoscritto, copiato a Hromkla (Cilicia) nel 1262, è ora conservato a Baltimora.

30 Si noti che in un inno paracanonico sulla Natività i Magi sono definiti “una moltitudine” (բազմահոյլ մոգուցն), Yerevan, Matenadaran, ms. M6885, c. 3r. Su questo innario si veda Ch. Renoux, “Un acte d’autorité du catholicos Nerses III (641-661): des hymnes arméniennes du VII siècle?”, in L’autorité de la liturgie. Conférences Saint-Serge. 53e Semaine d’études liturgiques (Paris, 26-29 juin 2006), a cura di C. Braga, Roma, CLV, 2007, 199-209; Id., “Les hymnes du Grand Vendredi de l’Hymnaire Parakanon Erevan 6885”, Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata 11 (2014), 169-178; Id., “L’Hymnaire Parakanon Érévam 6885: le Canon de la fête de la Présentation du Segneur”, in Mélanges Jean-Pierre Mahé, édités par A. Mardirossian, A. Ouzounian, C. Zuckerman, Paris, Association des Amis du Centre d’Histoire et Civilisation de Byzance, 2014, 575-588. Colgo l’occasione per ringraziare il Padre Renoux per avermi reso partecipe di questo testo da lui trascritto.

31 Sulle diverse età dei Magi si veda: A.C. Panaino, “Jesus’ trimorphisms and tetramorphisms in the meeting with the Magi”, in From Aṣl to Zā’id: Essays in Honour of Éva M. Jeremiás, ed. by Iván Szántó, Piliscsaba, The Avicenna Institute of Middle Eastern Studies, 2015, 167-209.

32 Il numero dei tre Magi, desunto dai tre doni di cui sono portatori, è attestato già nel III sec. in Orig., Hom. Gen., 14, 3.

33 Citato da Sargisean, Erek‛ t‛agawor, cit., 27.

34 Sulle innumerevoli varianti dei nomi dei Magi, nelle diverse tradizioni linguistiche, si veda: A.C. Panaino, I nomi dei Magi evangelici. Considerazioni storico-linguistiche e storico-religiose intorno ai nomi dei Magi evangelici: Prolegomena ad un Namenbuch, in Id. (a cura di), I nomi dei Magi evangelici. Un’indagine storico-religiosa, Milano, Mimesis, 2020, 11-64. Sargisean, Erek‛ t‛agawor, cit., 29, fa riferimento anche a un altro codice veneziano, V264 (425), del 1366, che riporta un passo di Vanakan Vardapet Tavowšec‛i (sec. XII-XIII), secondo il quale i Magi sarebbero discendenti di Chetura e avrebbero lasciato i 12.000 soldati al di là dell’Eufrate presso il re armeno «perché appartenevano alla stessa stirpe», e i loro nomi sarebbero stati, in armeno, Melk‛on, Gaspar e Bałtasar, mentre, in caldeo, Kazba, Badadilma, Badadxarida. Xač‛atur Keč‛aṙec‛i (XIII-XIV sec.), in una variante del Vangelo apocrifo dell’Infanzia, dal titolo Vasn galstean Astowcoy [Sulla venuta di Dio], oltre ai nomi tradizionali di Melk‛on, Gaspar e Bałdasar, riporta anche questi nomi alternativi: Matat‛ilatay, T‛ešbay, Sałahotat‛ay.

35 םימחרה רעש scil. la Porta d’oro.

36 Scil. Efrata.

37 Si noti che nelle miniature armene i Magi sono invece raffigurati abitualmente con un tipico copricapo persiano in testa o con la corona, cfr. ad esempio, fig. 2.

38 Cfr. Gen 35, 19. Tutto il passo rivela una dettagliata conoscenza dei luoghi santi da parte dell’autore, ma riflette al contempo una topografia tarda: la struttura cupolata del sepolcro è attestata dal XII secolo, cfr. D. Pringle, The Churches of the Crusader Kingdom of Jerusalem. A corpus, II, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, 176.

39 L’autore fa riferimento più di una volta ai figli e alle figlie di Giuseppe, presupponendo implicitamente che si tratti di figli di un precedente matrimonio (a p. 295 specifica, infatti, che aveva quarant’anni), poiché Maria viene ripetutamente definita Vergine. Vengono indicati anche i nomi delle figlie: Ester, Maria e Salome (p. 289): il nome di quest’ultima rimanda a quello della levatrice del Vangelo dell’Infanzia, cfr. Terian, The Armenian Gospel, cit., 44-47.

40 Il suono delle trombe e lo spavento generale provocato dall’arrivo dei Magi sono sottolineati anche dal Vangelo dell’Infanzia, dove, tuttavia, si dice che Maria e Giuseppe scappano dalla grotta lasciando il bambino solo nella mangiatoia con gli animali, cfr. Terian, The Armenian Gospel, cit., 54. Si noti che lo Pseudo-Epifanio, pur riflettendo molteplici tradizioni apocrife, non fa mai riferimento al bue e all’asino o agli animali della grotta.

41 Sul profumo come manifestazione teofanica si veda P. Meloni, Il profumo dell’immortalità. L’interpretazione patristica di Cantico 1, 3, Roma, Studium, 1976.

42 Cfr. S. Der Nersessian, Miniature Painting in the Armenian Kingdom of Cilicia from the Twelfth to the Fourteenth Century, I, Washington DC, Dumbarton Oaks, 1993, 60.

43 Cfr. C. Mutafian, T‛oros Roslin et les mongols, in Antaṙ Cnndoy. Hodvacneri žołovacow nvirvac Felik‛s Ter-Martirosovi hišatakin [Genesis Forest. Collected articles in memory of Felix Ter-Martirosov], Yerevan, YSU Press, 2015, 344-354; A. Stewart, “Reframing the Mongols in 1260: The Armenians, the Mongols and the Magi”, Journal of Royal Asiatic Society 28 (2018), 55-76.

44 Allo stesso anno risale un’icona del monastero di Santa Caterina al Monte Sinai, dove uno dei Magi presenta inequivocabili tratti mongoli, probabile allusione allo stesso Hülegü, cfr. Stewart, Refraiming, cit.

45 Step‛annos, Patmowt‛iwn Tann Sisakan [Storia della casa di Siwnik‛], ed. M. Ēmin, Moskva 1861, 307.

46 Cfr. R.W. Thomson, “The Historical Compilation of Vardan Arewelc‛I”, Dumbarton Oaks Papers 43 (1989), 125-226 [217].

47 Cfr. Z. Pogossian, “Armenians, Mongols and the End of Times: An Overview of 13th Century Sources”, in Caucasus during the Mongol Period – Der Kaukasus in der Mongolenzeit, edited by J. Tubach, S.G. Vashalomidze, M. Zimmer, Wiesbaden, Reichert Verlag, 2012, 169-198. Il tema è ricorrente anche nei colofoni armeni, cfr. A. Sirinian, “I Mongoli nei colofoni dei manoscritti armeni”, Bazmavep 168 (2010), 481-520.

48 Mutafian ipotizza che il personaggio che indica la stella con il dito possa essere una rappresentazione dello stesso Hülegü, cfr. Mutafian, T‛oros Roslin, cit., 347.

49 Si veda in particolare Bar Hebraeus, The Chronography, ed. E.A. Wallis Budge, vol. I, London, 1932, 435.

50 Sulle fonti armene per la storia dei Mongoli si veda: M. Bais, “Armenian Sources on the Mongols”, Bazmavep 168 (2010), 366-445; su Hülegü nelle fonti armene, si veda: F. Alpi, “La Storia degli Arcieri di Grigor di Akner: i modi della narrazione”, Bazmavep 168 (2010), 673-684.

51 Cfr. R.P. Blake, R.N. Frye, “History of the Nation of the Archers (the Mongols) by Grigor of Akanc‛”, Harvard Journal of Asiatic Studies 12 (1949), 269-399 [348].

52 Kirakos Ganjakec‛i (XIIIe siècle), Histoire d’Arménie, traduction, introduction et notes par P. Boisson, CSCO Subsidia 144, Lovanii, Peeters, 2021, 351.

53 Non si prendono in considerazione in questo studio le Quaestiones et responsiones in Matthaeum di Grigor Tat‛ewac‛i (1344-1409), ancora inedite, cfr. E. Petrosyan, A. Ter-Step‛anyan, S. Girk‛i hayeren meknowt‛yownneri matenagitowt‛yown [Repertorio bibliografico dei commentari armeni della Sacra Scrittura], s.l., Società Biblica Armena, 2002, 85.

54 Matenagirk‛ Hayoc‛ [Armenian Classical Authors], IX, Antelias-Lebanon, Armenian Catholicosate of Cilicia, 2008, 26-41. La sezione dedicata ai Magi inizia a p. 34.

55 Sull’origine persiana dei Magi si veda Io. Chry., In Mt. 7, 5.

56 La connessione tra Balaam e i Magi si trova già in Orig., Contra Cels. 1, 59; Hom. Nm. 13, 7, e deriva certamente da Phil. Al., Moys., 1, 50, 276-280.

57 Matenagirk‛ Hayoc‛ [Armenian Classical Authors], VI, Antelias-Lebanon, Armenian Catholicosate of Cilicia, 2007, 157. La natura angelica della stella è affermata già da Io. Chry., In Mt. 6, 2, dalle cui argomentazioni Zak‛aria sembra dipendere. Tuttavia, in Zak‛aria c’è una visione positiva della ricerca astrologica dei Magi, mentre in Crisostomo c’è un’invettiva contro la medesima.

58 Anche in questo caso si registrano delle analogie con lo Pseudo-Epifanio, che presenta la medesima esegesi dei tre versetti biblici (p. 291).

59 Una connessione analoga tra i doni dei Magi e le profezie di Balaam, in particolare Nm 24, 9, si trova anche in un’omelia dubbia di Basilio, tradotta anche in armeno: Bas. Caes., Hom. In sanct. Christi generat., PG 31, 1472 (CPG 2931), cfr. B. Outtier, “Les feuilles de garde onciales du Psautier arménien de Tours”, in Revue des études arméniennes, 9 (1972), 107-112.

60 Cfr. S. Der Nersessian, Armenian Homilies Attributed to Theophilus, in Kyriakon. Festschrift Johannes Quasten, a cura di P. Granfield, J.A. Jungmann, Münster, Aschendorff, 1970, 390-399; ripubblicato in Ead., Études Byzantines et Arméniennes. Byzantine and Armenian Studies, I, Louvain, Imprimerie Orientaliste, 1973, 469-479. La stessa Der Nersessian dimostra la natura composita e complessa di uno di questi testi, Sulla risurrezione di Lazzaro: Ead., A Homily on the Raising of Lazarus and the Harrowing of Hell, in Biblical and Patristic Studies in Memory of Robert Pierce Casey, ed. by J.N. Birdsall, R.W. Thomson, Freiburg, Herder, 1963, 219-234; ripubblicato in Ead., Études Byzantines et Arméniennes. Byzantine and Armenian Studies, I, Louvain, Imprimerie Orientaliste, 1973, 457-467.

61 Matenagirk‛ Hayoc‛ [Armenian Classical Authors], IX, Antelias-Lebanon, Armenian Catholicosate of Cilicia, 2008, 765-988. Il curatore dell’edizione, Yakob K‛ēosēean, nella sua introduzione esprime la convinzione che si tratti di opera di uno o più autori armeni sulla base di motivi stilistici, della dipendenza dalla traduzione armena della Bibbia, delle analogie con lo Pseudo-Callistene di Alessandria, con le traduzioni armene di Gregorio di Nissa, dello Pseudo-Dionigi Areopagita e di Basilio di Cesarea, nonché con testi omiletici originariamente armeni, come quelli attribuiti a Mambrē. Inoltre, evidenzia numerosi esempi di corrispondenza con la teologia della Chiesa armena successiva al VII sec. Lo studioso ritiene pertanto che l’epoca di composizione sia da collocare tra VII e IX sec. Resta il fatto che – come osservato da Der Nersessian – la natura complessa di questi testi non è riducibile a un corpus unitario, e pertanto non è da escludere che si tratti di opere stratificate, con un nucleo di traduzione e ampie interpolazioni.

62 Gran parte del commento di Nersēs sembra discendere da quello di Anania Sanahnec‛i (XI sec.), che a sua volta attinge a Giovanni Crisostomo e a Efrem, cfr. Anania Sanahnec‛i, Meknowt‛iwn Matt‛ēi Awetarani [Commento al Vangelo di Matteo], Eǰmiacin, Publishing Office of Mother See, 2007, 56-59. Il più articolato computo cronologico di Anania, che fa riferimento anche al calendario olimpico, presenta strette analogie con quello di Teod. Cyr., Demonstr. ev. 8, 85-87, con alcune differenze minori, imputabili a errori di traslitterazione.

63 Meknowt‛iwn sowrb Avetaranin or ǝst Matt‛ēosi [Commento del santo Vangelo secondo Matteo], Costantinopoli, I Hasanp‛ašay xann, 1825, 40.

64 Vard. Arew., Hist. 16, cfr. R.W. Thomson, “The Historical Compilation of Vardan Arewelc‛I”, Dumbarton Oaks Papers, 43 (1989), 125-226 [159].

65 Cfr. On This Day. The Armenian Church Synaxarion. January, translated and edited by E.G. Mathews Jr., Provo, Brigham Young University Press, 2014, 66-69.

66 Commentarius in quatuor Evangelia, tom. I, Antverpiae, apud haered. Martini Nuti, 1639.

67 Meknowt‛iwn Srboy Awetarani Teaṙn Meroy Yisowsi K‛ristosi or ǝst Matt‛ēosi, Venezia, Antonio Portoli, 1737.

68 Cfr. B.L. Zekiyan, “La visione di Mechitar del mondo e della Chiesa: una “Weltanschauung” tra teologia e umanesimo”, in Gli Armeni e Venezia. Dagli Sceriman a Mechitar: il momento culminante di una consuetudine millenaria, a cura di B.L. Zekiyan e A. Ferrari, Venezia 2004, 177-200. Come osserva l’autore in tale saggio, «la sua Weltanschauung ha quale fulcro l’uomo: l’uomo nella complessa molteplicità delle sue dimensioni trascendenti e immanenti. Tale orientamento s’imprimerà così profondamente nell’animo dei suoi discepoli che nella scuola mechitarista si scriverà e ci si occuperà di tutto, saranno ricoperti settori culturali dagli interessi più vari, dalle tipologie e dalle metodologie più diverse: dalla produzione scientifica nei vari campi dell’armenistica, dalla linguistica alla patrologia e di là alle teorie estetiche, dalle traduzioni dei capolavori classici dell’Occidente, da Omero a Montale, in versioni spesso impareggiabili, ai trattati e manuali di religione, teologia, storia, pedagogia, apicoltura, pollicoltura, sericoltura, contabilità, navigazione, agricoltura, e così via».

69 Sul fecondo apostolato editoriale di Mechitar e della sua comunità, nonché sull’ampio spettro di interessi culturali e scientifici toccato dall’esperienza mechitarista, si vedano i contributi contenuti nel seguente volume miscellaneo: H.S. Čemčemean, Mxit‛ar Abbahōr hratarakč‛akan aṙak‛elut‛iwn [L’apostolato editoriale dell’Abate Mechitar], San Lazzaro-Venezia, 1980. L’Abate – sulla scia della più genuina tradizione patristica ‒ era consapevole che l’evangelizzazione non si esaurisce nella pubblicazione dei Testi sacri e teologici, ma necessita di tutto un retroterra culturale, che va dagli studi grammaticali, a quelli filologici, dallo studio del lessico, a quello della filosofia, senza tralasciare le scienze naturali. Se Mesrop Maštoc‛ inaugurò un’intensa attività di traduzione della letteratura grammaticale e filosofica classica, oltre alla patristica, Mechitar ne seguì l’esempio, dando alle stampe opere di varia natura, tra le quali una grammatica, un dizionario, oltre naturalmente alla straordinaria operazione editoriale della Bibbia. Tale ampiezza di orizzonti culturali, che non escludeva nessun campo dello scibile, troverà degna espressione, a un secolo dalla morte del Servo di Dio, nella rivista Bazmavep, fondata nel 1843, su intuizione tra l’altro del grande erudito e accademico padre Łewond Ališan (1820-1901), figura eminente dell’Ordine mechitarista.

70 Sargisean, Erek‛ t‛agawor, cit.